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ATENE DEL V SECOLO

L’età di Pericle

L’Illuminismo greco

La Sofistica

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L’avanzata persiana e la rivolta ionica (499 a.C.)

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La pressione dell’impero persiano sulle poleis greche dell’Anatolia si accentua per tutto il corso del VI secolo, sfociando infine in una occupazione. Finisce in tal modo la libertà delle colonie greche. E tuttavia, nel 499, si assiste ad una inattesa quanto eroica ribellione: i greci sono convinti che i loro fratelli della madrepatria non li lasceranno soli.

A guidare una rivolta che dilaga in tutta la zona è Aristagora, governatore di Mileto, la città più ricca e potente delle colonie greche. Ed è a lui che spetta il compito di recarsi nella penisola ellenica per chiedere aiuto alle poleis della madrepatria.

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L’avanzata persiana e la rivolta ionica (499 a.C.)

Un viaggio lungo ed estenuante e, alla fine, fallimentare. Sparta, la città aristocratica per eccellenza, è restia a scendere in campo con le città della Ionia, tutte democratiche. Tebe, invece, lo farebbe ma non eventualmente con al fianco Atene. Insomma, la Grecia mostra in questa occasione la sua storica debolezza: la frammentazione politica. Lungi dal rappresentare una nazione, essa non è nemmeno una confederazione di Stati, bensì una accozzaglia di città-Stato in buona sostanza autarchiche, gelose della propria autonomia e spesso ferocemente rivali.

Alla fine l’unica a scendere in campo al fianco dei ribelli ionici è Atene la sola a comprendere l’importanza della posta in palio e a mostrare uno spirito di fratellanza che non si riscontra altrove

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L’avanzata persiana e la fine delle colonie dell’Asia Minore

Convinti che la miglior difesa sia l’attacco, gli Ateniesi decidono di passare subito all’azione, sbarcando nelle coste ioniche per poi penetrare nelle zone interne e conquistare la roccaforte persiana di Sardi. Un successo straordinario che aumenta a dismisura la fama di Atene, così come la rabbia dell’imperatore di Persia, Dario (nell’immagine a destra).

E’ forse la prima volta che un imperatore persiano sente nominare questa città ed è qui che Dario matura la decisione di vendicarsi, distruggendo completamente Atene. E così la controffensiva persiana non si ferma alla riconquista delle città perduta, ma si spinge ben oltre. I soldati persiani penetrano in Tracia e pjuntano diritti verso Atene.

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Le Guerre persiane

I Guerra: 492-490

II Guerra: 480-479

Riscossa greca: 478-479

Guerra della Lega Delio-Attica: 478-449

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L’Invasione Persiana della Grecia

Atene è in pericolo. Il suo altruismo, la solidarietà nei confronti dei fratelli della Ionia sta per costargli carissimo. Dario vuole vendicarsi della sconfitta di Sardi e confida nelle divisioni tra i greci per potere sbaragliare l’avversario senza troppi problemi. Dal canto loro, gli strateghi ateniesi sanno benissimo che non esiste altra possibilità di vincere la battaglia se non federandosi ad altre città, a partire dalla storia nemica, Sparta. In fondo, l’invasione persiana dovrebbe rappresentare un pericolo per tutti i greci e non solo per gli ateniesi. Ma nessuno risponde all’appello. Anzi, solamente Sparta promette generici aiuti, sebbene accampando una miriade di motivazioni volte a rimandare di continuo l’intervento. Le altre poleis, invece, sperano che lasciando sola Atene, potranno essere risparmiate.

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La resistenza di Atene

La città elegge Milziade a capo dell’esercito che dovrà resistere ai persiani. Egli non rappresenta certo il tipo ideale di ateniese: è aristocratico, anziano e anche piuttosto autoritario, tutte caratteristiche piuttosto “spartane”. E tuttavia è uomo di grande ingegno.

Milziade conosce la forza dell'esercito persiano e sa molto bene che non è possibile affrontarlo in campo aperto. Alla forza bruta del nemico non si può che opporre una raffinata strategia.

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La Battaglia di Maratona�490 a.C.

Milziade schiera le sue truppe migliori sulle due ali dello schieramento nemico attestato nella piana di Maratona, non lontano da Atene; al centro, invece, lascia solo pochi e poco armati soldati.

Si tratta di un diversivo. L’intento è quello di attirare il grosso delle truppe persiane proprio al centro, per poi sferrare l’attacco, a sorpresa, dai lati.

Una trappola … e i persiani ci cascano

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La Battaglia di Maratona�490 a.C.

Stando allo storico Erodoto, i morti nelle file dell'esercito di Dario ammontano a seimilacinquecento contro solo centonovantadue ateniesi. Cifre sicuramente non corrispondenti alla realtà. Erodoto, infatti, è uno scrittore greco, che parteggia apertamente per Atene e in più di un’occasione mostra di non riuscire a trattenere il proprio entusiasmo per la causa ellenica.

Resta il fatto però che Maratona è una straordinaria vittoria per Atene. Ed è forse anche per questo motivo che Sparta alla fine decide di correre in suo aiuto, tuttavia quando ormai la battaglia è conclusa.

E’ Atene ad avere salvato la libertà delle poleis greche e non Sparta.

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La Battaglia di Maratona�490 a.C.

Plutarco narra di un tale di nome Fidippide che viene incaricato di portare la notizia della vittoria al popolo ateniese. Una lunga marcia, di quasi 40 chilometri (e infatti l’attuale “maratona” prevede lo stesso chilometraggio).

un certo Fidippide, alla fine della battaglia, sarebbe corso in Atene a riferire alla cittadinanza della straordinaria vittoria sui persiani, per poi morire per lo sforzo

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Ma Atene non è una città di militari, bensì una democrazia. E questo è un limite quando di fronte si ha un nemico come la Persia. E così, mentre gli ateniesi si danno alle pazze gioie per giorni, festeggiando una vittoria assolutamente inattesa, i persiani meditano la rivincita.

