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IL NAZISMO

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LA CRISI DELLA GERMANIA DOPO LA I GUERRA MONDIALE

La Germania che esce dalla guerra è un paese in crisi: una crisi politica, in primo luogo, causata dalla sconfitta militare, dalla conseguente fuga del Kaiser Guglielmo e dalla fine del Reich; una crisi sociale, in secondo luogo, perché il paese è economicamente in ginocchio dopo cinque anni di guerra, con una disoccupazione galoppante e il ritorno di milioni di soldati dal fronte, e con una divisa nazionale, il Marco, che di fatto ha perso il proprio valore

Rapidamente, si forma una inedita alleanza, politica e sociale al tempo stesso, tra l’unica forza organizzata rimasta in piedi, il Spd, e quanto rimane ancora delle forze nazionaliste conservatrici. Ma per rimettere in piedi il paese occorrono fondi e risorse che il paese non ha più. E così cresce il malcontento.

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LA CRISI DELLA GERMANIA DOPO LA I GUERRA MONDIALE

La sfida più pericolosa per la nuova Germania proviene dall’estrema sinistra, decisamente rafforzata dopo la vittoria bolscevica in Russia, in particolare dalla Lega di Spartaco, guidata da Karl Liebknecth e Rosa Luxemburg.

In alcune zone del paese, come in Baviera per esempio, nascono “Repubbliche sovietiche”. Il paese sembra davvero ad un passo dalla rivoluzione. Liebknecht e Luxemburg, tuttavia, pensano che il momento non sia ancora propizio e che quanto stia accadendo nel paese sia più il frutto di un generale malcontento che di una presa di coscienza da parte del popolo tedesco, senza contare che il paese non è uscito volontariamente dalla guerra come la Russia, ma è stato sconfitto dalle forze dell’Intesa.

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LA CRISI DELLA GERMANIA DOPO LA I GUERRA MONDIALE

Quando la mobilitazione giunge anche a Berlino, capitale del defunto Reich, la situazione precipita. Il 6 gennaio 1919 una imponente manifestazione di operai sfila per le vie della città inneggiando ai Soviet. Liebknecht e Luxemburg sono presenti, ma invitano alla calma i dimostranti. Tutto inutile: l’eccitazione ha ormai raggiunto i massimi livelli. La classe operaia tedesca crede fermamente nella rivoluzione.

Ad un certo punto compaiono in piazza migliaia di militari del Frei Korps, l’unico corpo militare riconosciuto dalle forze dell’Intesa e proprio per mantenere l’ordine pubblico, i quali aprono il fuoco sulla folla. E’ l’inizio di un massacro destinato ad estendersi anche nel resto del paese. A farne le spese, anche Karl Liebknecth e Rosa Luxemburg, che vengono rapiti dai militari, quindi condotti in caserma e qui brutalmente torturati e infine uccisi.

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LA NASCITA DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DI WEIMAR

Con la fine della rivolta spartachista nasce la Repubblica di Weimar (Weimar è la città dove viene firmata la nuova Costituzione). Una nascita tormentata, proprio a causa della sanguinosa repressione anticomunista, frutto di quella inedita alleanza tra socialisti democratici e sostenitori del vecchio regime che è anche alla base del nuovo sistema politico.

Naturalmente, una volta eliminato il pericolo bolscevico, emergono subito le divisioni interne, che si ripercuotono nelle scelte istituzionali. La nuova democrazia tedesca, infatti, è una forma istituzionale ibrida, prevedendo un Parlamento eletto a suffragio universale, al quale spetta eleggere governo e Primo Ministro (il Cancelliere della Repubblica), ed un Presidente della Repubblica, che invece viene eletto direttamente dal popolo. Un mix di democrazia parlamentare (caldeggiata dai socialisti) e democrazia presidenziale (voluta dai conservatori) destinato a far sentire presto i suoi effetti nefasti.

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LA NASCITA DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DI WEIMAR

Schema del sistema politico di Weimar, definito “bicefalo”, per la presenza di due istituzioni dotati entrambi di esecutività

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LA RICOSTRUZIONE DEL PAESE E IL RUOLO DEGLI USA

E tuttavia, il paese può ora ripartire. La prima tappa è accettare le dure clausole imposte dai Trattati di Versailles. Vero che la Germania rimane, tutto sommato, integra, ma viene comunque riconosciuta come principale responsabile del conflitto, a prescindere da chi la guidi ora. E questo significa dover risarcire le potenze vincitrici

Ma la Germania non ha le risorse necessarie per farlo, basti pensare che nel 1920 un dollaro americano viene scambiato con 1 milione di marchi tedeschi

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La morte della Repubblica di Weimar: gli aiuti americani

LA RICOSTRUZIONE DEL PAESE E IL RUOLO DEGLI USA

A salvare la Germania dal baratro sono gli Usa, che temono per le sorti delle nazioni uscite sconfitte dal conflitto, che rischiano di spalancare le porte al comunismo. Nonostante la fine dello spartachismo, il pericolo comunista è ancora concreto in Europa e lo sarà - questo affermano gli americani - fino a quando i bolscevichi saranno al potere in Russia. Dato che la fine del comunismo sovietico pare allontanarsi ogni giorno di più, occorre creare una sorta di cintura protettiva sui suoi confini europei. Dunque, non ci si può permettere una Germania debole. Questo significa che gli Usa aiuteranno economicamente la Germania e così facendo, aiuteranno indirettamente anche la Francia e l’Inghilterra ad ottenere i tanto agognati risarcimenti di guerra con i quali pagheranno i debiti contratti durante il conflitto proprio con gli Usa.

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La morte della Repubblica di Weimar: gli aiuti americani

IL “PUTSCH” DI HITLER DEL 1923

Ma prima che il paese si riprenda, passano alcuni mesi. Mesi difficili, in quanto, dopo l’insurrezione comunista, si affaccia la minaccia di un’estrema destra che non accetta le dure clausole di Versailles e che accusa gli attuali governanti, in particolare i socialisti, di tradimento.

Un gruppo di ufficiali, guidati da un giovane Adolf Hitler, organizza un colpo di Stato a Monaco, in Baviera, laddove, fino a qualche mese prima, sventolavano le bandiere rosse con la falce e il martello. E’ il cosiddetto “Putsch” dell’8 novembre 1923, che viene immediatamente fermato, ma che rappresenta un pericoloso campanello d’allarme: esiste nel paese un forte sentimento revanscista, pronto a rinascere in ogni momento, soprattutto se le condizioni economiche non dovessero migliorare nell’immediato.

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LA RIPRESA ECONOMICA

Sconfitto anche Hitler, la Repubblica di Weimar può finalmente ripartire, grazie all’appoggio degli Usa. A guidare il paese sono i conservatori e lo faranno fino all’autunno del 1929, quando si faranno sentire gli effetti drammatici della crisi economica americana. Figura di spicco del panorama politico tedesco di questi anni è sicuramente il leader del Partito popolare tedesco (democratico-liberale), Gustav Stresemann, a lungo Ministro degli Esteri, e, in questa veste, capace di riallacciare le relazioni con gli Stati occidentali dopo la guerra. Il governo conservatore può contare anche sull’appoggio dello Zentrum, il partito dei cattolici tedeschi.

Il primo significativo provvedimento del governo riguarda la moneta nazionale, ormai praticamente defunta: il Marco. Ne viene coniata una completamente nuova, il Rentenmark, molto più forte. Il cambio di valuta consente anche di individuare le rendite e i profitti di guerra, soprattutto quelli illegali. Vengono infine spalancate le porte del paese ai prodotti e ai capitali americani, concedendo loro ogni sorta di beneficio. E l’economia si riprende.

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LE NUOVE RELAZIONI INTERNAZIONALI

Una volta risanata l’economia, il governo rivolge lo sguardo alla politica internazionale: si tratta di riallacciare le relazioni diplomatiche con gli ex nemici di guerra e di farsi accreditare presso le istituzioni internazionali. E qui emerge la figura di Streseman, capace in poco tempo di far dimenticare all’Occidente l’aggressività del defunto Reich. Nel 1926 viene firmato il Trattato di Locarno con la Francia, con la quale la Germania accetta l’annessione francese dell’Alsazia-Lorena. Nel 1926, la Germania entra nella Società delle Nazioni. Quindi firma un patto di neutralità anche con l’Unione Sovietica

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La morte della Repubblica di Weimar: il 1929

LE NUOVE RELAZIONI INTERNAZIONALI

Ma Stresemann si spegne il 3 ottobre 1929, pochi giorni prima del crollo della Borsa di New York. La sua morte segna un passaggio decisivo nella vita politica tedesca. Il governo, infatti, si vede privato del suo uomo più rappresentativo, il più accreditato presso i governi occidentali e soprattutto in America. Il resto lo farà la crisi. Nessuno, infatti, dubita che quanto sta accadendo negli Usa avrà degli effetti devastanti sulla Germania, in quanto l’economia tedesca è del tutto dipendente da quella americana.

Ma quale è la situazione politica in Germania alla vigilia della grande depressione?

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La morte della Repubblica di Weimar: il 1929

LE ULTIME ELEZIONI PRIMA DELLA GRANDE CRISI: 1928

Le ultime elezioni prima del terremoto di Wall Street si tengono nel 1928. Questi i risultati:

  • Spd: 29%
  • Partito Popolare Tedesco: 14.3%
  • Zentrum: 12.1%
  • Partito Comunista: 10.6%
  • Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi: 2.6%

Si nota una decisa avanzata delle forze di sinistra nel loro complesso. Il Spd guadagna rispetto alle precedenti consultazioni, confermandosi primo partito, mentre i comunisti si collocano subito dietro i due partiti di governo. Ma quello che deve far riflettere è il dato relativo al Partito Nazionalisocialista dei Lavoratori Tedeschi (Ndsap), guidato da Adolf Hitler, che, a pochi mesi dallo scoppio della crisi del 1929, non supera il 3%. Di lì a pochi mesi diventerà il primo partito del paese.

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La morte della Repubblica di Weimar: il 1929

LE ULTIME ELEZIONI PRIMA DELLA GRANDE CRISI: 1928

Insomma, nulla fa presagire quanto accadrà di lì a pochi mesi e questo va sottolineato in quanto ancora oggi si sottolinea come fattore decisivo la voglia di riscatto dopo l’umiliazione subita a Versailles come elemento decisivo dell’ascesa di Hitler. Senza sottovalutare tale elemento, va tuttavia ricordato il sostanziale isolamento dei cospiratori che tentarono il Putsch nel 1923, quello sì diretto contro Versailles, e il fatto che Hitler, una volta uscito di prigione, non abbia avuto mai un grande seguito presso l’elettorato tedesco, come d’altro canto dimostrano proprio le elezioni del 1928, segno che, per quanto siano profonde le ferite di Versailles, queste non rappresentano un fattore decisivo almeno fino a quando l’economia regge. D’altro canto, lo stesso Partito comunista, pur crescendo, supera appena il 10% dei suffragi, assolutamente ininfluenti anche in un’ottica parlamentare, in quanto nessuno ha intenzione di allearsi con i bolscevichi tedeschi.

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GLI EFFETTI DELLA CRISI DEL 1929

Passano solo poche settimane dal crollo della Borsa di Wall Street e una spaventosa crisi si abbatte sulla Germania, causato in primo luogo dal ritorno in patria dei capitali americani. In poco tempo la produzione industriale si dimezza, la disoccupazione raggiunge ovunque valori a due cifre, superando abbondantemente il 30% nelle zone industriali, il ceto medio si impoverisce, le banche falliscono. Ed esattamente come capita Oltreoceano, il governo appare incapace di reagire, cercando di tappare le numerose falle che si aprono nella sua economia.

