UNA NUOVA IDEA DI PARTITO SARDO
PROPOSTA ALLA DISCUSSIONE TEMATICA IN VISTA DEL CONGRESSO REGIONALE DEL 5 DICEMBRE 2021
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A - Premessa
La Sinistra vince quando si fa Progetto collettivo e convince quando pensa e costruisce il cambiamento attraverso meccanismi di Partecipazione e Condivisione avendo come obiettivo estendere le opportunità, restringere le disuguaglianze ed includere le periferie sociali, territoriali e di prospettiva.
Se il progetto lo si costruisce partendo dalla Sardegna non si può guardare al domani senza recuperare il meglio della elaborazione politica progressista e autonomista che ha provato, talvolta riuscendoci, a dare voce alle nostre istanze, con il coraggio di stravolgere dinamiche, percorsi, relazioni consolidate, spazi, tempi e modalità.
Stravolgere, non cancellare ciò che è stato, interrogandosi con Libertà e Responsabilità sull’utilità di percorrere sentieri già battuti ovvero individuarne di nuovi, senza dimenticare che il nostro essere Isola oltre a determinare maggiori costi, gap infrastrutturali e isolamento configura anche la nostra forza.
Infatti, la nostra Isola è uno dei principali Centri geografici nel cuore del Mediterraneo, naturale punto di relazione fra la sponda sud del Mondo e l’Europa il cui sviluppo necessita della capacità di sovrapporre Capacità dirigente e di proposta in ambito ai processi di Perequazione infrastrutturale, Transizione digitale, ecologica e sociale che, nei prossimi decenni, caratterizzeranno il percorso di sviluppo a valere sul PNRR e i sui Fondi europei 2021-2027. Naturalmente la programmazione dovrà contare sulle potenzialità progettuali e di spesa di Regione ed Enti Locali e sul protagonismo del Terzo settore che, anche in Sardegna, si è spesso fatto carico di rispondere a necessità e bisogni non sempre intercettati a livello istituzionale.
Con la convinzione che in questo momento, più di altri, il rilancio della sussidiarietà quale metodo per assumere le decisioni e gestire i processi sia quanto mai necessario.
Il Partito democratico della Sardegna, in occasione della sessione congressuale che si apre in questi giorni e che proseguirà con la celebrazione, alla fine dell’anno, delle primarie per l’elezione del/della Segretario/a e dell’Assemblea regionale e nei primi messi del 2022 con il rinnovo degli organismi provinciali e comunali, può e deve utilizzare questo momento di Discussione interna per aprire un dibattito in e sulla Sardegna mettendo in campo una Agenda politica, delle Parole d’ordine, per contribuire alla costruzione di uno spazio politico dove incrociare forze politiche e movimenti con cui condividere il confronto e la sfida per le Prossime elezioni regionali così come per il Governo locale.
Le domande sono allora: quale agenda politica, quali parole d’ordine e, soprattutto, quale il perimetro di alleanze e con quale modello di Partito e di organizzazione istituzionale?
In sintesi: come, con quale funzione e strumenti il Partito democratico intende animare e guidare il dibattito e l’elaborazione sul futuro della Sardegna.
Rispondere a questi interrogativi significa avere chiare alcune considerazioni di fondo.
Innanzitutto, nel nuovo contesto europeo, come in quello nazionale e regionale, ridisegnati dalla pandemia, torna centrale il tema dell’accesso universale a beni e servizi pubblici: sanità, scuola, formazione, rete, ambiente e l’imprescindibilità di alcuni diritti civili e sociali: lavoro, sicurezza sociale, genitorialità, residenza, mobilità, inclusione.
Dopo ripetuti cicli di politica economica costruiti intorno alla stabilità dei conti pubblici, quale paradigma dello sviluppo, sulla base di rigidi calcoli ragionieristici, si è proceduto al taglio lineare di servizi essenziali negando opportunità e diritti a Comunità, Territori e intere fasce sociali di popolazione. Lo shock determinato dalla pandemia, che ha costretto il Governo Conte 2 e poi il Governo Draghi, pur di tenere in piedi il Paese, a ricorrere ripetutamente e pesantemente al debito pubblico, che non dimentichiamolo andrà a pesare sulle spalle delle prossime generazioni, ci consegna la missione di rigenerare l’Italia partendo dai suoi punti di debolezza territoriali, sociali, educativi, formativi e produttivi. In modo tale che innanzi a futuri urti, siano determinati da crisi economiche o sanitarie, il Paese attutisca i colpi e non si rompa.
Non a caso lo strumento di ricostruzione post pandemia è stato denominato Piano nazionale di ripartenza e resilienza.
In questo senso il Partito democratico, a maggior ragione in Sardegna, deve necessariamente mettere a punto le sue politiche sociali ed economiche avendo in mente un obiettivo: consentire a tutte e a tutti di perseguire il proprio progetto di vita. A prescindere dalla famiglia o dal territorio in cui si nasce e si cresce.
