Giovedi’ 7 Dicembre 2012
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo: Qual è stato il ruolo dei Social Media in occasione delle primarie del centro sinistra? Qual è il ruolo dei Social Media in genere? Considerando altre consultazioni elettorali (a partire dalla primarie per la nomina del segretario del Partito Democratico nel 2007, quelle vinte da Veltroni), una possibile conclusione potrebbe essere che il Web intepreti meglio la realtà e riesca anche ad anticipare il risultato solo quando l'oggetto del racconto online e quello del racconto mainstream (diciamo, impropriamente, offline) sono antagonisti; al contrario, sembra che l'offline smentisca l'online quando gli oggetti dei racconti coincidono.
Quanto, infatti, in special modo le tv, hanno saputo (e voluto, d'accordo con i partiti dell'Arco Costituzionale) coprire i referendum? Quanta attenzione hanno poi dedicato, rispetto a quanto fatto in quest'ultimo mese per le primarie, alle amministrative di Napoli e Milano? Poca cosa, c'è da dirlo! E quanto, in questi due specifici casi, il risultato elettorale, quello offline, ha seguito l'onda online? Tantissimo
Luca Alagna @ezekiel: Non esiste più un online e un offline è tutto integrato, ibrido, sovrapposto e di questo ne risente il nuovo modo di fare politica (2.0 si potrebbe dire) che aspira ad essere sempre più locale, personale, tra la gente e sempre meno l’enunciazione più o meno astratta di grandi ideali statici.
È questo probabilmente uno dei motivi che ha allontanato così fortemente, ovunque, la gente dalla vecchia politica.
Ed è forse la base su cui è possibile ricostruire un nuovo rapporto.
[Ref.: la politica 2.0 è il ritorno alla politica con la gente]
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo: Cosa significa questo? Che la questione dei racconti antagonisti online/offline è mal posta?
Luca Alagna @ezekiel: no semmai la conseguenza di un fenomeno più grande
Vincenzo Nizza @Senza_Piombo: sono d'accordo. Un fenomeno che però va alimentato ancora, coltivato...
Luca Alagna @ezekiel: infatti è qui che la politica deve collaborare per rinnovarsi
Vincenzo Nizza @Senza_Piombo: qui e fuori di qui, finché i media non si sovrapporranno alla vita reale
Gio. Boccia Artieri @gba_mm: i media sono sovrapposti, a diversi livelli e in modi diversi
Vincenzo Nizza @Senza_Piombo: credo che l'evoluzione ineluttabile sia la fruizione di un mix mediale soggettivo
Venerdi’ 7 Dicembre 2012
Vincenzo Cosenza @vincos stamattina dice: il telespettatore e’ morto. Il chiarimento e’ nell’intervista a Repubblica pubblicata nel suo post: Il telespettatore passivo e’ morto. Carlo Freccero aggiunge: ormai l’auditel ha fatto il suo tempo, le trasmissioni piu’ appetibili per gli inserzionisti sono quelle che “fanno social”, non quelle che “fanno audience”.
[Ref.: Il telespettatore è morto – mia intervista a La Repubblica e DailyNet]
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo: il riferimento alla Social TV e’ evidente (diceva @gba_mm ieri su Facebook che la social television è come è cambiata la tv e come sono cambiati alcuni comportamenti social mediali con la tv. Dire che il telespettatore e’ morto (per quanto poi ci sia il chiarimento nell’intervista), e’ un continuare a tracciare una linea di demarcazione, continuare ad affermare una dicotomia che abbiamo assodato non esiste piu’.
Anche mettere in contrapposizione l’Auditel con il Social Media ritengo sia sbagliato perche’, come ancora @gba_mm diceva nel suo pezzo su Big Data, bisogna considereare i fenomeni insieme e non commettere [piu’] l’errore di considerare il Web il nuovo metro di giudizio della realta’.
***
Vincenzo Nizza @Senza_Piombo che ripropone l'email trasmessa ieri sera a Luca:
Caro Luca,
parto da molto lontano, perdonami, ma è necessario.
Lo faccio anche per proseguire un discorso che riprendiamo ed interrompiamo spesso quando ci si incontra live.