E così il clima sociale si infiamma

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L’ASCESA DEL NAZISMO

La crisi economica determina l’acuirsi delle tensioni sociali, favorendo in particolare le forze antisistema, comunisti e nazisti. I comunisti possono sbandierare i successi dell’Unione Sovietica, ormai lanciata, da Stalin, verso l’era industriale. Un successo straordinario per un paese che ancora ai primi del Novecento era in pieno feudalesimo. I comunisti hanno gioco facile a denunciare il capitalismo come sistema ingiusto, che ciclicamente crea disastri, che si abbattono sempre sulle classi popolari. Più complessa la posizione dei nazisti, per i quali la crisi è, invece, determinata da un certo tipo di capitalismo, quello finanziario di origine ebraica, profondamente ostile agli interessi tedeschi. Per i nazisti, dunque, non si tratta di cambiare sistema, ma di cambiare il conduttore, quanto meno in Germania. Insomma, per Hitler il paese si deve liberare degli approfittatori, di tutti coloro che, a vario titolo, combattono contro il Reich: la grande finanza internazionale e il comunismo internazionale, entrambi guidati da ebrei. Insomma, secondo il nazismo esisterebbe un connubio tra grande finanza internazionale (ebraica) e comunismo internazionale (ebraico).

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L’ASCESA DEL NAZISMO

Non si tratta di idee originali: il complotto ebraico internazionale era stato già denunciato nei cosiddetti “Protocolli dei savi di Sion”. Semmai, la novità consiste nel presentare il capitalismo finanziario e il comunismo come due facce della stessa medaglia, quella del complotto ebraico appunto. E tuttavia, per il momento non vi è traccia di antisemitismo biologico, che emergerà solamente negli anni successivi, dopo la presa di potere da parte di Hitler e del suo partito.

Per il momento, i nazisti approfittano della crisi per conquistare il cuore di sempre più vasti settori di opinione pubblica, in particolare quella borghese e piccolo borghese, la cui distanza dal proletariato di fabbrica si va di giorno in giorno assottigliandosi, contendendo militarmente la piazza ai comunisti.

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La morte della Repubblica di Weimar: lo scontro sociale

L’ASCESA DEL NAZISMO

La proletarizzazione dei ceti medi (per altro già prevista da Marx) è dunque la chiave per comprendere il successo di Hitler. In pochi mesi milione di famiglie borghesi precipitano nel baratro della povertà, non riuscendo più a pagare i debiti. Sono letteralmente rovinati e molti di loro finiscono in mezzo ad una strada. La crisi colpisce naturalmente anche gli strati popolari, ma loro sono abituati a vivere di stenti. Inoltre, il grosso del proletariato è animato da un forte spirito di solidarietà di classe, cosa che non si riscontra nella borghesia, e, soprattutto organizzato sotto le bandiere o della Spd o dei comunisti o comunque dei sindacati.

E’ proprio a questo ceto medio impoverito, disgregato e terrorizzato che si rivolge la propaganda nazista, offrendogli un nemico immediatamente identificabile, l’ebreo, sia esso un capitalista o un comunista. E questo perché l’ebreo disprezza la patria in cui vive, essendo senza patria. E senza patria, cioè internazionalisti, sono sia il capitalismo finanziario sia il comunismo. A questo complotto occorre rispondere con l’orgoglio nazionale, che passa attraverso la rifondazione del Reich.

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LA FINE DELLA REPUBBLICA DI WEIMAR

Il tratto più caratteristico di questa spaventosa crisi - e non solo in Germania - è la disoccupazione, che in pochi mesi raggiunge quasi il 30%, con punte del 50% in alcuni settori. Decisamente troppo per la debole democrazia di Weimar.

Il 29 marzo 1930 il Presidente della Repubblica, l’ex capo di Stato Maggiore dell’esercito del Reich, Paul von Hindemburg, nomina Cancelliere Heinrich Bruning, un cattolico esperto di economia. Si tratta di un esecutivo decisamente spostato a destra e, di fatto, guidato proprio da Hindemburg. Il Presidente intende in tal modo accreditarsi non solo presso l’opinione pubblica conservatrice ma anche in quei settori della borghesia che guardano con favore ad Hitler. Ma il tentativo fallisce. Le contraddizioni di un sistema bicefalo finiscono per frenare l’azione di governo, portando il paese ad elezioni anticipate.

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La morte della Repubblica di Weimar: le elezioni del 14 settembre 1930

LE ELEZIONI DEL 14 SETTEMBRE 1930

Le elezioni si svolgono il 14 settembre 1930. Ed è un vero e proprio terremoto politico:

  • Spd: 24.5% (-5.3% rispetto alle elezioni del 1928)
  • Nsdap: 18.3% (+15.7%)
  • Partito Comunista: 13.1% (+2.5%)
  • Zentrum: 11.8% (-0.3%)
  • Partito Popolare: 7% (-7.3%)

La Spd rimane il primo partito, ma perde più del 5% dei consensi rispetto alle elezioni del 1928. Il Partito Comunista guadagna sì voti, ma è ben al di sotto delle aspettative. Lo Zentrum cattolico conserva sostanzialmente le sue posizioni mentre crolla il Partito Popolare, suo stretto alleato di governo, che dimezza i voti. Il vero vincitore è il Ndsap di Hitler, che guadagna quasi il 16% dei consensi in meno di due anni.

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LE ELEZIONI DEL 14 SETTEMBRE 1930

Il Ndsap con il 19% dei voti è il secondo partito tedesco. Un successo eccezionale, che solo in parte si giustifica con le violenze di piazza e il clima intimidatorio dei gruppi paramilitari ad esso collegati. Guardando i flussi elettorali, infatti, si nota come Hitler guadagni consensi non solo all’estrema destra (di fatto cancellando dal panorama politico tedesco tutti i partiti nazionalisti), ma anche in quello conservatore, in particolare tra gli elettori del Partito popolare, e persino nel Spd.

E’ un segnale molto chiaro: la borghesia, nel suo complesso, si sta spostando verso posizioni sempre più radicali, nazionaliste e razziste al tempo stesso, abbandonando progressivamente la Repubblica di Weimar, non più in grado di garantire benessere e di ergersi a barriera contro il comunismo.

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LE ELEZIONI DEL 14 SETTEMBRE 1930

Nel complesso, la classe operaia ha invece votato per i partiti marxisti, socialisti e comunisti. Complessivamente, la sinistra marxista si attesta intorno al 43%, un risultato notevole, grazie al quale si potrebbe mettere in piedi una maggioranza antinazista. Ma, come già avvenuto a suo tempo in Italia, questo non avviene per le profonde divisioni interne. E non tanto tra i partiti borghesi e quelli di matrice socialista, ma proprio tra questi ultimi. D’altro canto, il Spd si è legittimata come forza di governo con la repressione contro gli spartachisti nell’immediato dopoguerra e non intende scendere a patti con un partito, come quello comunista tedesco, che dipende totalmente da Mosca. Dal canto suo, il Partito comunista tedesco intende approfittare della crisi in atto per demolire una Repubblica nata sul sangue dei suoi compagni e dare vita ad una nuova rivoluzione sociale, magari con l’aiuto dell’Urss.

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VERSO IL BARATRO

Il terremoto politico spaventa anche Hindemburg, al quale non resta che confermare Bruning alla Presidenza del Consiglio. Ma il governo è privo di una maggioranza stabile. Le incertezze politiche non fanno che rafforzare i nazisti. Si determina una sorta di stallo, che impedisce di affrontare con efficacia il dilagare della violenza nazista. D’altro canto, le autorità mostrano di tollerare le squadracce di Hitler, come già era accaduto a suo tempo in Italia.

Alla fine del 1930 la disoccupazione sfiora il 40% e, cosa anche peggiore, nessuno nel governo ha la benché minima idea su come tirare fuori il paese dalla crisi. Comunisti e nazisti sono invece all’offensiva, ma mentre i primi sono completamente isolati (e anche duramente repressi), questi ultimi sanno di potere contare su un crescente consenso, che si rafforza con la creazione del “Fronte di Harzburg”, un’alleanza tra tutte le forze di destra ma egemonizzata dal Ndsap,

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LA SFIDA DEL NAZISMO AL SISTEMA: LE S.A.

Alla fine del 1930 la disoccupazione sfiora il 40% e, cosa anche peggiore, nessuno nel governo ha la benché minima idea su come tirare fuori il paese dalla crisi. Comunisti e nazisti sono invece all’offensiva, ma mentre i primi sono completamente isolati (e duramente repressi dalle autorità), questi ultimi sanno di potere contare su un crescente consenso, come dimostra la nascita del “Fronte di Harzburg”.

Il Ndsap è un partito fortemente centralizzato e dotato - come a suo tempo anche il partito fascista italiano di un apparato militare le Sturmabtleilung, Squadre d’Assalto (Sa) guidate da Ernst Rohm. Rette da una ferrea disciplina e addestrate allo scontro con i nemici politici, in primo luogo i comunisti, le cosiddette “camicie brune” attraggono quei ceti medi fortemente colpiti dalla crisi e terrorizzati dai rossi, giovani in particolare. E a i molti disoccupati che entrano nelle loro fila, Hitler garantisce anche una sorta di piccolo stipendio.

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LE ELEZIONI PRESIDENZIALI: APRILE 1932

Le elezioni presidenziali previste per l’aprile del 1932 si tengono in un clima infuocato. Hitler decide di candidarsi, creando scompiglio in tutte le altre forze politiche, di sinistra e conservatrici. E così, non solo i moderati e i conservatori ma anche il Spd decidono di appoggiare Hindemburg, di cui sono note le posizioni ultraconservatrici se non addirittura reazionarie, e solo per sbarrare la strada a Hitler. Una scelta che non crea sconcerto soprattutto nell’elettorato di sinistra e disorienta anche parte di quello moderato.

Non avendo alcun candidato ottenuto la maggioranza assoluta dei suffragi al primo turno, si svolge un secondo turno di elezioni, che Hindemburg vince con il 53% dei consensi contro il 37% di Hitler e il 7% di Ernst Thalmann, il candidato del Partito Comunista. Dunque, per l’anziano generale si tratta di una vittoria parziale, mentre per Hitler, nonostante la sconfitta, di uno straordinario successo. Ma, soprattutto, le elezioni indeboliscono fortemente tutte le forze democratiche, a partire dal Spd, incapaci di presentare un loro candidato.

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HINDEMBURG

Il nuovo presidente della Repubblica mostra subito il suo carattere, sciogliendo d’autorità il governo, un esecutivo di cui faceva parte anche il Spd. Una mossa che rende ancor più evidente il tragico errore di prospettiva dei socialisti democratici tedeschi, che si erano illusi, appoggiando Hindemburg alle elezioni presidenziali, di sbarrare la strada al nazismo salvando in tal modo la giovane democrazia tedesca. Hindemburg, dal suo canto, persegue al contrario l’obiettivo di dare vita ad un governo fortemente conservatore, che sia in grado di sfidare sul suo stesso terreno proprio Hitler, o magari di riassorbirlo. Ma la mossa non ha successo e il governo cade in poche settimane. Si va a nuove elezioni, mentre continuano le violenze naziste.

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ELEZIONI POLITICHE: LUGLIO 1932

I risultati delle elezioni anticipate del luglio 1932 parlano da soli:

  • Ndsap: 37.8% (+19% rispetto alle elezioni del 1930)
  • Spd: 21.9% (-2.9%)
  • Partito Comunista: 14.6% (+1.2%)
  • Zentrum: 12.3% (+0.6%)
  • Partito Popolare: 6.1% (-1.1%)

Per Hitler è un trionfo: il suo partito guadagna il 19% dei suffragi rispetto alle ultime elezioni e quasi due punti rispetto alle recenti presidenziali. Il Ndsap è il primo partito del paese, distanziando di quasi venti punti percentuali il Sdp. Ottengono un significativo successo anche i comunisti, il partito più colpito dalla violenza nazista e dalla repressione dello Stato, ma ormai sono totalmente isolati nel panorama politico nazionale. Scende il Partito popolare, mentre tiene lo Zentrum cattolico.