L’emergenza sanitaria e il Governo Draghi scompaginano, ancora una volta, nella nostra storia recente, il sistema partitico italiano. Si ridefinisce il campo dell’anti-politica assumendo sempre più un marcato profilo di destra. Verso la destra sovranista e, come si evince dalle recenti inchieste, neofascista vira anche il Centro-destra a trazione meloniana.
Il M5S, che nel 2013 e poi nel 2018 (tenendo come riferimento le elezioni politiche che hanno segnato i principali traguardi pentastellati) ha ricevuto la fiducia di pezzi di elettorato che in altre fasi votò il centrosinistra, completa la sua evoluzione in partito di sistema scegliendo, con Giuseppe Conte, di collocarsi nel campo del Centro-Sinistra.
Il Partito democratico resiste, nonostante le varie scissioni. Resiste, ma non non convince. Anche in Sardegna.
I dati elettorali a partire dalle politiche 2013 mostrano una costante erosione di consensi. A livello nazionale il nostro Partito, secondo i più recenti sondaggi, si attesta intorno al 20%. A livello regionale le ultime consultazioni di rilevanza politica attestano il Pd al 13,5% (96 mila voti). Questo dato ci indica la strada da intraprendere. Sciogliere i nodi che da troppo tempo tarpano le ali ad un partito le cui potenzialità vanno ben oltre quel dato percentuale. Con generosità e slancio favorire e facilitare le risorse e le idee che ci consentano di connetterci con la società sarda e di portarla fuori dalla disperazione in cui si trova dopo la pandemia e la Giunta Solinas.
I dati delle amministrative confermano che gli elettori ripongono fiducia nelle nostre proposte quando mettiamo in campo le nostre classi dirigenti migliori in termini di competenza e che il Pd rimane il perno intorno al quale costruire il campo dei progressisti e dei riformisti marcando ulteriormente distanze e differenze rispetto alle combinazioni destro-leghista in salsa sardista.
Non si potranno vincere le prossime elezioni regionali solo raccogliendo i cocci rotti da Christian Solinas e dalla sua maggioranza, ma offrendo una proposta politica che per essere convincente dovrà essere innovativa e inclusiva. Perché innovazione e inclusione sono i fili per cucire l’ordito all’interno sia del Partito democratico sia di una rinnovata coalizione dei Progressisti marcando una distanza vigorosa dal disegno sardo-leghista.
Un partito radicalmente alternativo ai partiti che governano attualmente la Regione, al partito che oggi esprime il Presidente, alla destra populista e con venature razziste della Lega e di Fdi. Un partito che apre il dialogo alle forze moderate che vorranno rompere la peggiore stagione della storia dell’Autonomia speciale e che ricostruisce un dialogo positivo con le forze autonomistiche, dell’autodeterminazione e indipendentiste di governo. La precondizione al dialogo con le forze autonomiste e indipendentiste dipenderà anche (e soprattutto) dalla capacità del Pd sardo di ripensare se stesso, i rapporti col Pd nazionale, con lo Stato italiano e con la vocazione, naturale e popolare, all’autogoverno del popolo sardo.
Il Pd sardo non può lasciare al Psd’az a trazione leghista il tema dell’autodeterminazione, dell’autogoverno, della Nazione sarda, ma deve interpretarli nella modernità, in chiave europea e mediterranea, per una Sardegna aperta al mondo e non chiusa né in sé stessa né nei meccanismi del potere per il potere.
Il Pd sardo deve tornare ad essere il partito che punta a trasformare la realtà politica e sociale della Sardegna superando i blocchi di conservazione fuori e dentro di sé, rompere la tradizione di non valorizzare le donne in quanto soggetti autonomi, non il partito dello status quo: nelle istituzioni e nella società. Per trasformare politica e società il Pd deve avere, innanzitutto, una visione strategica per i prossimi 10 anni, deve porsi alla guida di mutamenti tanto necessari quanto improcrastinabili a partire dagli assetti istituzionali e per arrivare alla definizione di politiche pubbliche radicalmente alternative a quelle della destra alla Governo della Regione.
Queste le premesse e i propositi con cui vengono inseriti all’interno del presente documento alcuni spunti tematici che non saranno né esaustivi né definitivi. Ma iniezioni, si spera utili, per avviare un confronto dal quale possano scaturire un’agenda politica radicale, delle parole d’ordine chiare e una nuova stagione politica che sappia riportare dentro le tante energie disperse e lasciate indietro in tutti questi anni passati.
O coinvolgerne di nuove che, semplicemente, non si è riusciti ad incuriosire, interessare ed includere.

B - Agenda sociale: il Partito dei luoghi e delle persone
La società sarda appare sempre più debole, infiacchita, ripiegata su se stessa a causa del costante impoverimento, della crescente disoccupazione, delle insopportabili diseguaglianze sociali e territoriali, dell’emigrazione delle giovani generazioni, degli insostenibili livelli di abbandono e dispersione scolastici, dell’arretramento dei servizi pubblici essenziali a partire dalla sanità, dai servizi socio-educativi e da quelli alle famiglie.