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La controffensiva persiana

Dario non riuscirà mai a realizzare il suo sogno: distruggere Atene. Egli, infatti, muore poco dopo la Battaglia di Maratona. Al suo posto sale il figlio Serse. Molto più prudente del padre, egli rifiuta di dare il suo assenso ad una nuova impresa contro la Grecia dopo il fallimento di Maratona, attirandosi non solo le critiche della casta militare, ma anche di una buona fetta della popolazione.

Ed è forse a causa di questo suo isolamento che, alla fine, Serse si convince a riprendere la guerra contro Atene. E tuttavia chiede ai suoi generali una strategia più accurata e intelligente. E così, mentre gli ateniesi continuano a festeggiare, i persiani si mobilitano, riuscendo a mettere in piedi un esercito mai visto prima, forte di ben due milioni di soldati. Scrive Erodoto che: “quando le truppe persiane si fermavano per abbeverarsi, i corsi d’acqua venivano prosciugati”

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La controffensiva persiana

I persiani decidono di non impegnare tutto l’esercito in una sola battaglia campale, come accaduto a Maratona, optando invece per un duplice attacco: uno via terra, attraverso la Tracia, la Macedonia e la Tessaglia, e uno via mare, impegnando una flotta di quasi millecinquecento navi.

Una strategia sicuramente più accurata della precedente, ma che fa sempre leva sul fattore quantitativo: la persia possiede una marina ed un esercito potentissimo e sulla potenza si farà leva per piegare la resistenza ateniese e di qualsiasi altra città si opponga all’avanzata persiana.

Il viaggio delle navi verso le coste ateniesi non presenta particolari problemi, ma trasferire quasi due milioni di soldati da un continente all’altro (dall’Asia all’Europa) attraverso lo Stretto dei Dardanelli appare un’impresa davvero difficile da realizzare in poco tempo.

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La controffensiva persiana

Fino a qualche tempo prima esisteva un lungo ponte fatto costruire dagli ingegneri egizi, crollato a causa di una violenta tempesta. Costruirne uno nuovo è fuori discussione: ci vuole troppo tempo, con il rischio di allertare gli ateniesi. Allora Serse opta per una soluzione geniale.

Trecento navi vengono fatte affiancare l'una all'altra, consentendo al suo immenso esercito di varcare lo stretto passando da una imbarcazione all'altra.

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La controffensiva persiana

I soldati di Serse parlano mille lingue, in rappresentanza di un immenso impero: ci sono medi, assiri, caldei, saci, sciti, indi, ari parti, armeni, lidi, saspiri, parti, caldei, solo per citarne alcuni. Una vera e propria koiné di lingue, razze, etnie e religioni.

E che si stia preparando uno scontro campale (di civiltà, secondo alcuni storici) è confermato dalla decisione presa da quasi tutte le città greche di allearsi contro la minaccia imminente.

E’ il 480 a.C.

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Battaglia delle Termopili

480 a.c.

Le Termopili rappresentano la porta orientale della Grecia, dunque un territorio strategico. Ed ‘ qui che avviene il primo grande scontro tra greci e persiani dopo Maratona. Uno scontro ancora più grande e sanguinoso, perché da un lato ci sono quasi due milioni di soldati persiani e, dall’altro, decine di migliaia di soldati greci, in rappresentanza di quasi tutte le poleis elleniche. L’identità nazionale greca, o forse anche europea, nasce qui.

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La sconfitta greca

A comandare le truppe greche viene chiamato uno spartano, Leonida, un grande soldato, dotato di un coraggio fuori dal comune.

E tuttavia i greci sono in grande inferiorità numerica. Va detto anche che Serse e i suoi generali curano ogni minimo dettaglio della loro strategia, riuscendo alla fine ad accerchiare il nemico ed annientarlo.

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Atene

La vittoria alle Termopili spalanca la strada ai persiani verso Atene. Serse ha ora la possibilità di coronare il sogno che fu di suo padre.

Ad Atene si scatena il panico. Non sapendo come arginare l’avanzata persiana, le autorità cittadine decidono per l’evacuazione di massa: migliaia di ateniesi vengono imbarcati su centinaia di navi dirette al largo per sfuggire alla furia persiana.

La città, lasciata quasi del tutto sguarnita, viene in parte distrutta dai persiani.

E’ il settembre del 480

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La Battaglia di Salamina

Settembre 480 a.C.

L’evacuazione della città e la conseguente parziale distruzione non significano resa. Al contrario, gli ateniesi si riorganizzano presto per il contrattacco, che tuttavia dovrà avvenire laddove essi sono più forti: sul mare.

Anche in questo caso risulterà decisiva la strategia in luogo della pura potenza militare.

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Temistocle

L’onere e l’onore di guidare la flotta ateniese contro quella persiana viene affidata a Temistocle, uomo graditissimo al popolo e partigiano della democrazia.

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La Battaglia di Salamina

la strategia persiana

I persiani perseguono sempre la medesima strategia, la medesima delle battaglie di terra: di un attacco frontale con navi di grande stazza che spazzi via la meno numerosa e più debole marina ateniese, composta per lo più di piccole imbarcazioni.

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La Battaglia di Salamina

la strategia ateniese

Temistocle, invece, redige un piano che, in qualche modo, ricalca la strategia adottata a suo tempo a Maratona: una trappola. Nella fattispecie, si tratta di attirare la flotta persiana, composta da più di mille navi, in uno stretto braccio di mare compreso tra l’isola di Salamina e la terraferma.

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La trappola di Temistocle

Temistocle è convinto che le pesanti navi persiane non possano manovrare con agilità in queste condizioni, al contrario delle leggere imbarcazioni ateniesi (in tutto 380), che, oltretutto, si muovono in un territorio a loro noto.

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La vittoria di Salamina

La straordinaria vittoria di Salamina, oltre a confermare la straordinaria potenza ateniese soprattutto sui mari, vendica la pesante sconfitta delle Termopili e la distruzione di Atene che ne è conseguita. Una sconfitta pesantissima per Serse, il quale, convinto della vittoria, si era diretto con i suoi cortigiani in una collina della zona per godersi lo spettacolo dall’alto.