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Il GOVERNO VON PAPEN: LA REPUBBLICA DI WEIMAR A UN BIVIO

Il risultato delle elezioni mostra, molto chiaramente, che sarà molto difficile governare senza Hitler. Si avviano difficili trattative, che ruotano tutte attorno ad Hindemburg, e che portano alla formazione di un governo conservatore guidato dal barone von Papen, un cattolico dello Zentrum che gode dell’appoggio di Hitler. Si tratta di una svolta: sebbene il Ndsap non entri ufficialmente nel governo, Hitler garantisce la sua neutralità in cambio di nuove elezioni e della sostanziale impunità per le Sa.

Sotto il governo von Papen, lo squadrismo nazista dilaga in tutto il paese, colpendo non solo e non più gli storici nemici di Hitler, i comunisti, ma anche i socialisti e i sindacati.

Ottemperando all’accordo stipulato con Hitler, si va a nuove elezioni, previste per il 6 novembre 1932.

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LE ELEZIONI POLITICHE DEL 6 NOVEMBRE 1932

E così il paese si avvia nuovamente alle urne, in un clima sempre segnato dalle violenze squadristiche delle truppe fedeli a Hitler. E tuttavia, i risultati questa volta non sono così favorevoli al nazismo:

  • Ndsap: 33.1% (-4.2%)
  • Spd: 20.4% (-1.2%)
  • Partito Comunista: 16.9% (+2.6%)

Una parte dell’elettorato nazista si è orientato verso i partiti moderati, un altro verso l’astensione. Insomma, i giochi non sono ancora fatti e l’ascesa di Hitler verso le alte leve del potere non sembra così rapida come appariva fino a prima delle elezioni.

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LE ELEZIONI POLITICHE DEL 6 NOVEMBRE 1932

Le ragioni della brusca frenata del Ndsap alle elezioni sono motivate da un lato dalle mosse di Hitler, che una parte del suo elettorato considera da “vecchio politicante” (gli accordi sotto banco con von Papen), dall’altro esiste una fetta di opinione pubblica moderata che si è avvicinata al nazismo spinta dalla crisi ma che non tollera lo squadrismo delle Sa. Insomma, sebbene la borghesia, nel suo complesso, mostri un profondo anticomunismo (e anche una forte ostilità nei confronti del Spd), non si è tuttavia ancora del tutto orientata su posizioni profondamente antidemocratiche, come quelle espresse da Hitler.

Le elezioni, dunque, rappresentano un segnale, che tuttavia la classe dirigente non coglie, nella speranza di utilizzare Hitler come grimaldello contro i comunisti e di riportare l’ordine nel paese anche con la forza illegale delle Sa, per poi sbarazzarsi di Hitler ovvero di integrarlo nel sistema.

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HITLER CANCELLIERE DELLA REPUBBLICA: 30 GENNAIO 1933

Von Papen non ha nessuna intenzione di cambiare rotta e infatti, una volta preso atto del risultato delle elezioni, si mette ancora una volta d’accordo con Hitler per portare quest’ultimo alla Cancelleria del paese:

Il 30 gennaio 1933 Hitler viene nominato Cancelliere; von Papen è il suo vice.

Una mossa che spiazza anche l’elettorato dello Zentrum, che certo non guardano di buon occhio al Ndsap, il quale non fa mistero di rifarsi a miti e riti pagani, per quanto Hitler continui a dichiararsi fervente cattolico; che mette definitivamente fuori gioco il Spd, che pure sperava di rientrare dopo le elezioni; che esalta ancora di più il ruolo di Hindemburg, vero e proprio regista di tutta l’operazione.

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La morte della Repubblica di Weimar: l’incendio del Reichstag

L’INCENDIO DEL REICHSTAG: 27 FEBBRAIO 1933

Dunque, come già accaduto in Italia con Mussolini, anche in Germania i fascisti locali governano inizialmente con un esecutivo di coalizione, di cui fanno parte i cattolici e altre forze conservatrici e con il benestare di Hindemburg. Ma i nazisti non hanno alcuna intenzione di spartire a lungo il potere e sono pronti a sferrare l’attacco finale. Il pretesto viene offerto loro dall’incendio del Reichstag, il palazzo che ospita il Parlamento federale, alle ore nove di sera del 27 febbraio 1933. Le autorità hanno già pronto un colpevole, un militante comunista, Marinus van der Lubbe. Sottoposto a continue torture, Lubbe alla fine confessa il crimine e viene condannato a morte, pena eseguita l’anno successivo. La confessione (estorta) di Lubbe scatena una vasta operazione di repressione nei confronti dei militanti Partito comunista, che vengono arrestati a migliaia. Infine, con un decreto governativo, che diventerà esecutivo dopo le elezioni di marzo, il partito viene messo fuori legge. L’antica battaglia contro il comunismo si conclude qui, con la vittoria di Hitler.

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La morte della Repubblica di Weimar: l’incendio del Reichstag

L’INCENDIO DEL REICHSTAG: 27 FEBBRAIO 1933

Ancora oggi si discute su quell’attentato, soprattutto sulla tempistica: l’incendio del Reichstag, infatti, giunge nel momento più opportuno, quando cioè Hitler sta per dare il via alla cancellazione delle garanzie costituzionali, trasformando il sistema in una dittatura. Alcuni storici, pertanto, pensano che si sia trattato di un attentato del tipo “false flag”, cioè “sotto falsa bandiera”: i nazisti avrebbero organizzato il colpo per far ricadere sui comunisti le colpe. Una sorta di strategia della tensione destinata a rafforzare il potere esecutivo, e dunque la persona di Hitler.

Ad avallare tale ipotesi, la sproporzione tra la personalità del presunto attentatore, uno squilibrato, e la vastità dell’azione, che induce a pensare che con lui (e dietro di lui) ci fossero altre persone.

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LE ELEZIONI POLITICHE DEL 5 MARZO 1933

Hitler intende immediatamente trarre profitto dall’incendio che ha distrutto il Parlamento tedesco e dalla repressione che ne è scaturita. Messi fuori gioco finalmente i comunisti e presentando sé stesso e il suo partito come un baluardo contro la sovversione, Hitler è convinto di ottenere un risultato tale da potere finalmente governare il paese da solo. Questi i risultati delle elezioni che si tengono il 5 marzo 1933:

  • Nsdap: 43.9% (+10.8% rispetto alle elezioni del novembre 1932)
  • Spd: 18,3% (-2.1%)
  • Partito Comunista: 12.3% (-4.6%)
  • Zentrum: 11.2% (-0.7%)
  • Partito Popolare Tedesco: 8% (-0.3%)

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LE ELEZIONI POLITICHE DEL 5 MARZO 1933

Il Ndsap guadagna quasi undici punti percentuali, sfiorando la maggioranza assoluta, che viene tuttavia garantita dall’appoggio di un’altra piccola formazione di estrema destra. Riconfermato Cancelliere della Repubblica ancora di Weimar, egli può ora governare dà solo, chiedendo e ottenendo i “Pieni poteri” non dalla maggioranza bensì dai due terzi del parlamento, grazie ancora una volta ai voti favorevoli di Zentrum e Partito Popolare.

Dunque, l’epopea di Hitler, come già quella di Mussolini dopo l’assassinio di Matteotti, da quando, cioè, governerà da solo il paese, trasformandolo in una dittatura, avviene con il consenso delle forze moderate democratiche e liberali.

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LA DITTATURA NAZISTA

A questo punto la vita politica (e sociale) del paese subisce una brusca accelerazione. Subito viene messo fuori legge il Partito Comunista Tedesco, con conseguente annullamento del risultato elettorale ottenuto dal partito e licenziamento degli 81 deputati eletti, molti dei quali finiscono direttamente in prigione o nei campi di concentramento che cominciano a funzionare a pieno regime nel paese.. Il Spd tace, mentre il potente sindacato Adgb decide addirittura di festeggiare il 1° Maggio con i nazisti, per poi essere liquidato anch’esso dalle Sa il giorno successivo. Il 22 giugno viene sciolto d’autorità anche il Spd e licenziati i suoi 120 deputati appena eletti. Il Zentrum, invece, decide di sciogliersi spontaneamente, dopo che Hitler ha firmato un accordo con il Vaticano. Il 14 luglio Hitler mette fuori legge tutti i partiti, sancendo la nascita della dittatura. Il 1° dicembre viene stabilita per legge l'unità tra il partito e lo Stato. La Repubblica di Weimar è morta. Scomparso il ruolo di mediazione e rappresentanza dei partiti e del parlamento, il nuovo modello politico si fonda ora direttamente sul rapporto tra il Fuhrer e le masse

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LA MORTE DI HINDEMBURG: HITLER FUHRER DELLA GERMANIA

Il 2 agosto 1934 anche Hindemburg muore. Ma ormai la democrazia non esiste più e così Hitler decide di fondere la carica di Presidente della Repubblica con quello di Cancelliere in un’unica persona, la sua, e con la creazione di una nuova carica, quella di Fuhrer.

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ADOLF HITLER

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Il soggiorno viennese

Hitler nasce nella cittadina austriaca di Braunau am Inn il 20 aprile 1889 da una famiglia cattolica borghese. Suo padre, Alois, è un uomo severo e violento, che avrà tre mogli. Hitler è figlio di Klara Polzi, che lo mette al mondo all’età di 29 anni.

Tralasciando la fanciullezza, uno dei passaggi più significativi della vita di Hitler è rappresentato dal suo lungo soggiorno a Vienna, dove cerca di affermarsi come pittore, ma senza alcun successo.

Matura così una profonda ostilità nei confronti degli ambienti accademici che finisce con il sommarsi ad una avversione crescente nei confronti della stessa capitale austriaca, vista come una città caotica e corrotta, priva di una propria identità: una città meticcia. Sempre a Vienna, dove vive una forte comunità ebraica, Hitler si avvicina a posizioni decisamente antisemite.

Quando scoppia la guerra, Hitler è un uomo in lotta con il suo stesso mondo, sentendosi quasi uno straniero in patria. Decide così di arruolarsi con l’esercito tedesco.

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I fallimenti esistenziali

Scrive lo storico Alfred Grosser:

“Hitler è un solitario, un marginale, un ex combattente uguale a milioni di uomini che la sconfitta aveva gettato, amareggiati, stanchi, degradati, per le vie della città dell'Europa insanguinata. Manovale, ospite di un albergo dei poveri, pittore di cartoline postali, candidato sfortunato dell'Accademia di Belle Arti: tutti fallimenti [...]”

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L’esperienza della I Guerra Mondiale

Dunque, la vita di Hitler è costellata da fallimenti, ma quello più doloroso è rappresentato senza dubbio dalla sconfitta patita dalla Germania nella I Guerra Mondiale, che egli imputa al tradimento delle forze di ispirazione marxista, Spd e comunisti. Di conseguenza, tornato dal fronte si lega a movimenti di estrema destra, che si battono contro i rossi nelle piazze di tutto il paese.

Tuttavia, molti movimenti destrorsi tendono a presentarsi con programmi avanzati socialmente, come d’altro accade in Italia con il Movimento dei Fasci, come nel caso del Partito Tedesco dei Lavoratori, al quale Hitler aderisce.

E tuttavia, i nemici, i comunisti in particolare, sono decisamente più numerosi e più organizzati. E così il variegato mondo del nazionalismo tedesco decide di dare vita ad un unico fronte.

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La nascita del Ndsap

Nasce il Partito Nazional Socialista dei Lavoratori Tedeschi (Ndsap). Significativamente, oltre alla svastica (un antico simbolo indiano) viene adottata significativamente anche la bandiera rossa. E’ evidente l’intento di sfidare le forze marxiste sul loro stesso terreno. Una doppiezza che svela tutta la propria ipocrisia di fronte alla dura repressione che il governo socialdemocratico attua, con il consenso e l’appoggio delle forze conservatrici, contro i comunisti, repressione che il Ndsap saluta con entusiasmo.