Questi i particolari e specifici dati di contesto su cui soffermarci per poter caratterizzare questo contributo, provando a immaginare che il Partito democratico sardo si caratterizzi come partito dei luoghi e delle persone facendosi carico di costruire strumenti e percorsi per attualizzare quei diritti sociali che abbiamo individuato come fondamentali. Un partito che recuperi, in tal senso, la funzione di intermediazione fra i territori e le istituzioni, utilizzando a riguardo gli strumenti tradizionali (i circoli) affiancati da modalità nuove di costruire relazioni (le agorà democratiche, altre modalità di scambio).
Senza mai perdere di vista i bisogni reali dei Sardi.
Con particolare attenzione alle fragilità, alle vulnerabilità, al disagio sociale e alle disuguaglianze che oggi si presentano con formule nuove ed evoluzioni, anche, inedite.
Rispetto alle 42000 dimissioni dal lavoro di neogenitori, con figli fra 0 e 3 anni, l’80% dei quali donne, 628 interessano nuclei famigliari sardi.
In Sardegna però le neomamme di figli 0-3 anni che hanno lasciato il lavorosono quasi il 90% del totale. La maggior parte sono lavoratrici di fascia reddituale bassa, con contratti part time in settori produttivi fragili.
Questo dato, apparentemente marginale ma che ha una valenza che va ben aldilà del dato quantitativo, ci fornisce una chiave di lettura della società sarda che dovremo tenere in considerazione per costruire l’agenda sociale del Partito democratico della Sardegna.
Anche in Sardegna si indebolisce sempre più la struttura famigliare tradizionale, la famiglia allargata, in cui i figli dei figli erano a carico dei nonni e spesso, il dato sopra ci dice addirittura in misura maggiore rispetto al dato nazionale, i carichi di cura, dei figli ma anche dei genitori anziani, impossibilitati ad accedere a loro volta a un sistema pubblico di cura, pesano esclusivamente sulle spalle delle donne. Costrette in ultima analisi a scegliere fra casa, figli e lavoro, realizzazione professionale.
Spesso le donne sono più povere e se lavorano lo fanno con formule contrattuali precarie e in settori produttivi fragili. (Tutte le ricerche recenti e i dati sulla disoccupazione post covid come quelli elaborati dalla Caritas, dalle Acli e dall’INPS rispetto al Rdc confermano questa tendenza);
L’estrema debolezza e scarsa diffusione di un sistema di servizi sociali ed educativi di dimensione comunitaria, il cosiddetto welfare di prossimità, complica ulteriormente la situazione in cui si trovano le famiglie. In particolare le donne. Ancor di più nelle periferie urbane e rurali. “Come è stato ampiamente dibattuto in questo ultimo anno, la crisi sanitaria ha avuto impatti sociali diseguali, con maggiore intensità nei confronti dei bambini, degli anziani, dei disabili e delle donne meno abbienti, e in particolar modo di quelle con figli in età scolare”.
Le complicazioni insite nella scelta della genitorialità inducono le coppie, le lavoratrici a rinunciarvi. In Sardegna più che altrove aver figli se non si è benestanti e non si risiede in prossimità dei servizi può rappresentare una condizione di povertà strutturale oltre che di rinuncia al lavoro.
Il tema della natalità, che rappresenta uno fra i più impattanti dati strutturali con cui dobbiamo confrontarci, non può quindi essere affrontato e incanalato verso una possibile soluzione se non si interviene sulla riorganizzazione e rafforzamento del sistema di welfare di prossimità e sulla predisposizione di strumenti, anche finanziari, che facilitino la scelta della genitorialità.
Il Partito democratico della Sardegna deve divenire, in tal senso, il partito della prossimità promuovendo il cantiere per la riorganizzazione del sistema di welfare sardo come priorità. Senza intervenire sui principali ostacoli alla scelta della genitorialità, difficilmente si potranno contrastare ed invertire i fenomeni della denatalità, del decremento demografico e della emigrazione dei nostri giovani.
C - Il Partito della valorizzazione del capitale umano
Un altro tema che è sempre stato centrale, ma deve tornare a essere ancora più, è la valorizzazione del nostro capitale umano. Le donne, i giovani e gli ambiti territoriali più marginali e le periferie, che già vivevano situazione di precarietà e fragilità, hanno pagato il prezzo maggiore della pandemia. Sono finiti ai margini o in povertà quelli con titoli di studio medio-bassi, scarsa qualificazione professionale e assunti con contratti precari nei settori del commercio, turismo, ricettività che, come sappiamo, sono stati i settori più colpiti dalla crisi.
Le linee di investimento del PNRR mettono al centro il capitale umano. Lo individuano come punto di debolezza del sistema Paese, del Mezzogiorno e delle Isole in particolare, e insieme come opportunità per il futuro. Come driver per il successo dei processi di transizione, per quello ecologico ed energetico cosi come per quello digitale.
In Sardegna la scommessa vale doppio: superare la crisi post covid e provare a cambiare la fragile struttura occupazionale che da sempre incide negativamente sulle dinamiche del mercato del lavoro.