Personalmente ritengo che la funzione dei media tradizionali sia in continuo cambiamento a causa dell'ingresso di nuovi canali, di nuovi costumi sociali, di differenti determinanti che sarebbe bene esaminare e approfondire in dettaglio. Ma la funzione originaria dell'informazione retribuita per necessità, quindi, rischia l'asfissia. Questo perché aumenta l'offerta di penne e di pari passo aumenta l'offerta di spazi pubblicitari. Qui si inserisce il discorso che il web inteso come strumento sociale ci ha fatto capire che il binomio critico è quello giornalista-retribuzione. Per assurdo, infatti, se i giornalisti non fossero pagati, l'editore sarebbe in attivo con la raccolta pubblicitaria "classica" (banner, ad words, redazionali, ecc.). Mentre altrettanto per assurdo il ruolo deik contenuti diviene secondario per il giornalista che scrive, resta fondamentale per il business dell'editore. Come uscirne?
Va bene il dibattito, va bene il tentativo di offuscare con wall le notizie, vanno bene i pop up, ma questa non mi pare proprio la strada per vendere l'informazione online, perché ritengo che la buona informazione non si venda e non si compri, ma si dia e basta.
Una strada che punta sulla strategia del "prima o poi la gente leggerá solo i giornali sul web e i libri sui tablet" a mio modo di vedere non funziona.
Se quindi lavoriamo sulla figura del giornalista, dando per assunta la formula editore + giornalista non retribuito = guadagno economico solo per l'editore, perlomeno ci è concesso di osservare quale ruolo economico possa giocarsi - per sé - il giornalista. Non è forse vero che oggi porti più soldi lavorare sul mix dei contenuti di un giornale (news, approfondimenti, inchieste, vignette, cronaca, usabilità del mezzo e leggibilità) piuttosto che sul pezzo fine a se stesso? Non è forse vero che nel gioco di ruoli, di idee, di proposte, il giornalista, oggi sul web, ha dei ritorni in termini piuttosto in termini di notorietà, accedendo a contatti e rapporti privilegiati, relazioni proficue in termini di ritorno anche economico? Il lavoro del giornalista di un tempo consisteva nell'essere la voce dell'informazione verso i propri lettori con un fortissimo legame, una dipendenza difficile ed ineluttabile all'editore. L'equazione era giornalista pagato = informazione di parte, in mano all'editore.
Oggi credo che il giornalista, nella sua libertà (forse solo apparente?) di fondare una testata o aprire un blog, di esprimere una linea editoriale - e qui provoco - anche libero di andare in galera per diffamazione, non possa lamentarsi che la professione veda tanti colleghi con la penna chiusa nel cassetto, o il monitor del pc spento, o piangere sulle testate classiche in crisi che non sanno investire su un piano editoriale innovativo e su un buon commerciale.
I fatti che scrivi nella tua rubrica non mi negano la bontà della riflessione: un grosso investimento fatto su un modello innovativo di comunicazione e dato in pasto al contributo spontaneo dell'opinione pubblica che si è sentita avvicinata, quindi, da un modello innovativo, più che da un messaggio sapientemente orchestrato. Sai bene infatti quanto poco si sia capaci di orchestrare, oggi, sul web, una rapina di voti perfetta! "Neanche" Grillo, al momento, con il suo 20%, può tanto. E qui veniamo al discorso sull'efficacia dei racconti antagonisti, e più in generale del media web. Ritengo che al momento i blog, i social e internet non siano il megafono che amplifica le voci di popolo. Ma lo strumento privilegiato di un certo target. Punto. Ancora con i numeri non ci siamo.
Un abbraccio
Vincenzo
Ps: complimenti per il titolo del tuo spazio su l'Unità. Ricalca perfettamente quanto auspico sul futuro del giornalismo contemporaneo: nessun interesse del giornalista, visione asettica, perplessità onestamente dichiarate, e, credo, nessun guadagno economico ...o giù di lì ;-)
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo: quando ho riflettuto sulla presenza di un antagonismo tra online e offline e quanto affidabile fosse l’analisi (e la predizione della realta’, cioe’ dei risultati elettorali) in caso di antagonismo presente o meno, facevo soltanto una constatazione, una osservazione.
A questo punto, tale osservazione si puo’ ampliare dicendo:
(1) Che offline vengano trascurati degli aspetti e’ evidente frutto di una strategia di controllo (il TG1 non parla di Grillo perche’ “non puo’” farlo); il fatto e’ che questa strategia, man mano che i confini vanno assottigliandosi grazie al fenomeno della Social TV, e’ sempre meno pagante
(2) Non si puo’ piu’ trascurare un fenomeno rispetto ad un altro (online/offline). Deve essere considerato tutto insieme perche’ (ed effettivamente e’ cosi’) l’ecosistema informativo ormai “comprende tutto”:
(3) il fenomeno, dice Vincenzo Nizza, va alimentato (tweet di ieri). Ad alimentare i fenomeni possono essere soltanto i portatori di un interesse che vuole tenere i mondi separati e che, quindi, separatamente li analizza (un po’, forse, quello che fa Carlo Freccero).
