La dimensione interiore della Speranza
«Ma cosa credete, che non veda il filo spinato, non veda i forni crematori, non veda il dominio della morte? Sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo, e in questo spicchio di cielo che ho nel cuore io vedo libertà e bellezza»: queste sono parole appuntate nei suoi diari dalla giovane ebrea olandese Etty Hillesum – morta ad Auschwitz a soli 29 anni – che ci danno l’idea di una dimensione interiore della Speranza, che attribuisce senso e persino bellezza a ciò che è oggettivamente tremendo: perché senso e bellezza risiedono nell’interiorità.
Il suo non è stato un ingenuo sentimentalismo o una fuga dal principio di realtà, ma la consapevolezza del fatto che ciò che veramente uccide la Speranza sono l’inquietudine e la paura: «Bisogna combatterle come pulci, le tante piccole preoccupazioni per il futuro che divorano le nostre migliori forze creative».
Il problema della vita umana – affermava Etty – non è la sofferenza in sé, ma quella che si teme: è l’incapacità di assumere su di sé e accettare anche ciò che di brutto la vita riserva. «Ho una fiducia così grande: non nel senso che tutto andrà sempre bene nella mia vita esteriore, ma nel senso che anche quando le cose mi andranno male, io continuerò ad accettare questa vita come una cosa buona».
Etty, dopo un percorso travagliato, arrivò alla fede e all’abbandono in Dio.