Due indicatori definiscono il problema e assegnano alla Sardegna la posizione peggiore fra le regioni italiane. Il tasso di attività ovvero il numero di lavoratori e lavoratrici che partecipano al mercato del lavoro, nel 2020 si riduce di 43 mila unità e quello di occupazione che sempre nel 2020 passa dal 41% al 39%. In Sardegna su 100 individui che escono dal mercato del lavoro, 56 sono donne, nonostante nel 2019, queste ultime, rappresentavano solo il 43% della forza lavoro.
Se a questi dati aggiungiamo che in Sardegna il 57% dei residenti possiede solo la licenzia media, che la nostra regione vanta il triste primato del minor numero di diplomati e laureati, che il tasso di dispersione scolastica si aggira intorno al 23%, siamo innanzi a un quadro il cui livello di vulnerabilità è massimo. Se dal livello di istruzione regionale ci concentriamo su quello territoriale, possiamo a mettere a fuoco, senza grandi difficoltà, il perché alcuni territori non riescono ad entrare in virtuosi meccanismi di sviluppo. Sono, infatti, appena quattro le realtà territoriali il cui numero di diplomati e laureati supera il 50% della popolazione: Cagliari (58,2%), Nuoro e Oristano (52%) e Sassari (51,3%). Ci sono piccoli comuni in cui solo 1 residente su 5 ha conseguito il diploma e i titolari di sola licenzia media raggiungono l’80% della popolazione.
I dati citati rappresentano chiaramente quali sono i punti di debolezza su cui dobbiamo agire se vogliamo superare sottosviluppo, povertà e difficoltà a competere con altri contesti territoriali italiani ed europei.
Solo agendo sul nostro capitale umano, sui più giovani attraverso percorsi formativi e professionalizzanti e sugli adulti inserendoli in programmi di formazione continua possiamo cambiare il volto della Sardegna. E in questa fase non abbiamo più l’argomentazione della scarsità delle risorse. Occorre mettere in campo progetti e percorsi. Senza inventare nulla di nuovo.
Sono sempre state Giunte regionali di Centro sinistra a provare ad agire sulla leva del capitale umano, anche attraverso strumenti innovativi come il CRS4 negli anni 90, il Master and Back e Iscola.
Il Partito democratico deve ripartire e attingere da queste esperienze, correggerne i limiti e provare a inserirle nel nuovo quadro strategico nazionale ed europeo.
Il reddito di cittadinanza, misura discussa e che certamente sarà rivisitata a livello nazionale all’interno di un contesto organico di interventi che comprende l’Assegno universale per i figli e altre misure contro la povertà, deve diventare, attraverso risorse regionali aggiuntive un pacchetto che, attraverso diverse linee di intervento aggiunga alla sua funzione di strumento universale contro la povertà quella di percorso di welfare generativo con specifiche finalità:
rispondere ai bisogni di chi, con le proprie forze o con quelle della propria famiglia, non ce la fa: Reddito universale contro la povertà materiale.
sostenere i percorsi di studio e di formazione oltre a quelli di alfabetizzazione digitale: Reddito di formazione e alta formazione per le ragazze e i ragazzi. Reddito di formazione permanente e quindi strumento di politica attiva. Reddito di digitalizzazione.
diventare strumento di welfare generativo fondato cioè sulla corrispondenza tra esigibilità di diritti ed esigibilità di doveri di solidarietà coniugando l’intervento sul bisogno individuale con quello di politica di riequilibrio territoriale e di rigenerazione urbana. Reddito d’insediamento. Partendo dalla prospettiva solidaristica insita nella Costituzione per cui agli appartenenti alla collettività possano essere imposti doveri a vantaggio della collettività intera e alla possibilità che all’erogazione di una prestazione pubblica debba corrispondere da parte dei soggetti beneficiari, una controprestazione, potrebbe essere costruita una misura (reddito di insediamento) sulla base della quale a soggetti che si trovano in una condizione di precarietà lavorativa, di disoccupazione o inoccupazione permanente o temporanea, di povertà o esclusione sociale può essere offerta un progetto di vita e lavoro che preveda l’opportunità e la responsabilità, in virtù della prospettiva solidaristica della nostra Costituzione, di andare a vivere in contesti territoriali da rigenerare, i nostri piccoli comuni, le aree interne.
Il nostro Partito deve affermare in ogni momento di discussione la centralità della valorizzazione del capitale umano quale leva di progresso collettivo e di riequilibrio territoriale.
C’è una costante nella storia sarda di ieri come in quella di oggi: l’emigrazione dei nostri talenti, delle migliori energie, di quel saper fare che impoverisce il nostro sistema territoriale e le nostre Comunità.
Nereide Rudas, che definiva il fenomeno migratorio la “la fuga disperata”, scriveva nel 1974: “La realtà economico, sociale e culturale è pertanto profondamente segnata da contraddizioni e scompensi, di cui è indice significativo l’emigrazione, aspetto di quella che fu definita la “questione sarda” nell’ambito della più ampia questione meridionale”. Continua in un altro passaggio: “Infine l’emigrazione sarda parte da una regione a bassa densità demografica, anzi da una delle regioni italiane più sottopopolate e incide su una struttura e una dinamica insediative già di per se carenti e alterate, inducendo la desertificazione del tessuto rurale, ove si registrano fenomeni cumulativi e circoli viziosi che si esasperano intorno all’isolamento”.