Ma la guerra non è finita

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La Battaglia di Platea�(479 a.c.)

Nonostante la pesante sconfitta subita a Salamina, Serse non si arrende. Egli può infatti contare ancora sul suo esercito sulla terraferma. Ma ormai i greci sono galvanizzati e sconfiggono ancora una volta i persiani, ricacciandoli al di là dei Dardanelli, anzi anzi riconquista le vecchie colonie della Lidya salvando la Grecia (o la stessa civiltà occidentale). Una Grecia che, al termine di questo lungo conflitto, sembra davvero avere trovato la sua unità politica.

Ma le cose andranno ben diversamente

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L’età di Pericle

460 a.C. - 430 a.C.

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La Lega Ellenica

Le guerre persiane convincono i greci ad unirsi. Non si tratta ancora di una nazione propriamente detta (anche perché lo Stato nazionale è una creazione della modernità) ma comunque un grande passo in avanti rispetto al passato. Viene creata la Lega ellenica, un’alleanza militare guidata da Atene, a cui tutte le città federate riconoscono il ruolo determinante nella vittoria finale contro i persiani. E tuttavia non ne fanno parte Sparta - che pure ha contribuito in modo determinante alla vittoria - e Tebe - forse la città “meno greca” di tutte. Tali defezioni si devono in gran parte alle storiche rivalità nonché alla decisione di affidare ad Atene anche le casse dell’alleanza. Insomma, la Lega ellenica, a detta di tebani e spartani, rischia di trasformarsi in una lega ateniese e questo per loro è inaccettabile

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L’ascesa di Atene

La vittoria sui persiani, la guida dell’alleanza delio-attica e il possesso delle sue casse danno ad Atene un potere enorme, che, tuttavia, la città non intende sfruttare in termini militari, bensì di prestigio. E tale prestigio passa anche, e soprattutto, attraverso la cultura.Atene, dopo la vittoria sui persiani e, soprattutto, dopo l’ascesa di Pericle al potere nel 460, diventa il centro del mondo, il faro illuminante di una nuova civiltà, quella europea e, più in generale, mediterranea. In città affluiscono migliaia e migliaia di persone, attratte sia dalle prospettive lavorative, sia dal lusso, dallo sfarzo, dai monumenti, dalle rappresentazioni teatrali, dagli spettacoli musicali e dalla filosofia.

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L’Illuminismo greco

Un periodo straordinario, che alcuni storici hanno giustamente definito “illuminismo greco”. E come accadrà con l’Illuminismo propriamente detto, quello del XVIII secolo, anche nella Grecia del V secolo un ruolo determinante l’avrà la filosofia.

Ma nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza l’azione di governo di Pericle, a cui va il merito, in primo luogo, di avere trasformato la già consolidata democrazia ateniese in una reale democrazia, allargando la sua base sociale fino a coinvolgere gli strati più bassi della popolazione maschile di sangue ateniese.

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PERICLE

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Pericle

Pericle nasce nel 495 nel demo di Colargo, a nord della città di Atene, da una famiglia ricca e prestigiosa. Sin da giovanissimo si appassiona alle vicende politiche della sua patria, schierandosi apertamente dalla parte della democrazia. Giovane brillante e coraggioso, dotato di grandi abilità oratorie (frutto dell’incontro con diversi filosofi, tra cui, forse, Parmenide e, sicuramente, Anassagora), Pericle scala in pochissimo tempo le gerarchie del partito democratico e, infine, quelle del potere.

Pericle intende fare della democrazia ateniese una reale democrazia e per fare ciò è necessario coinvolgere maggiormente le classi popolari negli affari pubblici. Ora, il problema della democrazia di quegli anni, e non solo ateniese, è che consentiva sì a chiunque di accedere alle cariche ma senza alcun compenso. Per i ceti più abbienti che vivono di rendita o che possono permettersi di gestire i propri affari anche non direttamente, non è certo un problema, ma per chi vive del proprio lavoro, abbandonare la bottega o il campo significa non dare più da mangiare alla propria famiglia.

Pericle decide allora di retribuire tutte le cariche, consentendo a tutti i ceti di accedere alle magistrature ateniesi, anche le più alte. Si batte altresì per la gratuita degli spettacoli teatrali in città per i più poveri e per tutta una serie di altri provvedimenti volte a favorire una maggiore eguaglianza di diritti e anche sociale in città.

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Atene: una democrazia reale

Questo determina una vera e propria rivoluzione sociale ad Atene: l’allargamento dei diritti a tutti i ceti sociali significa in primo luogo imprimere una svolta culturale, poiché non si può gestire la cosa pubblica essendo analfabeti o poco più. Significa, cioè, andare a scuola, istruirsi e non solo nell’arte della retorica: saper parlare bene non è possibile se non si sa di cosa parlare. Ecco allora che si impone in Atene il concetto della paideia, vale a dire di una formazione completa dell’individuo, sebbene attraverso precettori e scuole private che spesso si fanno pagare profumatamente. Ma, d’altro canto, la scuola pubblica è una conquista recentissima e di una parte assolutamente minoritaria del panorama politico mondiale di oggi.

Quanto basta, comunque, per far nascere in Atene una particolare scuola filosofica, anzi una vera e propria atmosfera culturale che va sotto il nome di Sofistica, un eterogeneo movimento frutto comunque di quell’Illuminismo greco che è stato generato dalle riforme di Pericle.

La fioritura culturale di questi anni è anche frutto della ricchezza che deriva dal possesso dei beni della Lega ellenica, beni che Pericle decide di investire non solo per fortificare le mura della città, ma anche per abbellirla ulteriormente, pagando i più noti artisti dell’epoca, come Fidia.

Atene diviene in tal modo la città più visitata del mondo, il faro di una nascente civiltà raffinata, colta ma anche forte militarmente.

