Dittatura e libertà: un difficile rapporto
Approfondimento: il suicidio di Trasea Peto (Tacito, Annales XVI) e il compromesso di Agricola (De vita et moribus Iulii Agricolae)
Cristina Galizia
L’ultimo brano degli Annales descrive il suicidio di Tràsea Peto, leader dell’opposizione aristocratica al principato di Nerone, condannato a morte da Nerone. Preferì il suicidio (66 dC) al compromesso
Allora a Tràsea, che stava in giardino, fu mandato il questore del console, quando ormai era sera. Giunse Domizio Ceciliano, (uno) degli amici intimi, e gli riferì che cosa avesse deciso il senato. Trasea invita allora i presenti, in preda a lacrime e lamenti, ad allontanarsi in fretta e a non mescolare i loro rischi con il destino di un condannato, e ammonisce Arria, che intendeva seguire la sorte del marito e l'esempio della madre Arria, a rimanere in vita1 e a non togliere l'unico sostegno alla figlia comune. Avviatosi poi lungo il portico, lì viene trovato dal questore, piuttosto lieto in volto2, perché aveva saputo che al genero Elvidio toccava soltanto l’allontanamento3 dall'Italia. Ricevuta quindi (comunicazione del)la sentenza del senato, fa entrare nella (sua) stanza da letto Elvidio e Demetrio; e, dopo aver porto le vene dell'uno e dell'altro braccio, dopo aver(ne) fatto sprizzare fuori il sangue, spargendo(lo) sul terreno, chiamato più vicino il questore: "Libiamo" disse "a Giove Liberatore. Guarda, o giovane, e gli dèi tengano lontano (da te) il presagio (infausto); ma sei nato in tempi4 in cui occorre temprare l'animo con esempi di fermezza.
(dal web)
De vita et moribus Iulii Agricolae (Vita e costumi di Giulio Agricola, spesso indicata semplicemente come Agricola) è un'opera scritta attorno al 98 d.C. dallo storico romano Tacito, in cui viene descritta la vita del suocero dell'autore, Gneo Giulio Agricola, che fu governatore della Britannia. Tacito esalta infatti il carattere del suocero, mostrando come lui, durante il suo governatorato in Britannia, svolse con scrupolo e abilità tutti i propri compiti, anche sotto il regno dell'odiato Domiziano. Critiche a quest'ultimo e al suo regime, fatto di sospetti e delazioni, sono mosse nelle conclusioni dell’opera tacitiana. Dal racconto di Tacito, Agricola emerge come un uomo incorruttibile che muore senza ostentazioni, rifiutando il suicidio degli stoici, che non porta beneficio allo Stato e che quindi viene criticato da Tacito. Il suocero diventa dunque simbolo del mos maiorum (costumi, ideali degli antichi, dei padri) e di una classe politica che collaborò anche col tiranno per il bene dello Stato, tenendo un comportamento scrupoloso, integerrimo e onesto (da wikipedia)
Agricola invece, per il suo naturale equilibriosi muoveva disinvolto e con senso di giustizia; era attento, severo, ma, più spesso, capace di misericordia; quando invece aveva assolto ai suoi compiti, deponeva la maschera dell'autorità: niente più durezza di volto e di modi, niente più rigore. E, cosa assai rara, l'affabilità non intaccò il suo prestigio nè la severità attenuò l'affetto. […]Rimase a quel posto di governatore per meno di tre anni e ne fu richiamato dalla prospettiva di un imminente consolato […]
(traduzione liberamente tratta dal web)
Una bellissima riflessione a riguardo
Tacito fa rientrare il suocero in questa categoria di vittime del potere insistendo sulla gelosia che i suoi successi militari in Britannia avevano causato in Domiziano e finendo addirittura con l’accogliere certi rumores scandalistici relativi a un presunto avvelenamento.
Di Agricola celebra la moderatio, intesa come capacità di mediare tra gli opposti estremi, l’obsequium, visto come onesta disponibilità a prestare il proprio servizio in nome della comunità, se non proprio del principe.
Insomma Agricola aveva seguito il buon senso del compromesso pur di servire la patria in nome dell’interesse dello Stato. E la virtù più nobile per realizzare tale compromesso è proprio il silentium e non l’eroismo stoico dei martiri dell’opposizione (i morti eroici suicidi tipo Seneca, Trasea Peto ecc.).
L’esempio luminoso di Agricola, dunque, indica come, senza correre gravi rischi, anche sotto la tirannide sia possibile percorrere la via mediana tra il deforme obsequium (ossequio servile) e l’abrupta contumacia (arroganza temeraria).
L’elogio di un personaggio emblematico come Agricola si traduce anche in qualche modo in consolazione per la moglie e la figlia del generale a cui Tacito stesso suggerisce di non compiangerne la fine con lacrime o con riti funebri, ma di conservare nelle loro anime la sua “forma mentis” (Cfr. Tacito Agricola,46) come il segno più duraturo della sua grandezza umana, capace di renderlo immortale nella memoria delle future generazioni. Pertanto Tacito polemizzando con i grandi che scelgono la via del suicidio per sottrarsi alla nefandezza dei tempi indica alle future generazioni la forma mentis di Agricola quale testimonianza della fedeltà al dovere e allo Stato e integrità morale.
(da http://sulromanzo.blogspot.com/2010/01/il-passato-tempo-perduto-o-tempo-da.html)