L’emigrazione sarda è una sorta di termometro che consente di misurare quanto la nostra terra sia stata, sia ancora oggi, percepita avara di possibilità per chi vivendola decide di lasciarla. Per chi guardandola dall’esterno la sceglie come meta di vacanza, difficilmente come luogo in cui vivere, lavorare o investire.
E’ vero ciò che rivendichiamo da decenni: la Sardegna è difficilmente accessibile perché il sistema di continuità territoriale, quello aereo come quello marittimo, non è mai stato in grado di colmare il gap geografico dell’insularità. Ma c’è una difficoltà che è almeno pari, se non addirittura più limitante, rispetto al livello di accessibilità. La Sardegna è difficile da vivere per i Sardi e raramente diventa la scelta di vita di chi, non soddisfatto del luogo in cui è nato, decide di partire. Lo dicono i dati. Quelli di ieri come quelli di oggi. I nostri giovani si formano, partono e non tornano. I nostri saperi, quelli maggiormente legati a quelle che potrebbero essere le nostre specializzazioni produttive nei comparti dell’agropastorale, dell’artigianato e dell’agroalimentare partono e non tornano. Sono tanti i laureati come sono tanti i pastori che hanno lasciato la Sardegna e hanno costruito aziende e percorsi di vita in altre regioni italiane.
Ecco perché diventa di fondamentale importanza costruire un sistema sociale e produttivo che sappia incrociare le competenze, le energie e i progetti di vita. Dotare la Sardegna, tutta dalle città ai paesi, delle giuste infrastrutture immateriali, in termini di innovazione, formazione, servizi alle imprese e alle famiglie è importante quanto risolvere definitivamente il problema della carente continuità territoriale.
Il Partito democratico, in tal senso deve essere partito della prossimità e della continuità territoriale, assistenziale, formativa, in termini di servizi per imprese e di innovazione.
L’Isola deve smettere di essere una ciambella nella quale si sopravvive sulle coste e si scompare completamente nell’entroterra.
D - Il Partito del lavoro: al centro la Persona
Il Covid19 oltre ad aver determinato la più grave crisi sanitaria dei nostri tempi, ha accelerato tutta una serie di processi, alcuni positivi, altri meno. Ma soprattutto ha riportato al centro la persona con i suoi bisogni, i suoi tempi e i suoi luoghi. La persona con la sua dignità e le sue fragilità. La persona alla quale come individuo inserito dentro una dimensione collettiva, devono essere riconosciuti irrinunciabili diritti di cittadinanza rispetto ai quali la Repubblica, in attuazione dell’articolo 3 della Costituzione, rimuova “gli ostacoli di carattere economico e sociale” che le impediscono di perseguire il proprio progetto di vita. A prescindere dalla famiglia o dal territorio in cui nasce e cresce.
Il primo e fondamentale diritto sociale e di cittadinanza è e rimane il lavoro. Che sia dignitoso, sicuro e giustamente retribuito. Che sia produttivo e attraverso il quale il lavoratore e la lavoratrice contribuiscano allo sviluppo sociale ed economico della Sardegna.
In queste settimane siamo immersi nel dibattito nazionale sulla riorganizzazione del lavoro: delle tutele sociali, delle politiche e degli strumenti di ricollocazione di disoccupati e inoccupati, dei meccanismi di accesso al mercato del lavoro di donne e giovani, delle politiche attive del lavoro come relazione positiva fra domanda e offerta, della formazione come strumento cardine di accompagnamento della transizione produttiva e quindi occupazionale.
Il successo della transizione energetica e di quella digitale nella direzione di un percorso di sviluppo sostenibile in cui crescita e tutela ambientale procedano insieme, e siano variabili dipendenti l’una dall’altra, dipenderà dall’impatto sociale che saranno in grado di determinare.
Non è pensabile né tanto meno sostenibile che l’espulsione di lavoratrici e lavoratori dai processi produttivi, non più in linea coi nuovi paradigmi di sviluppo e con le dinamiche di consumo e di mercato, venga considerata “effetto collaterale” ovvero inevitabile prezzo da pagare innanzi al cambiamento. Questo “fatto” i cui effetti già abbiamo visto in pandemia con la cancellazione di migliaia di posti di lavoro in particolare nel settore del commercio e dei servizi, nella nostra Regione più che in altre, non può trovarci, ancora una volta, impreparati.
La riorganizzazione del mercato del lavoro, della produzione e degli strumenti di sicurezza sociale rappresenta la vera e più importante sfida del Partito democratico.
Con questi temi e con Andrea Orlando, Ministro del lavoro, siamo, a riguardo, in prima linea nell’attività di governo. Dobbiamo esserlo anche nel dibattito politico.