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Il discorso di Pericle agli ateniesi del 431 a.C. (Tucidide)

Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

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Il discorso di Pericle agli ateniesi del 431 a.C. (Tucidide)

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.

Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

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Il discorso di Pericle agli ateniesi del 431 a.C. (Tucidide)

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.

E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

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Il discorso di Pericle agli ateniesi del 431 a.C. (Tucidide)

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

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Il discorso di Pericle agli ateniesi del 431 a.C. (Tucidide)

Qui ad Atene noi facciamo così

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Pericle: “Epitaffio per i caduti” (Tucidide)

“Amiamo il bello con moderazione e il sapere senza debolezza; ci serviamo della ricchezza più come occasione per agire che come vanto nei discorsi, e ammettere la povertà non è vergogna per nessuno, ma non tentare di porvi rimedio coi fatti lo è assai di più. E negli stessi cittadini troviamo la cura per i propri affari privati insieme con quelli pubblici e la capacità di non disconoscere gli interessi della città pur rivolgendosi ciascuno alle proprie imprese: infatti siamo i soli a considerare colui che non si cura affatto di queste cose non una persona tranquilla, ma un incapace; a nostra volta giudichiamo e riflettiamo con attenzione sulle situazioni, ritenendo che i ragionamenti non siano dannosi per l’azione, bensì lo sia il non prepararsi in anticipo con il ragionamento prima di intraprendere nei fatti quanto è necessario”

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Pericle: “Epitaffio per i caduti” (Tucidide)

“Ci distinguiamo certo anche in questo, che sempre noi sappiamo essere audaci al massimo grado e nel contempo fare i nostri calcoli su quanto ci accingiamo a fare: laddove agli altri l’ignoranza porta coraggio, il ragionamento esitazione. E giustamente si debbono giudicare i più forti nell’animo coloro che sanno chiaramente cos’è più terribile e cos’è dolce e non per questo sono distolti dai pericoli. E anche nel valore ci contrapponiamo ai più: ci conquistiamo alleati non ricevendo benefici, bensì procurandone. Infatti chi fa favori resta un alleato più sicuro, in modo da conservare un debito di gratitudine da parte di colui che li ha ricevuti attraverso la benevolenza; mentre chi ricambia un favore è meno saldo, sapendo che sta ripagando il valore non per ottenere gratitudine ma per estinguere un debito”

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Pericle: “Epitaffio per i caduti” (Tucidide)

“E noi soltanto portiamo aiuto a ciascuno in considerazione non del calcolo dell’utile più che della fiducia nella libertà”

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La Sofistica

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La Filosofia ad Atene

La filosofia non è nata ad Atene bensì nelle colonie greche dell’Anatolia e in quella italiane (Magna Grecia). E tuttavia, Atene, in qualità di centro culturale del mondo antico a partire dal V secolo, non può che rappresentare un polo di attrazione per i filosofi. Di più, grazie alle riforme di Pericle, la cultura rompe il suo stretto rapporto che l’ha sempre legata alle classi più agiate per trasformarsi in uno strumento fondamentale per la partecipazione di tutti i cittadini alla vita democratica della città. D’altro canto, Pericle ha avuto come maestro Anassagora e forse anche Parmenide e, più in generale, ha sempre considerato la cultura come elemento determinante ai fini del successo individuale e della città.

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La Filosofia ad Atene

La passione politica è sempre esistita in Atene e tuttavia è solamente con le riforme di Pericle che essa può coinvolgere anche gli strati popolari della città, trasformando Atene in un sistema democratico reale e non soltanto formale.

L’accesso di strati sociali sempre più vasti alle cariche dello Stato determina una crescita della domanda di prodotti culturali, di formazione e di istruzione.

Nascono così numerosissime scuole e centinaia di intellettuali provenienti dai quattro angoli del mondo allora conosciuto giungono in città attirati dai possibili guadagni.

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L’arte dell’eloquenza e la paideia

In una democrazia reale come quella ateniese, si deve essere in grado di discutere pubblicamente, di rispondere agli attacchi degli avversari politici o di convincere una giuria popolare. Occorre, dunque, in primo luogo, saper parlare bene. Ecco allora spiegato il fiorire di tutta una serie di scuole nelle quali si insegna soprattutto l’arte dell’eloquenza, il saper parlare bene, o meglio, la capacità di adattare le parole all’argomento che si vuole trattare e agli effetti che si vogliono suscitare nel pubblico.

E tuttavia, se non si hanno argomenti validi, per quanto si sia capaci di mettere insieme le parole, non si avrà mai successo in un dibattimento pubblico. Ecco allora che accanto a questa nuova disciplina devono comparire quelle “vecchie”, tra cui la stessa filosofia, che entra dunque di prepotenza nelle scuole di eloquenza ateniese con il suo enorme bagaglio culturale accumulato in decenni di studi.

L’obiettivo da raggiungere è la cosiddetta paideia, vale a dire la formazione completa dell’individuo, fornire cioè ai cittadini gli strumenti per potersi orientare in un mondo sempre più complesso come quello ateniese del V secolo, offrendogli una formazione di base pronta ad essere spesa in ogni contesto.

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I Sofisti

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I Sofisti

La filosofia che nasce ad Atene nel corso del V secolo si chiama “sofistica”. Il nome deriva da sophia (sapienza) e tuttavia ciò che questi intellettuali fanno in primo luogo è insegnare. Le discipline sono le più svariate: si va dall’eloquenza alla retorica, dalla giurisprudenza all’astronomia, passando per l’etica e la politica. Sono questi insegnanti multidisciplinari a trasformare Atene nel centro culturale del mondo, il faro illuminante di una nuova civiltà.

Eppure sin dall’inizio la sofistica incontra una certa ostilità da parte del vecchio ceto intellettuale, soprattutto per la pratica di insegnare dietro compenso, allora sconosciuta in Grecia. E tuttavia, questo significa che per i Sofisti la cultura non è appannaggio di pochi eletti ma alla portata di tutti, o meglio di chi se lo può permettere. E tuttavia, non pochi di loro decidono di fare pagare rette salatissime ai più ricchi per potere garantire l’iscrizione ai più poveri.