E tuttavia il partito non è certamente soddisfatto della nascita di un nuovo sistema liberale e democratico, al quale spetta il compito di firmare la pace con le forze dell’Intesa. Torna il fantasma del conflitto appena concluso, l’idea che dietro la sconfitta ci sia il complotto delle forze marxiste. Il Ndsap coltiva inoltre l’idea che fu già dei movimenti destrorsi di fine secolo che la democrazia sia, in buona sostanza, l’anticamera della sovversione.

Nasce così l’idea di una sollevazione per spianare la strada ad un colpo di Stato militare.

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Il Putsch di Monaca, 8-9 Novembre 1923

La cospirazione prevede una sollevazione militare in Baviera che avrebbe dovuto portare ad un colpo di Stato militare. E tuttavia, quello che passerà alla storia come “Putsch di Monaco” manca non solo di un solido appoggio popolare (le masse rimangono completamente estranee al complotto) ma anche di quelli militari.

Insomma, Hitler e i suoi uomini sono completamente isolati nella società tedesca, che si avvia rapidamente verso la ripresa anche grazie all’appoggio economico americano.

Hitler viene condannato a cinque anni di galera, ridotta in seguito a pochi mesi, sufficienti per scrivere e dare alle stampe un’opera dal titolo Mein Kampf (La mia battaglia), una sorta di autobiografia e manifesto politico del futuro movimento nazista, che tuttavia si dimostra un fiasco editoriale.

�Insomma, i tempi non sono ancora maturi per la battaglia di Hitler. Qualcosa di veramente grosso dovrà abbattersi sul paese prima che i tedeschi comincino a prendere sul serio questo ex pittore austriaco.

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La crisi del 1929

Fino al 1929 l’estrema destra tedesca non è che una forza marginale nel panorama politico tedesco. Ancora nel 1928, il Ndsap, infatti, non va oltre il 2.6% dei suffragi. D’altro canto, la Germania è un paese che viaggia con il vento in poppa, grazie ai capitali americani, certo, ma anche al desiderio di lasciarsi indietro le ferite della guerra. Una sorta di rivincita economica, che riporta il paese ai primi posti tra le grandi potenze planetarie. In questo clima, non c’è spazio per l’esaltazione della forza, per la rabbia e il razzismo ancora latente del nazismo. Come non c’è spazio nemmeno per un’altra forza antisistema, il Partito comunista. La società tedesca si orienta a maggioranza verso le forze che stanno garantendo questo benessere.

Chi trova la voglia e lo stomaco di leggere il Mein Kampf, sorride di fronte ai deliri di un pessimo scrittore che vede nemici ovunque, non può minimamente immaginare che si tratta di un manifesto politico destinato ad essere fatto proprio dalla maggioranza assoluta dei tedeschi e a gettare la basi addirittura per un “nuovo ordine mondiale”.

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Classe operaia, ceto medio e poteri forti di fronte al Nazismo

E’ bene tuttavia sgombrare il campo da facili conclusioni, alle quali si è indotti anche da una storiografia semplicistica: Hitler non conquista il cuore dei tedeschi nei travagliati anni che seguono la grande crisi del 1929. La classe operaia, per esempio, rimane estranea al nazismo e su di essa si costituirà quella classe dirigente che, con l’appoggio delle truppe di occupazione sovietica, daranno vita alla Ddr (la Germania democratica alias comunista) dopo la fine del conflitto, come anche vasti strati contadini e di borghesia intellettuale urbana. Insomma, come già accaduto con il fascismo, l’ossatura del nazismo è rappresentata dal ceto medio, letteralmente stritolato dalla crisi, profondamente deluso da un sistema capitalistico fino ad allora chiave del loro successo economico e terrorizzato dal comunismo. E’ in primo luogo a loro che Hitler si rivolge, offrendogli una facile via d’uscita, che passa attraverso l’annientamento del comunismo e la lotta contro coloro che, in patria e all’estero, complottano contro la Germania: la grande finanza ebraica.

Ma come già accaduto in Italia con Mussolini, nemmeno Hitler avrebbe potuto conquistare il potere senza, quanto meno, l’accondiscendenza dei poteri forti, la debolezza e le divisioni delle forze antifasciste.

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Le SA

Dopo la crisi del 1929, Hitler dispiega le sue forze armate, le Sa, in particolare contro i comunisti, conquistando vasti consensi presso i ceti medi. Quindi si rivolge ai poteri forti, mostrandosi come partito dell’ordine, in particolare dopo che Hitler è diventato Cancelliere e dopo l’incendio del Reichstag. Ma a questo punto sono gli stessi poteri forti a chiedere un radicale cambio di rotta, invitando Hitler ad arginare il crescente potere delle Sa, per le quali la battaglia in corso è la prima di una lunga guerra destinata a creare realmente un nuovo ordine mondiale, che, per quanto avverso al comunismo, non è sicuramente favorevole ad un capitalismo affaristico che manda in rovina i tedeschi. E tuttavia, i poteri forti sono proprio quelli, le centrali finanziarie e industriali del paese, che hanno dato il loro appoggio a Hitler per riportare l’ordine nel paese e fermare la sovversione comunista. Per Hitler è un problema non di poco conto, in quanto le Sa rappresentano l’anima sovversiva del nazismo. Ma ora che il nazismo si è fatto Stato le Sa rischiano di minare il rapporto tra il Fuhrer e i poteri forti del paese. Inoltre, il fondatore e leader delle Sa, Ernst Rohm, è persona dotata di grande carisma, potenzialmente in grado di sfidare Hitler.

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Adolf Hitler: le SS

Le Schutz-staffeln (Ss), le “squadre di protezione”, nascono nel 1925 come guardia personale di Hitler. Il 6 gennaio 1929 lo stesso Hitler le affida ad un suo uomo di fiducia, Heinrich Himmler. Fino al 1932 la divisa delle Ss è la medesima delle Sa, bruna, per poi adottarne una completamente nera. Il simbolo del gruppo resterà invece sempre lo stesso: un teschio con due ossa incrociate. E’ alle fedeli Ss che Hitler affida il compito di liquidare le ribelli Sa, pena la fine della cosiddetta “rivoluzione nazionalsocialista”.

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La “Notte dei lunghi coltelli” (29-30 giugno 1933)

Hitler, a differenza di Mussolini, ha conquistato il potere attraverso tutta una serie di successi elettorali, sebbene, come il duce del fascismo, grazie all’appoggio dei settori moderati della società, i quali, ora, chiedono di mettere un freno alle scorribande delle Sa.

Il problema per Hitler è che Rohm non è Farinacci né le Sa sono paragonabili alle squadre d’azione fasciste. Pensare ad una loro “istituzionalizzazione” come ha fatto Mussolini è fuori discussione: Rohm non accetterebbe mai un simile compromesso e, forse, nemmeno i poteri forti.

Al fuhrer, di conseguenza, non rimane che un’unica strada, se vuole continuare a guidare il paese e coronare il sogno di un nuovo ordine mondiale: liquidare le Sa. Si tratta, dunque, di sfidare Rohm sul suo stesso terreno, quello della violenza e per questo Hitler ha una sola arma efficace, la sua polizia privata, le Ss di Himmler.

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La “Notte dei lunghi coltelli” (29-30 giugno 1933). Hitler Fuhrer della Germania

L’azione, accuratamente preparata, scatta nella notte tra il 29 e il 30 giugno 1933, quando Hindemburg, sebbene molto malato, è ancora in vita. Le Ss agiscono di sorpresa: molti quadri del movimento vengono colti nel sonno, altri mentre sono in compagnia di parenti e amici e altri ancora mentre gozzovigliano nelle birrerie e nei locali notturni. Rohm viene catturato dallo stesso Hitler: verrà condannato a morte l’anno dopo.

Complessivamente, si contano non meno di settanta Sa uccise e un numero imprecisato di arresti. L’epurazione degli elementi più radicali del nazismo proseguirà poi nei mesi successivi, in particolare tra le forze di polizia e nell’esercito, dove le Sa avevano un seguito notevole.

Il 19 agosto, quasi il 90% dei tedeschi approvano il passaggio dei poteri presidenziali del defunto Hindemburg nelle mani di Hitler. Il Fuhrer è ormai il padrone della Germania.

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La politica economica del Nazismo

Le Sa erano un problema non di poco conto per Hitler, in quanto fautori di quella “Terza via” che Hitler aveva propugnato negli anni passati, vale a dire un sistema alternativo sia al comunismo sia al capitalismo internazionalisti, una sorta di “corporativismo” nazista. La differenza con il fascismo, però, è che quest’ultimo vede hegelianamente nello Stato il fine della politica, mentre il nazismo lo considera un mero mezzo per l’affermazione di una razza superiore. Ebbene, un simile visione non poteva accordarsi con i poteri forti del paese ai quali Hitler deve la sua ascesa al potere e alle quali dovrà affidarsi per costruire il III Reich e sfidare il mondo intero.

Una volta liquidato Rohm, Hitler ripone la sua retorica anticapitalistica mostrandosi alla nazione, e al mondo intero, come uomo politico moderato e moderno che persegue la rinascita economica del paese. Lo Stato avrà un ruolo cardine nel favorire l’industria nazionale, anche grazie alla progressiva eliminazione dei capitalisti ebrei e di quelli, in qualche maniera, considerati nemici della Germania, ad un protezionismo sempre più forte (ma mai totale, in quanto la Germania è priva di molte risorse, a partire dal petrolio) e ad una forza lavoro annichilita dalla violenza squadristica.

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La politica economica del Nazismo

Ma, soprattutto, il successo della Germania nazista sta nel convertire l’intera produzione nazionale a fini bellici, in vista dello scontro finale con il resto del mondo al quale Hitler crede fermamente, al contrario di tanti osservatori del periodo. In poco tempo, la Germania torna ad essere la potenza industriale più forte, anche se se la deve vedere con l’Unione Sovietica di Stalin, che in pochi anni si è lasciata alle spalle i retaggi di un’economia praticamente feudale.

L’economia nazista rispecchia, almeno in parte, l’andamento globale post crisi 1929, con un deciso intervento dello Stato in economia. E tuttavia, negli Usa l’aumento della spesa pubblica è dovuta in primo luogo al sostegno della domanda interna, mentre in Germania deriva dai grandi investimenti pubblici nei settori strategici, con il fine di riarmare il paese. Insomma, la ripresa economica e la piena occupazione sono dovuti in primo luogo al programma di Hitler, che prevede di scatenare una guerra nel giro di pochi anni La differenza tra le due economie si riscontra anche nei salari dei lavoratori: mentre negli Usa questi aumentano e, soprattutto, aumenta il loro potere d’acquisto grazie agli investimenti pubblici nei servizi, in Germania accade esattamente il contrario. E tuttavia l’avere raggiunto la piena occupazione (o quasi) e in così poco tempo, garantisce a Hitler un consenso indubbiamente vasto.

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La politica economica del Nazismo

In sintesi: negli Usa sono i consumatori a stimolare la domanda, favorendo in tal modo la ripresa, mentre in Germania la ripresa arriva grazie soprattutto al basso costo del lavoro e ai finanziamenti dello Stato nei settori considerati strategici e ad una generale politica del riarmo che favorisce gli investimenti.

Alti profitti e bassi salari e politica del riarmo, questa la ricetta di Hitler, che ricorda, per certi versi, le politiche che i paesi europei adottarono dopo un’altra grande crisi, quella del 1873. L’obiettivo, tuttavia, non è una semplice ripresa economica ma un “nuovo ordine mondiale” in grado non solo di eliminare la minaccia comunista ma anche di ridimensionare le grandi potenze capitalistiche.

Ma Hitler coltiva anche un altro grande sogno: eliminare dalla faccia della Terra gli Ebrei.