Il Partito democratico deve diventare ed essere percepito come soggetto che rappresenta il lavoro quale principale fattore produttivo.
Deve diventare ed essere percepito lo spazio di elaborazione di politiche avanzate in riferimento a questioni che ancora oggi rimangono irrisolte e che, per le loro implicazioni sulle dinamiche occupazionali e produttive sarde e considerate le prerogative statutarie della nostra Regione e quelle di intervento del sistema degli Enti locali, devono diventare oggetto di discussione in seno al Partito democratico della Sardegna. Anche attraverso il Congresso che in questi giorni muove i primi passi.
Citiamo a seguire alcune fattispecie di discussione con cui dovremo arricchire il nostro dibattito congressuale e definire a riguardo la posizione politica del Partito democratico sardo.
L’accesso universale alle tutele nei momenti di disoccupazione e inoccupazione a prescindere dalla forma con cui si presta il lavoro, dalla tipologia di contratto, dal settore produttivo e dalla dimensione aziendale.
La formazione permanente intesa come bene pubblico cui tutti possono accedere durante il percorso professionale.
L’istruzione, la formazione e alta formazione professionalizzante programmata, anche, in base alle vocazioni di sviluppo e alle specializzazioni produttive dei territori.
La sicurezza nei luoghi di lavoro declinata anche attraverso il rafforzamento della medicina territoriale del lavoro.
Il rafforzamento e l’orientamento del sistema di welfare territoriale (di prossimità) come condizione per promuovere l’occupazione femminile e accelerare una rivoluzione culturale che dobbiamo portare a compimento se la parità fra donne e uomini è il nostro obiettivo: la redistribuzione dei compiti di cura all’interno dei nuclei famigliari e la sottrazione degli stessi all’attuale informalità da cui deriva la gratuità, il totale carico sulle spalle delle donne, il disconoscimento di un valore economico e giuridico proporzionale a quello sociale.
La predisposizione di una cassetta degli attrezzi al fine di individuare e graduare le povertà, formalizzare modalità di presa in carico personalizzate e costruire risposte integrate ai bisogni in cui interagiscano diversi strumenti (alcuni già attivi – RdC e Reis – altri da definire), e una pluralità di soggetti istituzionali in un’ottica di sussidiarietà verticale e orizzontale: gli Enti locali, la Regione, lo Stato, la Scuola, il Terzo settore.
La capacità di trasformare il lavoro agile quale modalità di svolgere la prestazione lavorativa in opportunità per quella riorganizzazione sociale, produttiva e insediativa che può cambiare la Sardegna.

E - Il Partito dei luoghi: al centro 377 “periferie”
Il partito democratico della Sardegna dovrà assumere l’onere di rappresentare tutte le 377 periferie di questa terra: quelle urbane e quelle rurali; quelle cittadine e quelle dei paesi; quelle delle aree interne e montane e quelle delle aree costiere.
Dovrà inserire fra le priorità della sua agenda sociale e quali cardini delle politiche pubbliche dei prossimi decenni:
lo spopolamento della Sardegna, delle aree interne e montane come centrale per le politiche pubbliche dei prossimi decenni e propone modelli istituzionali, a tal fine coerenti, rafforzando le autonomie locali, in particolare quella comunale e costruendo un vasto programma di “controesodo” verso la Sardegna.
La questione dei pastori e la zona franca rurale per rendere convenienti vivere nella bassa densità abitativa e lavorare la terra, la valorizzazione delle terre pubbliche silenti e/o abbandonate.
La questione delle periferie urbane e dell’emarginazione sociale.
La questione demografica e le politiche per le famiglie intese alle forme plurali.
Il diritto alla salute: meno liste d’attesa, meno sprechi, più sanità territoriale. La salvaguardia e il rafforzamento dei presidi sanitari periferici. Il rafforzamento delle eccellenze nei grandi poli urbani.
La legge per una scuola sarda che determini parametri adatti alle esigenze della Sardegna, individuando strumenti per affrontare con efficacia la dispersione scolastica: bilinguismo, cultura e storia della nostra terra.
Il nuovo ciclo di programmazione 2021-2027 e il PNRR per combattere radicalmente lo spopolamento e la desertificazione umana, sociale e antropologica della Sardegna.
La promozione di politiche di attrazione di nuovi cittadini, realizzate puntando sulla qualità della vita: un sistema moderno ed integrato di trasporti (interni ed esterni), velocità e affidabilità nella comunicazione dati, autosufficienza energetica da fonti sostenibili, ciclo integrato delle risorse ambientali e dello smaltimento dei rifiuti, servizi per il benessere delle persone e per le famiglie: cura dell’infanzia, dei disabili e delle persone anziane, investimento nell’arte e nella cultura, rispetto delle risorse ambientali, tutela e miglioramento della bellezza del paesaggio.

F - Il Partito delle opportunità: accogliente, autonomo, efficace
La Sardegna ha bisogno di una forza organizzata, partecipata e rinnovata che sappia costruire intorno a sé una proposta politica progressista e una proposta amministrativa per i paesi e le città dell’isola interloquendo costruttivamente con le proprie rappresentanze parlamentari e consiliari, con le centinaia di amministratori locali democratici e con le altre forze civiche, ambientaliste e autonomiste che vogliono costruire una alternativa all’attuale governo regionale sardo-leghista.