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I Sofisti

D’altro canto, dopo le riforme di Pericle il numero di coloro che chiedono una formazione di base aumenta a dismisura e questo consente di abbassare le rette. In un primo momento, ciò che determina il successo delle scuole è soprattutto l’esigenza da parte dei cittadini ateniesi di difendersi nei pubblici dibattimenti.

Il sistema giudiziario ateniese è semplice e al tempo stesso spietato: basta che un qualsiasi cittadino accusi pubblicamente un altro cittadino di qualche reato che immediatamente si apre un procedimento nei suoi confronti. Questi dovrà presentarsi davanti ad una folta giuria popolare e difendersi dalle accuse. Dovrà, dunque, convincere la giuria della propria innocenza. Di qui la necessità di parlare bene, di ricevere una formazione completa (paideia), in modo da potere persuadere il suo auditorio.

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Ma c’è anche chi non se la sente di difendersi da solo. Nessun problema: esistono team di avvocati pronti a farlo al posto degli imputati, veri e propri maestri dell’arte della persuasione. Uno dei più famosi è Antifonte (nell’immagine). Egli sembra rappresentare alla perfezione la figura del sofista interessato solamente al successo e al denaro, al punto da mettere in piedi una vera e propria casa editrice specializzata in arringhe difensive buone per le più svariate occasioni.

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Il successo di tali pubblicazioni dà vita ad una nuova professione, quella del logografo, i quali nel tempo si specializzano anche in altri settori, offrendo al grande pubblico orazioni belle e pronte per ogni genere di contesto, da un funerale ad un matrimonio passando per una serenata o una campagna elettorale.

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l’Illuminismo greco

Ma al di là di tali “estremi”, la Sofistica rappresenta una novità assoluta nel panorama culturale dell’antichità, una vera e propria svolta che muta profondamente la società greca e non solo. Più che una corrente o un movimento culturale si può parlare di una vera e propria “atmosfera culturale” che permea quasi per intero quel particolare momento storico che segue la vittoria contro i persiani ed accompagna il governo di pericle: l’Atene del V secolo. Un’atmosfera di eccezionale rinnovamento e di spinte culturali che taluni storici paragonano all’Illuminismo del XVIII secolo.

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La fama negativa della Sofistica

E tuttavia ancora oggi si fanno sentire i giudizi negativi già a suo tempo pronunciati dai contemporanei, come Socrate, che definisce i Sofisti “prostituti del sapere”, e da filosofi successivi del calibro di Platone e Aristotele. Non è un caso se, ancora adesso, la parola “sofisticato” rimanda a qualcosa di non propriamente genuino.

Il problema non è solamente quello dell’insegnamento dietro compenso, quanto piuttosto il cosiddetto “relativismo culturale”. I Sofisti, infatti, non intendono trasmettere verità precostituite né dogmi o precetti religiosi ai loro studenti, ma solamente fornire loro gli strumenti per potersi adeguare (o affermare) nel mondo in cui vivono. Si tratta, dunque, di un sapere critico che, come tale, non guarda in faccia né alla tradizione né alla religione e nemmeno ai miti della patria. E questo peserà, e non poco, soprattutto quando la stella di Atene comincerà a spegnersi, dopo la guerra con Sparta. Allora la Sofistica verrà accusata di avere minato l’identità ateniese, contribuendo in tal modo alla sconfitta. Una accusa che finirà per coinvolgere lo stesso Socrate, che pure ancora oggi - anche grazie a Platone - viene considerato l’antisofista per eccellenza.

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I Sofisti e il “relativismo culturale”

Il relativismo culturale avrebbe minato l’identità ateniese, insegnando che non esistono verità assolute, che i valori ateniesi sono di eguale peso rispetto a quelli persiani o spartani e via dicendo. Accuse pesantissime, soprattutto se formulate nel clima da “caccia alle streghe” conseguente alle ripetute sconfitte contro l’eterna rivale Sparta. La Sofistica termina la sua breve ma intensissima esperienza nelle aule di tribunale e in quei libri di storia che ancora oggi la condannano come momento decadente della storia del pensiero greco.

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La rivoluzione sofistica

E tuttavia i Sofisti sono protagonisti di una straordinaria rivoluzione, quella antropologica. Fino ad allora, infatti, la filosofia si era concentrata quasi esclusivamente sulla natura: la physis e le sue verità più o meno profonde avevano rappresentato l’orizzonte di quasi tutte le principali scuole filosofiche del tempo. Con i Sofisti, invece, l’oggetto di studio è quella particolare forma di vita che è l’essere umano, in tutta la sua complessità.

Ed è proprio studiando l’uomo e le sue istituzioni che i Sofisti danno vita ad una accesa diatriba politica, dividendosi in una “destra” e in una “sinistra”. La destra sostiene che gli uomini siano, per natura, differenti e che, di conseguenza, debbano avere differenti diritti; per la sinistra, al contrario, gli uomini nascono tutti uguali ed è compito della politica combattere contro le diseguaglianze sociali.

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I Sofisti e lo studio dell’uomo

Il problema che i Sofisti si pongono è quello più generale del rapporto tra

physis e nomos

tra leggi di natura e leggi dell’uomo. In linea di massima, tutti i Sofisti, sia quelli di destra sia quelli di sinistra, ritengono che lo scopo delle leggi umane (nomos) debba essere quello di rispettare il più possibile le leggi della natura (physis). Va da sé che se si ritiene che la natura non crei gli uomini tutti uguali, le leggi dovranno proteggere tali differenze (destra); al contrario, se si ritiene che la natura crei gli uomini tutti uguali, le leggi dovranno proteggere e favorire tale eguaglianza (sinistra).