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La persecuzione degli Ebrei

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Gli ebrei e la I Guerra Mondiale

Hitler è stato sempre antisemita: in gioventù, a Vienna soprattutto, dove vi era una forte comunità ebraica, e poi al fronte e, ancora di più, dopo la fine della I Guerra mondiale, quando si convince che la sconfitta è frutto di un tradimento, che accomuna socialisti ed ebrei, i nemici della nazione. Si tratta di un antisemitismo certamente non originale, che accomuna quasi tutte le forze nazionaliste europee e che non fanno breccia nemmeno negli anni più difficili del dopoguerra sulla pubblica opinione. E tuttavia, quello che Hitler andrà maturando dopo il Putsch del 1923 è un antisemitismo di natura diversa, biologica, che passa attraverso la convinzione che l’umanità si divida in razze e che queste combattano per la sopravvivenza, allo stesso modo di quanto descritto da Darwin per il mondo animale.

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La crisi del 1929

E’ solamente con la grande crisi del 1929 che l’antisemitismo hitleriano comincia a fare breccia in una società annichilita, soprattutto tra gli strati sociali borghesi che mai avevano vissuto in passato una simile situazione. I nemici sono coloro che hanno affamato la Germania: i banchieri, il governo, i comunisti, la stessa democrazia. Per salvarsi dalla crisi, occorre dunque difendere i tedeschi da questi pescecani, in particolare dagli ebrei, che si annidano nella classe capitalistica così come tra i comunisti e che complottano contro la Germania così come dopo la I Guerra Mondiale. Dunque, per Hitler capitalismo e comunismo sono, da questo punto di vista, due facce della medesima medaglia.

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Il governo nazista e la “questione ebraica”

Una volta salito al potere, Hitler può finalmente mettere in atto il suo progetto, che consiste in una rapida liquidazione della democrazia e delle sue garanzie. A farne le spese, in primo luogo i comunisti, poi i socialisti, quindi i sindacati e, naturalmente, gli ebrei.

Nei mesi che precedono l’ascesa di Hitler al governo, i nazisti danno vita ad una vasta operazione di boicottaggio degli esercizi commerciali gestiti dagli ebrei in nome della difesa del commercio nazionale. Quindi, una volta ottenuto l’incarico di guidare la nazione, Hitler comincia una vera e propria opera di discriminazione degli ebrei tedeschi, che culmina, nel 1935, con le cosiddette “Leggi di Norimberga”.

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Le “Leggi di Norimberga” del 1935

“Il Reichstag fermamente convinto che la purezza del sangue tedesco sia essenziale per il futuro del popolo tedesco e ispirato dalla inflessibile volontà di salvaguardare il futuro della nazione Germanica, ha unanimemente deciso l'emanazione della seguente legge”

Con queste parole, si apre ufficialmente la guerra di Hitler contro gli ebrei, che culminerà con il piano di sterminio dell’intera popolazione ebraica nel corso della II Guerra Mondiale. E’ il 1935 quanto il governo vara le “leggi per la protezione del sangue e dell’onore tedesco”.

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Le “Leggi di Norimberga” del 1935

Articolo I

1. I matrimoni tra ebrei e cittadini di sangue tedesco o affini sono proibiti.

Articolo II

Le relazioni extraconiugali tra ebrei e cittadini di sangue tedesco o affini sono proibite.

Articolo III

Agli ebrei non è consentito impiegare come domestiche donne di sangue tedesco o affini di età inferiore ai 45 anni.

Articolo IV

1. Agli ebrei è vietato esporre la bandiera nazionale del Reich o i suoi colori.

2. Agli ebrei è consentita l'esposizione dei colori giudaici. L'esercizio di questo diritto è tutelato dallo Stato.

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Le “Leggi di Norimberga” del 1935

Articolo V

1. Chiunque violi il divieto previsto dall'Articolo I sarà condannato ai lavori forzati.

2. Chiunque violi il divieto previsto dall'Articolo II sarà condannato al carcere o ai lavori forzati.

3. Chiunque violi i divieti previsti dall'Articolo III e dall'Articolo IV sarà punito con un anno di carcere o con una ammenda, oppure con entrambe le sanzioni.

Uno degli autori di questo nauseante documento è Hans Globke, un giurista senza tessera di partito e per questo motivo mai processato da alcun tribunale a guerra finita in quanto non nazista. Al contrario, alcuni anni dopo la fine della II Guerra Mondiale, entrerà a far parte di alcuni governi della Repubblica Federale Tedesca

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Le Olimpiadi di Berlino 1936

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LE OLIMPIADI DI BERLINO: AGOSTO 1936

Ma che cosa fa il resto del mondo? Qual è la posizione delle nazioni democratiche di fronte al nazismo? Le reazioni non sono assolutamente proporzionate alla gravità della situazione. Si assiste a generiche condanne o poco più. E tuttavia, ci sarebbe un modo per colpire duramente il III Reich: annullare o boicottare le Olimpiadi previste per l’estate del 1936 a Berlino. Ma questo non accade. E così le Olimpiadi si trasformano in un palcoscenico dal quale Hitler può mostrare la forza e l’efficienza di una nazione lanciata verso il futuro, come dimostra la presenza di telecamere per trasmettere gli eventi in diretta in una scatola destinata a radioso futuro: la televisione.

Naturalmente, atleti e giornalisti, presenti a migliaia a Berlino, non hanno libertà di movimento: non possono, per esempio, girare nei quartieri proletari della città, quelli nei quali la violenza nazista si è dispiegata senza freni e dove, comunque, il regime ha già arrestato centinaia di oppositori; non esiste, inoltre, alcuna traccia di quell’antisemitismo che tanto clamore aveva suscitato l’anno precedente, dopo la promulgazione delle Leggi di Norimberga. Insomma, il paese appare pulito, ordinato ed efficiente e nemmeno così spietato come avevano raccontato coloro che erano riusciti a fuggire negli anni precedenti,

Insomma, un successo senza precedenti, macchiato, tuttavia, dalle gesta di uno straordinario atleta afroamericano, Jesse Owens, che il dittatore tedesco si guarderà bene dal premiare.

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LA NOTTE DEI CRISTALLI: 9-10 NOVEMBRE 1938

Una volta terminate le Olimpiadi, il regime continua a perseguitare oppositori politici ed ebrei. I primi cominciano ad affollare i primi campi di concentramento che cominciano a sorgere in varie parti del paese, mentre i secondi continuano ad essere vittime di violenze generalizzate. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre, quasi ottomila esercizi commerciali, quasi tutte le sinagoghe e i cimiteri ebraici sono fatti oggetto di violenza sia da parte delle Ss, sia da comuni cittadini. Questo significa che l’antisemitismo ha cominciato a penetrare nella società tedesca. D’altro canto, la forza del nazismo non sta solamente sull’adesione popolare (che è comunque massiccia, come hanno dimostrato le elezioni, fino a quando la Germania era un paese democratico), ma anche sull’indifferenza delle grandi masse Sull’indifferenza e sulla paura: perché accanto alle decine di persone che prendono parte alle violenze e alle centinaia che applaudono alle violenze, ve ne sono migliaia che assistono passivamente.

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LA NOTTE DEI CRISTALLI: 9-10 NOVEMBRE 1938

Per Hitler esiste un “problema ebraico” in Germania. Ma nonostante le violenze, egli per il momento propende per una sorta di deportazione di massa al di fuori dei confini nazionali. Si pensa a qualche amena località africana, come per esempio nell’isola del Madagascar. Una soluzione che non sembra disturbare troppo una pubblica opinione europea nella quale l’antisemitismo è sempre stato presente. Insomma, di Hitler si vuole vedere soprattutto quello che è riuscito a fare in pochi anni, trascinando fuori dalla crisi un paese annichilito e cancellando del tutto il pericolo di una sovversione comunista. Insomma, ancora una volta il terrore rosso finisce - come già dopo la fine della I Guerra Mondiale - per prevalere su qualsiasi altra considerazione.

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L’ESCALATION MILITARE

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IL NAZISMO VERSO LA GUERRA

Hitler conquista il potere nel 1933. Nel 1939 scoppia la II Guerra Mondiale. In sei anni Hitler ha trascinato il mondo verso un nuovo spaventoso conflitto planetario. Perché nessuno l’ha fermato? Come è stato possibile che, a distanza di vent’anni dalla tragedia della I Guerra Mondiale, sia sia ripetuta una simile tragedia?

Hitler non ha mai nascosto di volere creare un “nuovo ordine mondiale”, dunque di rivedere gli equilibri di Versailles: lo ha scritto nel suo Mein Kampf e lo ha gridato nelle piazze del paese, prima, durante e dopo la sua ascesa al potere. Ma nessuno ha mosso un dito per fermarlo. Perché?

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IL NAZISMO VERSO LA GUERRA

A pesare è proprio il ricordo dell’ultimo conflitto, di una carneficina che nessuno ha intenzione di rivivere. E questo determina un atteggiamento di sostanziale passività tra le potenze occidentali. Una passività che si trasforma tuttavia in connivenza, allorquando, pur di accontentare Hitler ed evitare il ripetersi della tragedia del 1914-1918, si lascia campo aperto all’esercito tedesco, che in pochi anni fagocita l’Austria e la Cecoslovacchia. A questa paura, si aggiunge quella del comunismo, mai del tutto sopita nemmeno negli anni del boom economico, figuriamoci dopo la crisi. Una crisi che, naturalmente, non lambisce lo Stato sovietico, che, anzi, in questi anni si avvia rapidamente verso l’industrializzazione. Ecco allora che, almeno fino all’invasione della Polonia da parte della Germania nazista, con il conseguente scoppio della II Guerra Mondiale, avvenuta il 1 settembre 1939, le potenze occidentali preferiscano Hitler a Stalin. A tutto ciò va aggiunto il ruolo defilato degli Usa nella politica europea subito dopo la fine della I Guerra Mondiale (con la sconfitta dei democratici alle presidenziali) e continuata, in buona sostanza, anche da Roosevelt.

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IL NAZISMO VERSO LA GUERRA

E così, quando Hitler darà il via all’escalation militare, prima violando tutti i patti contratti a Versailles, riarmando l’esercito e liberando le zone fino ad allora amministrate dalle forze dell’Intesa, e poi annettendosi Austria e Cecoslovacchia, l’Occidente lascerà fare, scatendando le ire di Stalin, favorevole ad una incisiva politica antifascista, come dimostrano i Fronti popolari e la Guerra civile spagnola. L’impressione è che l’Occidente spinga Hitler verso Stalin (Austria e Cecoslovacchia sono ad Est della Germania e confinano con l’impero comunista), nella speranza che riesca alla Germania quello che non è riuscito alle potenze dell’Intesa dopo la resa di Lenin alla Germania. Di più: oltre a sperare nella sconfitta dell’Urss, che cancellerebbe, una volta per tutte, la minaccia comunista dalla Terra, si spera anche che Hitler - per così dire - si rompa le corna, uscendo profondamente ridimensionato da una simile guerra. D’altro canto, il nazismo è nata come forza anticomunista e Hitler nel Mein Kampf ha definito la Russia lo “spazio vitale” della Germania. A contribuire a questa escalation, anzi quasi ad aprirla, ci sono anche altri paesi, in primo luogo Italia e Giappone, che presto si uniranno alla Germania, dando vita ad un fronte, il Patto anticomintern, basato sulla comune ostilità al comunismo, ma che in realtà prevede di gettare le basi per un nuovo ordine planetario.

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L’ESCALATION

3 Ottobre 1935: Guerra di Etiopia. L’Italia inizia le operazioni belliche nel Corno d’Africa contro l’Etiopia. La Società delle Nazioni la punisce con le sanzioni, che si rivelano tuttavia inefficaci grazie anche alla Germania, che, uscita dalla Società per volontà di Hitler, aiuta economicamente Mussolini.

Marzo 1935: prima violazione dei Trattati di Versailles da parte di Hitler, con la reintroduzione della coscrizione militare e la ricostituzione dell’Esercito (Wermacht), della Marina (Kriegsmarine) e dell’Aviazione (Luftwaffe). Nessuna reazione da parte della comunità internazionale, se non generiche condanne.