Un partito che metta in campo un processo di elaborazione politica e di coinvolgimento dei cittadini e del mondo associativo e del volontariato che sia di stimolo e d’aiuto alle istituzioni: dobbiamo ripensare gli spazi della partecipazione, perché siano capaci di accogliere discussioni aperte e coinvolgenti, e gli spazi della decisione, perché siano slegati da dinamiche di appartenenza ma a logiche di competenza e partecipazione attiva.
Negli ultimi anni la comunità democratica ha vissuto ferite da dinamiche interne che hanno portato nei momenti elettorali a divisioni laceranti e demolizioni di percorsi comuni che hanno visto l’individualismo prevalere sul collettivo. Questo è il momento della ricostruzione su basi di verità e di un fondamento di fiducia rinnovata.
L’azione amministrativa e di governo viaggia a velocità che il partito non riesce a sostenere: la risposta è un partito più vivo e comunicativo che regga il passo e, se possibile, anticipi i tempi. E’ un partito che torna tra la gente, agisce e decide, coinvolge. Utilizzando al meglio la rete e le reti e riservando alla discussione, al contatto umano, all’agire concreto uno spazio che, col tempo, si è ridotto notevolmente.
La sfida non è semplice: questo disegno è reso più difficile dalla carenza di risorse a disposizione. Con l’abolizione del finanziamento pubblico i Partiti hanno fatto la loro “cura dimagrante”. Ma noi non ci rassegniamo alla fine dei partiti, crediamo nella funzione che la Costituzione gli attribuisce, e dobbiamo pensare a un nuovo sistema articolato di finanziamento, legato anche all’attivazione di campagne politiche chiare e trasparenti e ad attività costruttive, come quelle formative, e concrete, realizzate dai circoli nelle nostre comunità. Circoli che, nella nostra idea di partito, assumono il ruolo di spazio più importante della partecipazione e dell’agire politico e che, proprio con queste finalità, devono essere ripensati in stretta collaborazione con i rappresentanti democratici nelle istituzioni.
I circoli attualmente sono poco attrattivi, sono troppi e poco partecipati. Esistono circoli con pochi iscritti che, coraggiosamente, tentano di presidiare il territorio ma che faticano, poi, a svolgere attività politica. Hanno difficoltà a coinvolgere gli iscritti, hanno perso alcune funzioni peculiari tra cui quella dell’elaborazione legata ai problemi del territorio su cui operano, basilare per la definizione dei programmi amministrativi futuri. Raramente si discute delle questioni di interesse generale, come quelle nazionali relative alle proposte di legge o relative temi del dibattito europeo.
Occorre costruire degli spazi più aperti, condivisi con associazioni, movimenti, gruppi di cittadini o singoli che vogliano attivarsi su temi specifici; allo stesso tempo è auspicabile che questi luoghi siano frequentati, non esclusivamente legati alla sola attività politica a livello locale (che pure devono svolgere, ci mancherebbe), più attivi sui grandi temi del territorio, regionali, nazionali e sovranazionali, capaci di sostenere grandi campagne di mobilitazione e ascolto della cittadinanza attiva e di promuovere momenti di incontro e socializzazione.

G - Il Partito della specificità
Riforma dello Statuto Sardo che promuova nuovo Patto con lo Stato italiano: un patto Costituzionale e fondativo che si basi sulla partecipazione popolare nella definizione degli obiettivi di un nuovo e più avanzato Statuto di Autonomia. Il Pd deve guidare questo processo per innovare, alla luce dei mutamenti di questi decenni, lo Statuto del ‘48: insularità, entrate fiscali, trasporti aerei e marittimi, paesaggio, ambiente, energia, diritti digitali ecc. sono solo alcuni degli aspetti che devono portare la Sardegna ad avere maggiori poteri e maggiori responsabilità di autogoverno.

Riforma della legge elettorale regionale: la legge elettorale per l’elezione del Consiglio Regionale in vigore dal 2014 non ha contribuito a migliorare la qualità della democrazia in Sardegna: particolarismi, rappresentanza politica parcellizzata, scarsa rappresentanza femminile, forze politiche portatrici di consensi importanti fuori dalle istituzioni regionali. Anche qui, il Pd sardo, non può essere il tutore dello status quo e deve avanzare - all’inizio della prossima legislatura regionale - una proposta di riforma coraggiosa e radicale che si basi su alcuni punti qualificanti: 1. 50% dei consiglieri eletti con preferenza su un collegio unico regionale; 50% eletti nelle circoscrizioni provinciali. 2. parità di genere piena con la doppia preferenza assegnata alla coppia di candidati donna/uomo; 3. Diritto di tribuna per le minoranze meno rappresentate. La legge elettorale deve essere di stampo maggioritario e deve garantire la governabilità.