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I Sofisti e la politica

Socrate, Platone ed Aristotele avranno pure molti argomenti per condannare in toto la Sofistica, ma la loro filosofia si ispira proprio alla rivoluzione sofistica: tutti e tre, infatti, studieranno l’uomo e le sue istituzioni politiche.

La natura crea gli uomini tutti uguali. Le leggi umane dovranno rispettare tale uguaglianza

In natura gli uomini non sono tutti uguali. Le leggi dovranno tutelare tali differenze

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I Sofisti e la religione

Un’altra questione molto dibattuta tra i Sofisti è quella religiosa. Al di là degli schieramenti, in linea di massima il movimento considera gli dei una invenzione umana.

Scrive Prodiclo di Ceo (sofista “di sinistra”):

“gli antichi consideravano dei, in virtù dell'utilità che ne derivava, il sole, la luna, i fiumi, le fonti e in generale tutte le cose che giovano alla nostra vita, come per esempio, gli Egiziani il Nilo. E per questo il pane era considerato come Demetra, il vino come Dioniso”

Gli fa eco Crizia (sofista “di destra” e futuro tiranno di Atene dopo la sconfitta con Sparta):

“gli dei non sono altro che una invenzione dei governanti che non potendo colpire con la loro diretta oppressione ogni atto dei loro discepoli li hanno indotti a credere nell'esistenza di una divinità invisibile, che conosce e punisce i comportamenti proibiti dalle leggi imposte da chi governa”

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I Sofisti

Sono argomenti che appassionano la cittadinanza, avvicinando i filosofi alla vita quotidiana delle persone. Il concetto di “opinione pubblica” si imporrà solo molti secoli dopo - tra il XVIII e il XIX secolo - ma è evidente che qualcosa di simile sta nascendo nell’Atene del V secolo.

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Protagora

Abdera, 486 a.C. - Mar Ionio, 411 a.C.

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La vita

Protagora asce ad Abdera intorno al 486 a.C. Di famiglia poverissima, è costretto sin da giovanissimo a lavorare come trasportatore di merci per i ricchi negozianti della città. Un giorno – racconta Diogene Laerzio – Democrito, passeggiando per le vie della città, nota un giovane tutto intento a caricare sul dorso di un mulo un grosso carico di legna e ne rimane affascinato ed esclama: “Chi riesce a fare un lavoro del genere deve avere una predisposizione naturale per il ragionamento filosofico!”.

Democrito decide di prendere con sé questo giovane, Protagora, il quale può così abbandonare quel faticoso lavoro per lanciarsi verso l’affascinante mondo della filosofia.

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Protagora ad Atene

Protagora sembra essere particolarmente dotato dal punto di vista delle competenze linguistiche e queste sono molto ricercate ad Atene. Ed è forse per questo motivo che il giovane Protagora decide di trasferirsi in quella che è già da alcuni anni la capitale del mondo antico.

Le sue doti vengono subito apprezzate dagli ateniesi e, soprattutto, ben pagate. Può così aprire una scuola, probabilmente molto costosa, in quanto dalle fonti risulta che molti cittadini lo accusino di essere venale. Ma Protagora risponde colpo su colpo alle accuse. Come narra lo storico romano Quintiliano, ad uno studente di nome Evatlo, che decide di non pagare la retta, il maestro gli risponde con calma serafica: “Caro Evatlo, tu non hai scampo comunque, giacché io ti cito subito in giudizio: se i magistrati ti daranno torto, mi dovrai pagare perché hai perso, se invece ti daranno ragione, mi dovrai pagare perché hai vinto la causa”. Nasce in tal modo una delle produzioni filosofiche di maggior successo nell’antichità, i cosiddetti insolubilia, vale a dire i rompicapo logico.filosofici.

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Protagora: il processo

Protagora è uno scrittore di notevole successo. In poco tempo diventa uno degli uomini più ricchi di Atene. Ma tutto ciò può rappresentare un pericolo in una città particolarmente calda dal punto di vista politico. E infatti, viene citato in giudizio per questioni religiose, pare in conseguenza della seguente affermazione:

“Intorno agli Dei non ho alcuna possibilità di sapere, né che esistono, né che non esistono. Molti sono gli ostacoli che mi impediscono di sapere, sia l'oscurità dell'argomento, sia la brevità della vita umana”

Protagora, come già a suo tempo Anassagora, nati entrambi in contesti meno intolleranti, non pensava di dovere fare i conti con la legge per questioni religiose, ancor meno di dover rispondere di una affermazione di chiaro stampo agnostico e non ateo. Ma Atene non è Abdera e comunque non è escluso che dietro tali accuse ci siano gelosie o, soprattutto antipatie politiche. Infatti, ad accusare Protagora è un certo Pitodoro, membro aristocratico dell’Assemblea dei Quattrocento, una istituzione che di lì a pochi anni cancellerà le libertà democratiche.

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Sugli esiti del processo le fonti non concordano: c’è chi parla di condanna a morte chi di ostracismo. Comunque siano andate le cose, Protagora muore nelle acque dello Ionio nel tentativo di raggiungere la Sicilia.

D’altro canto, la democrazia ateniese sta attraversando un periodo di crisi e sul banco degli imputati non c’è solamente lui ma - per ora solo in maniera figurata - l’intero movimento sofistico e il suo relativismo culturale. Ad accusare Protagora è un aristocratico, Pitodoro, membro di quella Assemblea dei Quattrocento che sta per cancellare la democrazia periclea. Sulla sentenza emessa dal tribunale popolare di Atene, però, le fonti non concordano: condanna a morte o ostracismo? Resta il fatto che Protagora morirà nelle acque dello Ionio, nel tentativo di raggiungere le coste della Sicilia.

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L’uomo è misura di tutte le cose

Protagora può essere definito il padre di quel relativismo culturale che caratterizza l’intero movimento sofista. D’altro canto, che significato dare a queste parole?