Marzo 1936: nuova violazione dei Trattati di Versailles da parte di Hitler, occupando la zona smilitarizzata della Renania. Nessuna reazione significativa da parte della comunità internazionale

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L’ESCALATION

Luglio 1936: Sollevazione militare delle truppe di Francisco Franco. Inizia la guerra civile in Spagna, tra le truppe golpiste di Franco e le forze legate al governo repubblicano legittimo. Nazisti e fascisti inviano soldati ed aiuti di ogni genere a sostegno di Franco. Dalla parte della Repubblica si schiera apertamente solo l’Urss, ma senza inviare soldati.

Ottobre 1935: nasce l’Asse Roma-Berlino

12 Marzo 1938: Anschluss. La Germania nazista si annette l’Austria, violando ancora una volta i Trattati di Versailles, che impedivano la riunificazione tra i due paesi. Ancora una volta nessuna reazione significativa.

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LA CONFERENZA DI MONACO: 29-30 Settembre 1938

L’annessione dell’Austria - altra violazione dei Trattati di Versailles, che violavano l’unificazione tra i due paesi - determina una prima blanda reazione da parte delle potenze occidentali. D’altro canto, appare ormai chiaro che Hitler non ha intenzione di fermarsi qui e che il prossimo obiettivo è rappresentato dal territorio dei Sudeti, una regione della Cecoslovacchia dove è presente una numerosa comunità tedesca, che - a detta dei nazisti - viene continuamente vessata dai locali. Per evitare un conflitto tra i due paesi, viene convocata una conferenza a Monaco. La scelta di Monaco, che rappresenta un po’ la patria del Nazismo (insieme a Norimberga) è significativa della debolezza delle potenze occidentali. Inoltre, l’Unione Sovietica, che pure confina con la Cecoslovacchia e contro la quale Hitler non manca mai di lanciare violenti strali, non viene nemmeno invitata. Ci sono invece il Primo Ministro francese Daladier e il suo omologo inglese Chamberlain, oltre a Mussolini e Hitler.

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LA CONFERENZA DI MONACO: 29-30 Settembre 1938

Si giunge ad un accordo che, tuttavia, va a tutto vantaggio di Hitler. Infatti, i Sudeti passano sotto il controllo della Germania, violando, dunque, la sovranità della Cecoslovacchia, in barba ad ogni diritto internazionale. La Società delle Nazioni non interviene, decretando, in tal modo, la propria morte.

Protesta, naturalmente, la Cecoslovacchia, non immaginando nemmeno che cosa dovrà ancora accadere di lì a pochi mesi. Protesta anche l’Unione Sovietica, mentre inglesi e francesi si dicono soddisfatti, convinti di aver preservato la pace in Europa. Ma il capo dell’opposizione conservatrice inglese dichiara:

“Regno Unito e Francia dovevano scegliere tra la guerra e il disonore. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra!”.

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L’INVASIONE DELLA CECOSLOVACCHIA: 13 MARZO 1939

La Conferenza di Monaco rappresenta l’apice della cosiddetta “strategia dell’appeasement” (del contenimento), portata avanti da Londra e Parigi per evitare lo scoppio di un conflitto di vaste proporzioni. E tuttavia, tale strategia, demolendo gli equilibri di Versailles, non può che portare ad una nuova guerra, come giustamente evidenziato da Churchill. E infatti, pochi mesi dopo, la la Germania invade la Cecoslovacchia.

Il mondo protesta, ma non muove un dito. Particolarmente adirato è Stalin, che si dice convinto che l’Occidente intenda scatenare il III Reich contro l’Unione Sovietica. E non a torto. D’altro canto, Hitler non solo viene visto come il male minore - di fronte al comunismo - ma gode anche di simpatie persino negli ambienti di corte inglesi.

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IL PATTO RIBBENTROP-MOLOTOV: 23 AGOSTO 1939

Ma Stalin non ha alcuna intenzione di stare a guardare mentre la Wermacht si avvicina sempre di più ai suoi confini. E tuttavia la mossa del dittatore sovietico spiazza tutti.Il patto con la Germania, che viene firmato il 23 agosto 1939, coglie di sorpresa la pubblica opinione internazionale e, soprattutto, i governi occidentali. E’ ormai sotto gli occhi di tutti il fallimento della strategia dell’appeasement: Hitler, non solo non ha alcuna intenzione di fermarsi, ma stringe patti proprio con il nemico dell’Occidente, Stalin. E dato che la forza del nazismo risiede nella sua capacità di mobilitarsi militarmente, a nessuno sfugge che le prossime mosse saranno rivolte proprio contro le potenze occidentali e i loro alleati.

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IL PATTO RIBBENTROP-MOLOTOV: 23 AGOSTO 1939

Le immagini dei due ministri degli esteri, quello tedesco e quello sovietico, che firmano il Patto di non aggressioni fanno ancora oggi un certo effetto, poiché fino a pochi mesi prima Germania e Urss erano acerrime nemiche. Questo patto sancisce la fine definitiva degli accordi di Versailles, lanciando l’Europa - e presto il mondo intero - verso una nuova grande catastrofe.

Infatti, le clausole del patto prevedono la spartizione della Polonia, paese alleato di Francia e Inghilterra che, a questo punto, non sono più disposte a lasciare correre.

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Considerazioni storiografiche sul nazismo

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Hermann Rauschning

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Hermann Rauschning: “La rivoluzione del nichilismo”

Lo scrittore tedesco Hermann Rauschning rappresenta molto bene la parabola della borghesia tedesca di fine anni Venti, che passa rapidamente dal sostegno alla Repubblica di Weimar al nazismo. Dopo la crisi del 1929, Rauschning è letteralmente terrorizzato dall’eventualità che i comunisti prendano il potere e così decide di iscriversi al Partito nazista, verso il quale era stato molto critico fino ad allora. E tuttavia, a differenza di quanto accadrà per tanti altri intellettuali conservatori e, più in generale, per la maggioranza del popolo tedesco, Rauschning si accorge della vera natura del nazismo, cioè quella di un movimento non conservatore bensì reazionario e violento. E così, dopo avere denunciato la deriva dittatoriale, si vede costretto a fuggire negli Usa, dove pubblica La rivoluzione del nichilismo, un’opera destinata a riscuotere immediato successo e a rappresentare una dettagliata fotografia della Germania negli anni dell’espansione nazista.

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Hermann Rauschning: “La rivoluzione del nichilismo”

Rauschning riconosce di aver fatto un “tragico errore di valutazione”: sperava fosse un partito conservatore che si batteva contro l’eversione comunista e invece è esso stesso un partito sovversivo, per di più estraneo all’intera cultura europea.

Hitler -- scrive l’autore-- non intende conservare alcunché della Germania, in quanto persegue solamente la pura distruzione. Di qui la nota definizione del nazismo come “rivoluzione senza dottrina”, una “rivoluzione nichilista”.

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Emmanuel Levinas

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Emmanuel Levinas: “Rivolta contro la cultura occidentale”

Il filosofo francese Emmanuel Levinas rimane fortemente colpito dal modo in cui un partito palesemente antidemocratico e razzista abbia potuto conquistare il cuore di un paese ricco di storia, tradizioni e cultura come la Germania. Egli definisce il nazismo come il “risveglio di sentimenti elementari” per lo più estraneo alla cultura europea. E questo perché la storia della cultura europea è caratterizzata dalla lotta dell’anima contro il corpo, dello spirito sugli istinti. Al contrario, il nazismo intende “ricondurre l’uomo alla sua condizione originaria”.

Levinas non manca di condannare l’atteggiamento di alcuni noti intellettuali tedeschi, a cominciare da Martin Heidegger:

“Ricordo che sono andato a Friburgo da studente per conoscere Heidegger e per assistere ai suoi corsi universitari. Avevo la ferma intenzione di scrivere la tesi sul suo pensiero. Era il periodo in cui Heidegger era già molto celebre e quindi non era difficile riconoscere in lui un maestro”

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Karl Lowith

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Karl Lowith: “Una malattia morale”

Karl Lowith è un filosofo tedesco di origine ebraica. Quando Hitler conquista il potere, riesce a fuggire prima in Giappone e poi negli Usa. In La mia vita in Germania prima e dopo il 1933, l’autore non nasconde la sua profonda delusione nei confronti del popolo tedesco, denunciando la facilità con cui il nazismo è riuscito a penetrare in tutti gli strati della società e soprattutto tra gli intellettuali. Ancora una volta ad essere criticato è soprattutto Martin Heidegger, suo collega all’università:

“Almeno per rispetto a me, che sono ebreo, avrebbe potuto togliersi quella famigerata croce uncinata dall’occhiello della giacca”.

Lowith ritiene il nazismo una “malattia morale”, frutto di una visione nichilistica della vita che ha dissolto la società borghese e quella cristiana, distruggendo l’idea stessa di umanità.

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Karl Lowith: “Una malattia morale”

Anche per Lowith, dunque, il nazismo rappresenta una radicale forma di nichilismo, che, tuttavia, non è qualcosa di estraneo alla cultura tedesca degli ultimi centocinquanta anni, a suo parere caratterizzato da un “processo di consumazione dello spirito”, che, nel corso dell’Ottocento, sostituisce l’idea di Progresso con un “sentimento della Decadenza”. Vero che tale sentimento si riscontra un po’ in tutta la cultura europea del tempo, ma è soprattutto in Germania che si trasforma in una vera e propria protesta. Anzi, per Lowith la Germania è “il paese dell’eterna protesta”, la cui storia è costellata da una profonda inquietudine, a causa di un forte sentimento di paura, di accerchiamento. Ed è così che personaggi tra loro molto diversi, come Lutero, Federico il Grande, Bismark e Hitler, vengono da Lowith accomunati in quella “eterna protesta” che rappresenta il fondamento di tutte le tragedie della Germania.

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Karl Jaspers

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Karl Jaspers: “La questione della colpa”

Il medico e filosofo Karl Jaspers è uno dei padri dell’Esistenzialismo. Amico e collega di Heidegger, è testimone dell’ascesa di Hitler al potere, non cogliendone tuttavia i pericoli, almeno all’inizio. Pur se sostanzialmente indifferente al III Reich, i nazisti lo metteranno ugualmente sotto controllo, fino ad emarginarlo quasi completamente dalla vita pubblica e questo per un motivo ben preciso: ha sposato ad una ebrea, Gertrud Mayer. Con la fine della guerra e la disfatta nazista, Jaspers torna a parlare in pubblico, conducendo una dura requisitoria non solo contro il III Reich, ma anche contro il suo stesso popolo. Negli stessi giorni in cui i gerarchi nazisti sono sotto processo a Norimberga, Jaspers mette a processo tutto il popolo tedesco. E’ la cosiddetta “Questione della colpa” (Schldfrage), che suscita un ampio dibattito, sebbene più fuori che dentro i confini tedeschi. Secondo l’autore, dopo il nazismo, la guerra e il genocidio “la dissoluzione dello spirito tedesco è completo”. E tuttavia i tedeschi sono sopravvissuti, a differenza di quanto accaduto ad altri popoli. Sopravvissuti -- sottolinea Jaspers -- “senza alcun merito e senza alcuna legittimità”.

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Karl Jaspers: “La questione della colpa”

Per Jaspers tuttavia non è certo possibile che i tedeschi possano ricominciare a vivere come se nulla fosse accaduto, in quanto su di loro ricade il “peso della colpa”. Ma che cosa significa “colpa”? Secondo Jaspers, per rispondere a questa domanda occorre innanzitutto chiarire altri due concetti: “responsabilità” e “causalità”. Se li si confonde, se cioè il problema delle responsabilità si dovesse risolvere nella semplice ricerca delle cause (tipico procedimento della storiografia positivista), non si potrebbe parlare di colpa. Se dovessero essere riscontrate cause oggettive, non ci sarebbero colpevoli. Se cioè si riduce l’esperienza nazista al contesto che lo ha “oggettivamente” determinato (causa-effetto), si cancellerebbe il senso stesso della colpa e delle responsabilità. Dunque, l’analisi di Jaspers non è un’analisi storica, quanto meno non nel senso che si è soliti dare a tale termine, bensì “esistenziale”, vale a dire che coinvolge l’essere umano in quanto tale e nel suo rapporto con i propri simili.