Saggio sarebbe, per tornare al punto (2), alimentare e analizzare insieme.
***
Analisi vanno effettuate insieme e separatamente. Il media non è solo strumento, ma innanzitutto strumento in mano di chi lo utilizza. Questo comporta a mio parere e per esempio portò Agorà,
***
Intanto, sulla Social TV, una statistica fresca fresca da Marketing Charst
[Ref. 1 in 3 Online Consumers Want to Interact With TV Shows Via a Second Screen]
Sabato 8 dicembre
I miei due cents Giovanni Boccia Artieri @gba_mm
1. L’integrazione online/offline come condizione sempre più stabile delle nostre vite è evidente.
2. MA: non tutti utilizzano le stesse modalità di esposizione/conversazione/informazione online: i livelli ed i gradi di partecipazione vanno collocati lungo un continuum e la relazione partecipazione online/azione online (urlo il mio sdegno ma non agisco in termini, ad esempio, di voto) va messa a tema.
3. Questo rende complessa l’analisi e la previsione. Non che ritenga l’analisi predittiva uno dei nostri problemi preliminari oggi. Ma è un buon terreno per osservare i problemi effettivi nello sovrastimare/sottostimare l’effetto web in alcuni fenomeni sociali, quindi farsi delle domande in quell’ambito porta a costruire un modello intepretativo più complesso.
4. La social televisione è uno degli elementi che sta sbloccando molte forme delle culture partecipative e ridefinisce i contorni della centralità della televisione in Italia. E’, in fondo, la televisione che si rimedia.
5. Dal punto di vista che ci interessa dobbiamo però pensare a come questa pratica ci imponga di mettere a tema il modello: issue proposte dalle strutture istituzionali (un dibattito politico, un ospite televisivo, ecc.) che trovano commento e diffusione online. Insomma: l’agenda dei social media la fa la televisione.
6. C’è poi la questione relativa alle differenze di approccio culturale/partecipativo (vedi punto 1 e che non è solo una questione generazionale) che fa sì che avremo nel tempo la messa in visibilità di una molteplicità di sfere pubbliche portatrici (potenziali) di issue particolaristiche e, anche, l’emergere di issue da portare sull’arena pubblica a partire dal basso. I meccanismi di ascolto e comunicazione online delle istituzioni si stanno strutturando e parallelamente lo fanno i pubblici connessi.
Domenica 9 dicembre
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo: Rimanendo in tema (Inseparabilita’ dell’Online e dell’Offline), questo articolo di Giovanni Boccia Artieri @gba_mm affronta la questione della “Partecipazione Transmediale”:
La riflessione che sto svolgendo attorno ai pubblici produttivi – in parte “precipitata” editorialmente in “Stati di connessione” – mi ha portato ad analizzare concretamente quelle forme partecipative transmediali che mostrano la trasformazione delle audience in una chiave “post” che dobbiamo imparare ad osservare ed interpretare. La lezione della social television e la morte del telespettatore puro sta rendendo tangibile la direzione presa. Ma esistono molti altri ambiti che sperimentano questa mutazione e non necessariamente solo dall’ultimo anno. Ambiti che mettono a fuoco la necessità di ripensare il modello editoriale di produzione, distribuzione e consumo di contenuti culturali, ad esempio.
E’ questo il senso dell’articolo Productive publics and transmedia participation, appena pubblicato nella rivista “Participations. Journal of Audience & Reception Studies”, e che analizza lo storytelling come piattaforma transmediale di attribuzione di significati e di costruzione di un ethos condiviso.
[Ref. Partecipazione transmediale e circulation con il link all’articolo]
Giovedi’ 13 dicembre
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo: Non so perche’, ma questo articolo sui sevizi segreti a me fa tanto pensare a qualcuno che tutti i giori cerca di avere informazioni da un BIG DATA che include sia online, sia offline. Ecco alcuni passi:
(1) “Lo studioso ritiene inoltre che i metodi dell’Osint, grazie alla loro elasticità, abbiano «da insegnare qualcosa anche al lettore di quotidiani o allo spettatore televisivo». Ed infatti nell’ultima parte del libro (a mio parere la più interessante), Giannuli prova a leggere una serie di notizie, dal caso Bisignani alla morte di Bin Laden, con le lenti di un analista dei servizi. Il risultato è una serie di articoli estremamente approfonditi che permettono di apprezzare i veri valori aggiunti dell’Osint: l’interpretazione e la contestualizzazione. Da un lancio di agenzia piuttosto anonimo (come ad esempio quello sulle «terre rare» cinesi) si può arrivare a sviscerare la politica industriale e hi-tech delle grandi potenze mondiali.”