“L'uomo è misura di tutte le cose:�di quelle che sono, per ciò che sono,�e di quelle che non sono, per ciò che non sono”

Non si tratta di un gioco di parole: Protagora intende infatti affermare che, al di là delle diatribe filosofiche sull’essere e sul non-essere del passato, la conoscenza passa sempre attraverso i metri di giudizio dell’uomo. Poco importa, insomma, quale sia la natura profonda delle cose, anche perché probabilmente nessuno è in grado di coglierla del tutto. A dare senso alle cose siamo noi, gli esseri umani. Ma il problema è stabilire chi sia l’uomo di cui parla Protagora.

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L’uomo è misura di tutte le cose

L’uomo è misura di tutte le cose

Esistono almeno tre possibilità:

  • Uomo inteso come singolo uomo

Se ognuno dovesse giudicare le cose secondo il proprio metro di giudizio, ci si troverebbe di fronte ad un caos indescrivibile, ad un relativismo assoluto che cancellerebbe ogni possibilità di comunicazione tra gli uomini.

Difficile che Protagora abbia potuto sostenere una simile posizione, propendendo per una anarchia tale da minare la sua stessa professione, quella di insegnante.

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L’uomo è misura di tutte le cose

L’uomo è misura di tutte le cose

Esistono almeno tre possibilità:

2. Uomo inteso come umanità

E’ la soluzione opposta alla precedente: l’uomo viene inteso cioè come “umanità”. Questo significa che ogni essere umano giudicherà le cose alla stessa maniera. Il giudizio, dunque, sarà universale, nello spazio come nel tempo, perché in ogni uomo esistono i medesimi strumenti di comprensione e giudizio della realtà che lo circonda.

Anche in questo caso è difficile pensare che Protagora abbia potuto sostenere una posizione che lo collocherebbe al di fuori dell’ambiente in cui vive, quello della Sofistica. Questo naturalmente non significa che egli non possa avere sostenuto che (da buon democratico qual era) tutti gli uomini sono in qualche modo “pre-disposti” alla conoscenza, che, di conseguenza, a nessuno è precluso l’insegnamento. Ma il metro di giudizio non corrisponde necessariamente alla conoscenza.

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L’uomo è misura di tutte le cose

L’uomo è misura di tutte le cose

Esistono almeno tre possibilità:

3. Uomo inteso come “comunità”

Ogni uomo si forma nel contesto spazio-temporale in cui nasce e vive. Dunque, un ateniese del V secolo avrà un sistema di valori e quindi di giudizio della realtà non solo differente da un persiano o uno spartano suo contemporaneo, ma anche da un suo concittadino di due secoli prima o di due secoli dopo.

E’ forse questa la maniera più corretta di intendere l’affermazione di Protagora? Probabilmente sì, anche se non si hanno elementi chiari in proposito.

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L’uomo è misura di tutte le cose

La rivoluzione antropologica

Quello che è certo è che con Protagora si assiste ad una radicale svolta nella filosofia greca, ad una vera e propria rivoluzione antropocentrica.

Con Protagora, non solo l’oggetto di studio della filosofia si sposta dall’ambito fisico verso l’uomo, ma quest’ultimo si trasforma in una sorta di faro che illumina (!) le cose. Tutto passa attraverso i metri di giudizio dell’essere umano. Le cose esistono solamente se sono “cose-per-noi”.

Tutto ruota attorno all’uomo.

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L’uomo è misura di tutte le cose

La rivoluzione antropologica

Una rivoluzione forse troppo radicale per essere compresa a fondo dai pur evoluti cittadini di Atene. Mettere l’uomo al centro dell’universo è un’operazione alquanto pericolosa e non solo nell’antica Grecia.

Basti pensare agli intellettuali dell’Era moderna e agli Illuministi del Settecento. Insomma, Protagora rappresenta una prospettiva filosofica decisamente avveniristica, ma non per questo espulsa dal corpo sociale greco. Altri filosofi, pur condannando il suo relativismo e il suo antopocentrismo, al suo pensiero si ispireranno per fondare le loro filosofie.

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GORGIA

Lentini, 480 a.C. circa - Larissa 375 a.C. circa

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Gorgia nasce a Lentini, colonia greca della Sicilia, intorno al 480 a.C. da famiglia di intellettuali. Sono poche le notizie sul suo conto. Si sa però che, molto giovane, viene mandato ad Atene in qualità di ambasciatore. Questa nomina cambierà tutta la sua vita. Pare che riesca a convincere il governo di Atene a sostenere Leontini (città democratica) contro Siracusa (aristocratica). Resta il fatto che egli decide di rimanere ad Atene dedicandosi interamente alla filosofia.

Da più parti lo si considera l’inventore dell’arte della retorica, che rappresenta un ulteriore tassello di quell’uso ricercato delle parole iniziato con l’eloquenza. Anzi, per molti contemporanei è una vera e propria degenerazione dell’eloquenza. In poche parole, retorico è colui che utilizza le parole con il solo fine di colpire gli ascoltatori, disinteressandosi completamente dei contenuti. Pare che Gorgia amasse girare per Atene urlando: “datemi un tema!”, sostenendo di essere in grado di svilupparlo fino alle sue estreme conseguenze e di fare lo stesso con il tema opposto.

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“Nulla è

e se anche qualcosa fosse, non lo potrei capire

e seppure riuscissi a capirlo, non sarei in grado di comunicarlo ad altri”

Se con Protagora si assiste ad una più o meno radicale svolta relativistica, con Gorgia si rischia di naufragare nello scetticismo radicale. Come interpretare infatti l’attacco di questa nota affermazione, “nulla è”? Vuole forse Gorgia negare l’esistenza delle cose?

Fortunatamente il prosieguo del discorso chiarisce, almeno in parte, il significato dell’affermazione.

Ma andiamo con ordine.