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Karl Jaspers: “La questione della colpa”

Secondo Jaspers esistono quattro generi di colpa.

  • “Colpa criminale”

E’ l’azione delittuosa di un singolo individuo, accettata e punita da un tribunale in conformità ad una legge e sulla base dell’accertamento di prove oggettive. Dunque, nessun popolo, nessuna entità collettiva potrà mai ritenersi colpevole. Se a Norimberga si dovesse seguire una tale procedura, gli imputati verrebbero tutti assolti. E questo perché i criminali nazisti non hanno trasgredito alcuna legge, per il semplice fatto che non esisteva alcuna legge che proteggesse le minoranze, che impedisse le torture, il genocidio e via dicendo. Al contrario, esisteva nel III Reich una legge non scritta che imponeva l’assoluta obbedienza agli ordini superiori. Ed è appellandosi a questa legge che tutti i capi nazisti alla sbarra a Norimberga come in altri tribunali nei decenni a venire si appelleranno.

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Karl Jaspers: “La questione della colpa”

2. “Colpa politica”

La colpa politica può al contrario legittimare il fatto che ogni tedesco, in quanto tedesco, si trovi nella condizione di “vinto”, per il semplice fatto di avere perso la guerra e come tale consegnato all’arbitrio del vincitore, il cui criterio di giudizio non è tanto il diritto bensì la pura forza. In questo caso, dunque, è possibile estendere la responsabilità dal singolo individuo all’intera collettività. La responsabilità collettiva rende tutti coloro che appartengono ad una medesima comunità storico-politica partecipi di un medesimo destino:

“Anche se ciascuno può aprirsi un passaggio verso l’invisibile solidarietà di tutti gli uomini, dal punto di vista storico ognuno è necessariamente legato alla propria comunità e ne condivide responsabilità e colpe. Ciascuno è il popolo tedesco”.

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Karl Jaspers: “La questione della colpa”

I primi due generi di colpe riguardano la sfera delle azioni esteriori, siano quelle di un singolo individuo o di un intero popolo, e come tali giudicate da una terza persona, un giudice, a cui spetta il compito di stabilire le pene.

Esiste tuttavia anche un’altra dimensione, quella della “interiorità”, della “singolarità”, dove la coercizione esterna perde ogni valore e dove l’individuo si trova di fronte alla propria coscienza senza la mediazione di un altro soggetto che formuli accuse o emetta sentenze. Sono di questo tipo le altre due colpe: la colpa morale e la colpa metafisica.

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Karl Jaspers: “La questione della colpa”

3. La “colpa morale”

Per Jaspers il popolo tedesco è “moralmente colpevole” perché non ha reagito al nazismo, anzi avendolo di fatto legittimato anche solo con il silenzio o la paura. Si tratta di una colpa che non può essere punita da un potere esterno e materiale e dunque che non prevede pene, in quanto rientra, appunto, nella sfera spirituale.

Una tale colpa non può che portare ad un “processo interiore volto al ravvedimento, alla espiazione e alla rigenerazione”.

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Karl Jaspers: “La questione della colpa”

3. La “colpa metafisica”

Ma se tale ravvedimento non dovesse avvenire? Se, cioè, nonostante il peso della colpa morale non si dovesse attivare alcun processo espiatorio e rigeneratore? Non resterebbe che l’ultima colpa, quella metafisica, la quale non riguarda il dialogo interiore né le azioni individuali, ma chiama in causa il livello ancora più profondo della “situazione umana”. Alla base della metafisica, infatti, vi è per Jaspers “l’impulso incondizionato alla solidarietà umana”, che non può restringersi ai legami umani più intimi, come l’amicizia o la famiglia, ma che appartiene alla condizione umana nella sua configurazione più essenziale. Tale impulso primordiale genera necessariamente una colpa: la semplice condizione dell’esistere, dell’essere ancora in vita, dell’essere sopravvissuti al dispiegarsi del male, come nel caso del nazismo, significa portare il peso della ferita che è stata inflitta al sentimento profondo della sfera umana.

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Karl Jaspers: “La questione della colpa”

“Nei riguardi della colpa metafisica, non è possibile discutere tra persone. La verità qui può solo rivelarsi tutto a un tratto in una situazione concreta o dalle opere della poesia e della filosofia [...] e soprattutto innanzi a Dio”.

Ponendosi di fronte all’essenza infinita del divino, l’uomo recupera la propria condizione di finitudine, spezzando il circolo satanico dell’orgoglio, contro cui la solidarietà originaria si era infranta. Dal punto di vista della colpa metafisica, il nazismo appare come un peccato d’orgoglio da parte del popolo tedesco, un abbandono della condizione umana, di cui i sopravvissuti, per il solo fatto di essere sopravvissuti, debbono necessariamente portare il peso. Ai tedeschi, per riscattare tale peccato, non resta che ritrovare la propria identità di nazione in questa dimensione profonda e universale, accettando la colpa metafisica come orizzonte, meta, fine di ogni loro sviluppo futuro.

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Hannah Arendt

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Hannah Arendt: “Le origini del Totalitarismo” - “La banalità del male”

Hannah Arendt nasce da una famiglia ebrea in un paesino vicino ad Hannover. Passa la sua giovinezza prima a Kronigsberg (città natale di Kant) e poi a Berlino, centro culturale della Germania. Si iscrive all’Università di Marburgo, dove conosce Heidegger. Con il maestro dell’esistenzialismo la Arendt intraprende un rapporto prima solo professionale e infine anche amoroso. Ma Heidegger abbraccia anche un altro amore, il nazismo. Arendt ne prende atto e rompe la relazione con il maestro, trasferendosi successivamente ad Heidelberg, dove conosce Jaspers, che l’aiuta nella preparazione della tesi di laurea. Decide quindi di intraprendere la carriera universitaria, ma trova la forte opposizione delle autorità accademiche in quanto ebrea. Decide quindi di abbandonare il paese, trasferendosi a Parigi. Dalla capitale parigina coordina gli aiuti alle famiglie ebree rimaste in Germania. Con lo scoppio della II Guerra Mondiale e l’avanzata del III Reich verso Parigi, si vede nuovamente costretta alla fuga, raggiungendo gli Usa.

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Hannah Arendt: “Le origini del Totalitarismo” - “La banalità del male”

Hannah Arendt è una delle più attente osservatrici del fenomeno nazista. Nel 1951 pubblica Le origini del totalitarismo. Per quanto concerne il nazismo, secondo la Arendt siamo di fronte ad una forma “interamente nuova di governo”, di un “pericolo costante, che probabilmente ci resterà nelle costole per l’avvenire”. Si tratta di un “male assoluto”. E tuttavia l’antisemitismo non è per lei un prodotto del nazismo e nemmeno della cultura tedesca più in generale. Si tratta, al contrario, di un problema antico, in un primo tempo solamente religioso, ricadendo sugli ebrei la “colpa” di avere fatto assassinare Cristo. In seguito interverranno anche ragioni politiche, allorquando gli ebrei più abbienti si legheranno al potere degli Stati nazionali.

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Hannah Arendt: “Le origini del Totalitarismo” - “La banalità del male”

Si determina in tal modo una profonda avversione delle classi popolari nei confronti degli ebrei, un razzismo che l’autrice definisce “plebeo” e che viene ampiamente sfruttato dalle forze nazionaliste all’epoca dell’imperialismo. E’ solo con il nazismo che l’avversione nei confronti degli ebrei viene dotata di una “ideologia razziale”, questa sì sconosciuta alla cultura europea. Ma nell’opera la Arendt mette sul banco degli imputati non solo il nazismo bensì tutti i regimi totalitari:

“Il totalitarismo è il prodotto della irruzione dell’uomo di massa europeo nella storia una società disorganizzata ed amorfa” il cui fine è il dominio assoluto sull’uomo, l’annientamento della libertà e della personalità umana”.

Il totalitarismo nazista ha in più nel suo programma, rispetto agli altri totalitarismi, lo “sterminio dei diversi”, delle “razze inferiori”. I lager si configurano come “laboratori del nuovo dominio totalitario”, un “oblio organizzato”, dove l’individuo è posto di fronte ad una tragica quanto paradossale scelta, quella tra il male e il male.

I lager non sono altro che “laboratori del nuovo dominio totalitario”, un “oblio organizzato”, dove l’individuo è posto di fronte ad una tragica quanto paradossale alternativa, quella tra il male e il male.

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Hannah Arendt: “Le origini del Totalitarismo” - “La banalità del male”

Nel 1961 la Arendt ha la possibilità di vedere in faccia il nazismo, nella persona di uno dei suoi carnefici catturato dopo oltre quindici anni dalla fine del nazismo, Karl Adolf Eichmann, scovato dal più noto dei cacciatori di nazisti, Simon Wiesenthal, e trasferito in Israele dal Mossad (il servizio segreto) e qui processato pubblicamente e in diretta televisiva. Un criminale nazista di fronte alla giustizia del neonato Stato ebraico, fondato nel 1947 proprio dai sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti: un evento straordinario, quasi un paradosso della storia che ricorda la dialettica hegeliana e che catalizza l’attenzione della pubblica opinione mondiale per settimane.

Hannah Arendt è presente al processo come inviata del “New Yorker”. Ed è dalle sue corrispondenze che nascerà quella che ancora oggi appare una delle più lucide, straordinarie e anche controverse analisi sul nazismo: la banalità del male

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Hannah Arendt: “Le origini del Totalitarismo” - “La banalità del male”

La Arendt, come milioni di altre persone in tutto il mondo, si aspettava un’altra persona: un uomo cinico e spietato, capace, anche dal banco degli imputati, di terrorizzare il prossimo, non rinnegando nulla del suo passato, anzi rivendicandolo con orgoglio. Eichmann doveva rappresentare l’incarnazione del male, essendo stato lui a pianificare lo sterminio nei lager. Ma non è così. Egli appare invece un uomo tra i tanti e fa di tutto per dimostrarlo. Dichiara continuamente di avere “solamente” obbedito agli ordini superiori, ben sapendo che l’obbedienza viene ancora ritenuta una virtù presso tutti i popoli della Terra. Guardando in faccia giudici e telecamere sembra quasi dire: “Che avreste fatto voi al mio posto?”; “Come vi sareste comportati messi di fronte alla prospettiva di essere uccisi o di uccidere?”. Sta qui questa la banalità del male di cui parla la Arendt, l’anteporre la propria piccola vita quella di milioni di innocenti. E se il male è banale significa che in noi si nasconde un piccolo Eichmann, pronto, in ben determinate situazioni, a farsi grande e a fagocitare ogni parte del nostri spirito, rendendoci tutti spietati e cinici assassini.

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Hannah Arendt: “Le origini del Totalitarismo” - “La banalità del male”

La banalità del male sta soprattutto nell’indifferenza, come ben sottolineato dalla poesia del pastore protestante Martin Niemoller, anch’egli deportato negli anni del nazismo:

Prima vennero a prendere i comunisti, e io non dissi nulla perché non ero comunista.

Poi vennero a prendere i socialdemocratici e io non dissi nulla perché non ero socialdemocratico

Poi vennero a prendere i sindacalisti, e io non dissi nulla perché non ero sindacalista.

Poi vennero a prendere gli ebrei, e io non dissi nulla perché non ero ebreo.

Poi vennero a prendere me.

Ma non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa.

è proprio l’indifferenza, unita alla paura che paralizza l’uomo, come nello scacco esistenziale di Kierkegaard. L’uomo è libero, può opporsi al male che dilaga, ma non lo fa, perché ha paura, perché non vuole mettere a repentaglio la propria vita. E per difendere la mera esistenza individuale, si mette a repentaglio quella di interi popoli.