La Sardegna, inoltre, deve puntare a far modificare dal Parlamento la legge elettorale per le elezioni europee e costituirsi in collegio autonomo rispetto alla Sicilia per eleggere almeno 1 rappresentante al Parlamento Europeo.

H -Proposte e strumenti per il funzionamento del Partito in sintesi
SEGRETERIA IN ASCOLTO: ascolto attivo in tutti i territori delle comunità democratiche;
COMUNITA DEMOCRATICA: supporto alle segreterie locali in percorsi di superamento delle divisioni;
RAPPRESENTANZA PARITARIA: impegno del PD sardo a realizzare un reale riequilibrio di genere.
ALBO DEI PARTECIPANTI: iscritti ed elettori;
ANAGRAFE DELLE COMPETENZE: creazione di un’anagrafe delle competenze, che consenta di utilizzare e valorizzare al meglio le professionalità, le conoscenze e le esperienze disponibili;
FORMAZIONE POLITICA: implementazione di un sistema formativo articolato che preveda interventi formativi mirati e distribuiti sul territorio regionale, improntati anche su tecniche formative stimolanti e apprendimento non formale.
ATTIVITÀ DI RETE E SCAMBIO PRATICHE E COMPETENZE: la rete degli amministratori, per favorire diffusione e scambio delle buone pratiche; rafforzamento della rete regionale dei circoli, prevedendo anche la possibilità di condivisione di contenuti ed esperienze sul web.
INCONTRI PARTECIPATI E TRASPARENTI: miglioramento delle modalità di convocazione e svolgimento delle riunioni: definizione e rispetto degli orari d’inizio, dei tempi di svolgimento e dell’ordine del giorno. Integrazione dei sistemi offerti dalle “nuove” tecnologie (streaming, collegamenti audio-video a distanza etc). Adeguata pubblicizzazione dei risultati delle riunioni (disponibilità online e distribuzione via mail agli iscritti).
CONSULTAZIONI INTERNE: attivazione, su alcuni temi caldi, di meccanismi di consultazione ampi e rapidi nel partito, che siano d’aiuto agli organismi dirigenti nell’elaborazione delle proprie posizioni
ATTIVITÀ PORTA A PORTA E CAMPAGNE SOCIAL: realizzazione di attività porta a porta e campagne social per presentare le azioni politiche del partito e raccogliere su queste i feedback dei cittadini.
VALORIZZAZIONE DEI GIOVANI DEMOCRATICI, incentivazione dell’attività dei Giovani Democratici prevedendo, oltre alla messa a disposizione di spazi fisici e strumenti (già garantiti dall’attuale Carta di Cittadinanza), un meccanismo di finanziamento della loro attività mirato alla realizzazione di “progetti obiettivo”, che prevedano delle procedure di valutazione e delle quote di autofinanziamento.
RAPPRESENTANZA STUDENTESCA: attivazione di un canale di comunicazione costante e funzionale tra PD istituzionale e rappresentanza studentesca.
STIMOLO DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA: istituzione di gruppi di lavoro operativi, in capo ai responsabili di segreteria, per il monitoraggio dell’azione amministrativa al fine di selezionare le problematiche su cui l’organismo dirigente deve discutere e produrre degli indirizzi politici.
NUOVE FORME DI FINANZIAMENTO: pubblicizzazione delle nuove forme di finanziamento volontario (2‰) e, nell’ottica di una gestione federale del partito e delle risorse, il loro utilizzo per le attività del partito regionale; progettazione e realizzazione di campagne di microfinanziamento “per obiettivi”; attivazione di un ulteriore sistema di contribuzione da parte degli eletti attraverso la collaborazione tra partito e rappresentanti nelle istituzioni in cui il partito diventa erogatore di servizi e competenze; trasparenza nella gestione dei contributi delle primarie e indicazione della destinazione delle risorse raccolte, definizione di una quota derivante dal tesseramento spettante ai circoli.
REDISTRIBUZIONE E RIORGANIZZAZIONE DEI CIRCOLI: ridefinizione della distribuzione dei circoli sul territorio regionale, favorendo processi di accorpamento, qualora i circoli ne facessero richiesta e stimolandoli dove necessario, con l’obiettivo della nascita di identità territoriali o urbane coese e di comunità politiche attive e accoglienti.
ASSEMBLEA DEI SEGRETARI DI CIRCOLO: istituzione di un’Assemblea dei Segretari di circolo, ad elezione indiretta, con funzioni organizzative su tesseramento, campagne politiche ed elettorali, congressi etc. e ruolo propositivo verso la Direzione.
CAMPAGNE POLITICHE: promozione di campagne politiche che stimolino il dibattito e l’azione dei circoli sui grandi temi della politica regionale, nazionale ed europea.
COMUNICAZIONE POLITICA, organizzazione di un sistema di comunicazione bidirezionale, attivazione di una struttura ad hoc per l’informazione e la comunicazione riguardante le attività del Partito.
RISPETTO DELLE REGOLE: maggiore funzionalità delle commissioni di garanzia: composizione paritetica sulla base delle mozioni congressuali, presidenza alla minoranza.

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