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“Nulla esiste”

Scrive Gorgia: “Nulla esiste. [Infatti[ se qualcosa esiste esso sarà o l'essere o il non-essere o l'essere e il non-essere assieme. Ora, il non-essere non esiste, ma neppure l'essere esiste, perché se ci fosse non potrebbe essere che o eterno o generato o eterno e generato insieme. Ora, se è eterno, non ha alcun principio e, di conseguenza, è infinito; e se è infinito, non è in alcun luogo; e se non è in alcun luogo, non esiste. E tuttavia non è nemmeno generato, poiché se fosse nato, sarebbe nato o dall'essere o dal non-essere. Ma non è nato dall'essere, perché se è essere, allora non è nato ma è già, né dal non-essere, perché il non-essere non può generare”

Da queste parole si nota molto chiaramente come la famosa “retorica” non sia tanto - come vogliono i suoi numerosi critici - un’arte degenerata della retorica, bensì una forma molto sofisticata - e per questo complicata - di logica. Il nulla è conseguenza cioè di un raffinato ragionamento che parte da alcune conclusioni tratte dai filosofi precedenti (Eraclito e Parmenide). La logica conclusione di tale diatriba, dunque, è che nulla esiste.

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… e se anche qualcosa fosse, non lo potrei capire

Scrive Gorgia: “Se le cose pensate non si può dire che siano esistenti, sarà vero di conseguenza anche l'inverso e cioè che non si può dire che l'essere sia pensato: se il pensato non esiste, l'essere non è pensato. E che le cose pensate non esistano è chiaro: se il pensato esiste, allora tutte le cose pensate esistono, comunque le si pensino, ma ciò è contrario all'esperienza, perché non è vero è vero che se uno pensa ad un uomo che voli o dei carri che corrano sul mare, allora ecco che un uomo si mette a volare o dei carri si mettono a correre sul mare. Dunque l'essere non è pensato”

Ancora una volta Gorgia mette in mostra le sue grandi dote logico-dialettiche, le quali prendono atto dell’enorme distanza che corre tra la realtà (ora data esistente) e il nostro pensiero. Siamo proprio così sicuri di essere in grado di cogliere quello che ci circonda? E siamo così sicuri che i nostri pensieri corrispondano sempre a cose esistenti nella realtà?

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e seppure riuscissi a capirlo, non sarei in grado di comunicarlo ad altri

Gorgia giunge finalmente alla conclusione: posto che le cose esistenti esistano e che l’uomo sia in grado di comprenderle - come asseriscono i più - rimane il problema della comunicazione intersoggettiva. Egli afferma che, poiché il mezzo con cui ci esprimiamo è la parola e la parola non è mai l’oggetto, quello che noi comunichiamo agli altri non è mai un oggetto né un pensiero bensì una sorta di suono vocale, la parola appunto.

In questa affermazione risiede il fondamento del pensiero di Gorgia, quello dell’esaltazione della parola, del suo potere. Mancando le certezze circa la realtà che ci circonda e il nesso tra tale realtà e il nostro pensiero, posto che noi riuscissimo a pensare qualcosa di reale, rimane il fatto che la parola non lo è per nulla. E dunque la forza di un discorso non sta nella sua vera o presunta veridicità ma nelle parole che usiamo per sostenerlo.

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potere alla parola

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L’Encomio di Elena

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La Retorica

Per Gorgia non esiste alcun metro per potere giudicare un’affermazione se non quello del linguaggio stesso:

“La parola è un gran dominatore, che con un corpo piccolissimo e invisibilissimo divinissime opere sa compiere”

E Gorgia celebra questo potere in una delle opere più grandi (e controverse) dell’antichità: L’encomio di Elena.

L’Encomio di Elena

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Elena è l’indiscussa protagonista della straordinaria opera omerica, vera e propria pietra miliare della cultura greca.

Il più sconvolgente conflitto dell’antichità, la Guerra di Troia, scoppierà a causa sua, della sua bellezza.

L’intento di Gorgia è quello di dare vita ad un vero e proprio processo postumo, nel quale egli assume la difesa di Elena.

Un compito molto difficile, perché anora oggi sulla figura della donna i giudizi sono per lo più negativi.

L’Encomio di Elena

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L’arringa difensiva di Gorgia verte su quattro punti, che rappresentano altrettante ipotesi e cioè che Elena:

  • sia stata rapita dagli dei
  • sia stata rapita con la forza da uomini bruti
  • sia stata rapita dall’amore
  • sia stata rapita dai discorsi

In tutti i casi, Elena è innocente

L’Encomio di Elena

Esistono altri due casi, che in realtà possono essere fatti rientrare nel primo: la Sorte e il Destino

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Immaginiamo Gorgia di fronte ad una giuria molto particolare, quella dei suoi lettori, tra i quali non pochi convinti (come la stessa Elena d’altro canto) che le responsabilità della tragedia debbano essere addebitate a lei, la bella di Troia. Ebbene - comincia così l’arringa difensiva di Gorgia, guardando fisso negli occhi i giurati e quindi noi lettori- poniamo che Elena sia stata rapita dagli dei, chi di voi sarebbe stato in grado di opporsi al loro volere?

L’Encomio di Elena

Rapita dagli dei

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Se invece è stata rapita da uomini bruti, nella fattispecie da Paride, come è scritto nell’Iliade - continua Gorgia, sempre guardando fisso i giurati - Elena è comunque innocente, in quanto nessuno di noi sarebbe in grado di resistere al più forte.

L’Encomio di Elena

Rapita da uomini bruti

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Ma se anche Elena fosse stata rapita dall’amore, tradendo dunque la sua patria, sarebbe comunque innocente - continua Gorgia - perché - per usare una terminologia moderna - al cuore non si comanda (e comunque Amore è un dio e quindi si ricade nel primo degli argomenti a difesa dell’imputata).

L’Encomio di Elena

Rapita dall’amore

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E se Elena fosse stata, invece, convinta dai discorsi? Sarebbe ancor più innocente - conclude Gorgia - perché le parole hanno la stessa forza dell’amore, della forza bruta e persino degli dei: se non si hanno le armi per difendersi, se non si conoscono i suoi segreti, si finisce per soccombere.

L’Encomio di Elena

Rapita dai discorsi