Ma se questo è il male, se esso è banale, allora significa che siamo tutti in pericolo. Significa cioè che esso può penetrare in tutti noi o addirittura che sia parte della nostra natura e che di conseguenza possa mostrarsi ad ogni istante. La Arendt è un’intellettuale coraggiosa ed è con coraggio che affronta anche il problema di quanti, nel popolo ebraico, hanno avuto paura nel momento del massimo pericolo e con la loro paura hanno contribuito all’Olocausto: “persino le vittime hanno accettato i criteri della soluzione finale”. E ancora:

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Hannah Arendt: “Le origini del Totalitarismo” - “La banalità del male”

La banalità del male sta anche nella paura, che paralizza l’uomo e che finisce per renderlo un nemico dell’intera umanità.

Il male è talmente banale e dunque talmente pericoloso da penetrare anche nelle sue vittime. Nei lager ci sono ebrei che hanno accettato di collaborare con i nazisti, i “Kapò”, pur sapendo che questo non li avrebbe salvati. Lo hanno fatto solamente per vivere meglio i loro ultimi istanti di esistenza in questo mondo. E se nei lager ci sono finiti tutti gli ebrei europei -- grida con forza la Arendt -- questo è accaduto anche perché si è dato ascolto ai capi delle comunità ebraiche, che fino all’ultimo si sono illusi di potere scendere a compromessi con le autorità naziste:

“persino le vittime hanno accettato i criteri della soluzione finale”

E ancora:

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Hannah Arendt: “Le origini del Totalitarismo” - “La banalità del male”

“Se il popolo ebraico fosse stato disorganizzato e senza capi, dappertutto ci sarebbe stato caos e disperazione, ma le vittime non sarebbero state sei milioni. Circa la metà si sarebbero potute salvare se non avessero seguito le istruzioni dei consigli ebraici”

Dopo l’esperienza dell’Olocausto – conclude la Arendt – il principale “crimine contro l’umanità” deve essere riconosciuto nel reato di “genocidio”. Il genocidio non è un delitto qualsiasi, ma un “attentato alla diversità umana in quanto tale, cioè a una caratteristica della condizione umana senza la quale la stessa parola umanità si svuoterebbe di ogni significato”.

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Friedrich Meineke

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Friedrich Meineke: “La catastrofe della Germania”

Friedrich Meinecke è uno degli intellettuali più noti – e controversi – della Germania. Di famiglia di umili origini, dedica tutta la vita agli studi e in particolare alla storia della cultura tedesca. Nel 1914 è un’entusiasta interventista e alla sua conclusione un nostalgico del Reich guglielmino. In seguito aderisce alla Repubblica di Weimar, che si è mostrata capace di soffocare la rivolta spartachista. Ma dopo la crisi del 1929, Meineke piomba in una profonda crisi. Per quindici anni, quelli dell’ascesa di Hitler, dell’escalation che porta alla II Guerra Mondiale e della sua conclusione, Meineke rimane in silenzio. Torna a fare sentire la sua voce a liberazione avvenuta, con l’opera La catastrofe della Germania.

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Friedrich Meineke: “La catastrofe della Germania”

Meineke affronta il problema del nazismo e della sua genesi. A suo parere un passaggio decisivo è rappresentato dal forte aumento demografico determinatosi a fine Ottocento. Una crescita che “sconvolge le antiche strutture liberali”, imponendo ai governi una nuova agenda politica, tutta incentrata sul problema della integrazione delle masse nei sistemi allora esistenti. Un problema che, tuttavia, il liberalismo non ha saputo risolvere, consegnando le masse alle forze antiliberali: comunismo e fascismo. L’integrazione delle masse si è così tramutato in una sorta di “machiavellismo delle masse” che

“ha allargato a dismisura l’egoismo del potere ogni oltre limite, aumentato il numero e dissertato le chiavi dell’armadio dei veleni in cui erano custodite le essenze del machiavellismo stesso”.

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Friedrich Meineke: “La catastrofe della Germania”

Ed è in questo contesto che il nazismo è cresciuto. Parlando alle masse il linguaggio dei nazionalisti e dei socialisti, unificandolo in una pura esaltazione della potenza, il nazismo ha trovato questa materia da sfruttare (le masse), un inaudito terreno per coltivare i propri piani diabolici.

Con la sconfitta (o il suicidio) del liberalismo si determina anche un’altra drammatica frattura, determinata dalla sconfitta dell’Homo sapiens e la vittoria dell’Homo faber. Nella moderna società di massa, infatti, viene accresciuto a dismisura il carattere sostanzialmente meccanico di tutte le azioni individuali e sociali, compresi obiettivi e finalità. E’ il trionfo della tecnica”, una rivoluzione condotta dal “freddo intelletto”, che sopprime ogni lato irrazionale della vita umana, con il risultato che questo, alla prima occasione, si vendica, generando una esplosione di forze irrazionali, come accaduto appunto con il nazismo.

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Il revisionismo storico

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IL REVISIONISMO STORICO

Ernst Nolte: il nazismo come riposta alla sfida del comunismo

La storia, come tutte le scienze, è un sapere aperto e non chiuso e dunque pronto a rivedere in parte o anche del tutto le proprie teorie allorquando si verifichino fatti nuovi. Un esempio può chiarire meglio i termini della questione. Per secoli si è pensato che la causa della grande inflazione del Cinquecento fosse dovuta al massiccio afflusso di metalli preziosi provenienti dal Nuovo Mondo, che causò una forte svalutazione delle monete correnti, coniate con quei metalli. Il mercato, per compensare tale svalutazione, aumentò decisamente i prezzi. Nel corso dell’Ottocento, vennero alla luce documenti che attestavano la presenza dell’inflazione ben prima della scoperta dell’America e dell’afflusso dei metalli preziosi in Europa. D’altro canto, la deflazione che colpì il Vecchio Continente nel secolo Seicento avvenne, almeno in parte, anche in presenza di tale afflusso.E allora quale fu la causa prima? L’aumento demografico che provocò l’aumento della domanda.

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IL REVISIONISMO STORICO

Ernst Nolte: il nazismo come riposta alla sfida del comunismo

Ernst Nolte è uno storico “revisionista”, almeno per quanto riguarda la storia della prima metà del XX secolo, fino alla fine della II Guerra Mondiale. I suoi contributi sono stati sicuramente importanti ed hanno portato a rendere più esaustivo il quadro di quegli anni. E tuttavia la tesi che lo ha spinto a criticare la storiografia “ufficiale” suscita ancora oggi molte polemiche. Nolte vede nel nazismo una giusta o comunque giustificabile risposta alla sfida del comunismo. Una risposta determinata dalla sostanziale impasse delle democrazie liberali a contenere un pericolo che, dal 1917, diventa concreto. E’ dunque merito del nazismo essersi posto come obiettivo la sconfitta del terrore rosso. Una tesi che appare alquanto ardita e, soprattutto, storicamente poco corretta. In primo luogo, che cosa c’entrano gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, i disabili con il comunismo? E poi, se l’obiettivo era quello di rispondere alla sfida del comunismo, perché non attaccarla prima invece di scendere in guerra contro Francia e Inghilterra e proprio in virtù di un patto con Stalin?

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IL REVISIONISMO STORICO

Ernst Nolte: il nazismo come riposta alla sfida del comunismo

Nolte ha sempre risposto a queste critiche sottolineando come l’antisemitismo nazista non sia affatto un sentimento irrazionale, in quanto scaturisce anch’esso dalla minaccia comunista. Tutti i capi comunisti -- sostiene Nolte -- sono ebrei. Si tratta, in buona sostanza, della medesima posizione di Hitler e, dunque, più che di una interpretazione storica, per quanto “revisionista”, di una vera e propria apologia:

“il nazismo fu antibolscevismo che per mezzo dell’antisemitismo si è creato un’arma primitiva contro il marxismo”

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IL REVISIONISMO STORICO

Ernst Nolte: il nazismo come riposta alla sfida del comunismo

Si tratta di una sorta di perenne tautologia: tutto ruota, anzi deve ruotare attorno alla tesi di fondo, vale a dire il pericolo rosso:

“è facile dimostrare che l’antibolscevismo nazionalsocialista fu una reazione comprensibile ed entro certi limiti persino giustificata ma appunto eccessiva e quindi inadeguata “

Sarà anche facile, ma le argomentazioni di Nolte continuano a mostrare non poche incongruenze.

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IL REVISIONISMO STORICO

Ernst Nolte: il nazismo come riposta alla sfida del comunismo

In realtà è proprio il nesso causale tra nazismo e comunismo rivendicato da Nolte che non sembra reggere ai fatti. Infatti, il comunismo, come sistema politico, si impone nel 1917, quando il nazismo non esiste nemmeno nella testa di Hitler. Nolte parla di un sostanziale immobilismo delle democrazie occidentali e tuttavia i fatti dicono che queste ultime attaccano il nuovo governo comunista russo subito dopo la firma della pace con la Germania. E che dire di quello che accade dopo la guerra? La Repubblica sovietica di Ungheria viene schiacciata dall’esercito rumeno su ordine delle potenze dell’Intesa e la rivolta spartachista viene schiacciata da quel poco di esercito che la Germania è riuscita a conservare dopo la sconfitta e con il benestare dell’Occidente. Senza contare poi che in Italia, per fare fronte alla minaccia sovversiva, si instaura una dittatura fascista anche qui con il beneplacito delle potenze occidentali. Dove sta l’immobilismo delle democrazie occidentali?

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IL REVISIONISMO STORICO

Nolte a parte, che comunque è uno storico, il revisionismo è servito negli ultimi decenni a ben precisi scopi politici. Crollato il muro di Berlino e dissoltosi il sistema sovietico, intellettuali e giornalisti (ma pochi storici) hanno fatto a gara ad assolvere il fascismo internazionale spesso proprio sulla scorta delle indicazioni (storiografiche) di Nolte. Ma a differenza dello storico tedesco, non lo hanno fatto prima della caduta del sistema sovietico, quando, anzi, molti di questi revisionisti erano di sinistra o di estrema sinistra, bensì dopo il suo crollo, prestandosi ad una operazione che di storiografico ha ben poco e che sconfina talvolta anche nel negazionismo. E così non solo Mussolini e Franco ma persino Hitler da carnefici si trasformano in vittime o quanto meno in personaggi meno brutali (e più giustificabili) di quanto la storiografia “ufficiale” metta in evidenza. Nel tritacarne mediatico della fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta (che vuole fare storia senza studiarla), ci finiscono anche tutti coloro che, a vario titolo, hanno in qualche modo avuto a che fare con loro: partigiani, forze democratiche borghesi, persino qualche papa troppo benevolo nei confronti dei rossi (come Giovanni XIII)

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IL REVISIONISMO STORICO

Il negazionismo è una logica conseguenza di tale “temperie”. Protagonisti, anche in questo caso, intellettuali e giornalisti e pochi storici. Tra questi ultimi è bene ricordare David Irving, che pure ha avuto un ruolo non indifferente nel ricostruire alcuni aspetti della II Guerra Mondiale, come, per esempio, gli indiscriminati bombardamenti alleati sulle città tedesche. Secondo Irving i contorni dell’Olocausto non sono chiari ed è tutto da dimostrare che esistano dei precisi ordini di Hitler a tale riguardo. Una tesi sostenuta anche dallo storico francese Robert Faurisson, che nega con decisione non tanto la presenza nei lager di camere a gas quanto la loro funzione, che si sarebbe limitata a quella di potenti insetticidi per debellare i pidocchi. Tra gli italiani, è soprattutto lo storico Claudio Moffa a sposare le tesi negazioniste.

Si tratta, in tutti questi ed altri casi, di tesi poco originali, che non tengono mai conto non solo delle testimonianze dei sopravvissuti, ma anche delle immagini dei lager una volta liberati, dei numeri delle persone scomparse e via dicendo. In buona sostanza, si tratta di malafede storica.