(2) “Come dimostra l’ultimo capitolo del libro, l’Osint e il giornalismo si possono compenetrare – e in un certo senso lo stanno già facendo. Sia l’analista che il giornalista si vedono costretti a rimodellare la propria professione. Gli interlocutori finali sono diversi (ma non in tutti i casi): lettori da una parte, autorità politiche e militari dall’altra. La premessa di partenza, però, è la stessa – evitare di soccombere all’«overload» informativo. E anche l’obiettivo è più o meno identico: fornire il senso complessivo delle notizie.”
NOTA: Osint (Open Source Intelligence), ossia l’intelligence fatta attraverso l’esame delle fonti aperte, che non necessariamente sono gratuite o ottenibili legalmente. È quella che Aldo Giannuli definisce «una rivoluzione copernicana nel mondo dello spionaggio.
Nata come disciplina residuale (il ragionamento era: «se una notizia è di dominio pubblico è come se non esistesse perché, appunto, conosciuta da tutti»), l’Osint acquista rilevanza nei primi anni ’50, per poi esplodere a partire dagli anni ’90 con l’avvento di Internet. La disciplina è andata via via affrancandosi «dalla sua origine strettamente militare», fino a estendere il proprio campo di osservazione «alla politica interna, all’economia, alla società, alla cultura».
Martedi 18 dicembre
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo:
Conventional TV ratings, which are based on a small sample of “typical” TV viewers, seem almost quaint in the era of DVRs, streaming and social media. Now, it looks like even Nielsen — which has long issued those ratings — is ready to acknowledge that fact.
On Monday, the company announced a new metric called the “Nielsen Twitter TV ratings” that measures the social media activity of a TV show audience. The system is based on SocialGuide, a technology acquired by Nielsen that tracks Twitter activity for more than 36,000 programs and purports to identify how many tweet are associated with a given show. It will complement Nielsen’s existing ratings, which are derived from devices installed in the TV sets of a small number of “representative” households.
The new system is an acknowledgement of how the “second screen” has become a permanent feature of TV watching as Americans use smartphones, tablets and laptops to talk about a show as they’re watching it.
Nielsen’s release is short on details about how the system actually works. It refers to a “sophisticated classification process” but doesn’t explain how it will account for different age groups and audiences — does it, for instance, acknowledge that a show may be wildly popular among seniors but still gain few tweets? It seems likely that, despite a claim to measure the “number of unique tweets associated with a given program,” there will still be some hocus-pocus involved.
The system is slated to be commercially available at the start of the fall 2013 TV season.
[Ref. gigaom: The Nielsen Twitter ratings: a new way to measure TV popularity]
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo:
Da leggere questo pezzo di Marzo Ziero sulla Social TV e Second Screen Experience.
[Ref. tagliablog Riflessioni su Social TV e Second Screen Experience]
***
Alla ricerca dei metodi per poter fare un’analisi piu’ affidabile, quando non addirittura una previsione, della realta’, eravamo partiti riflettendo sull’inseparabilita’ dell’online e dell’offline intendendo per offline tutto cio’ che e’ old media (tra gli old media, ovviamente, abbiamo la TV).
Il tema, molto ampio, e’ (anche) quello del BIG DATA e del fatto che questo non possa essere considerato solo come riferito a/proveniente da l’online. Occorre altro, bisogna ampiare il perimetro.
Un metodo sicuramente buono di analisi e’ quello che fa riferimento alla cosiddetta Social TV (qualche pezzo e riflessione gia’ fatti in precedenza) e alla Second Screen Experience. Sicuramente interessante, quindi, il pezzo di Marco Ziero sul tagliablog.
***
Mercoledi 19 dicembre
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo:
Il punto di vista si amplia: da un lato, come visto finora, c’e’ la “semplice” analisi del fenomeno. Dall’altro, ovviamente ci sono gli esperti di comunicazione e marketing delle aziende che, proprio in virtu’ di questo fenomeno, devono pianificare le migliori strategie per colpire il proprio target.
PierLuca Santoro stamattina riporta di uno studio sulla multicanalita’ condotto da Nielsen, Connexia e la School of Management del Politecnico di Milano:
La pubblicità, i mezzi su cui le pubblicità invogliano più spesso all’acquisto vede ancora il predominio della televisione, in crescita rispetto al 2011, seguita dal punto vendita e da Internet che mostra una crescita quasi del 50% e che tra i 28 milioni di soggetti analizzati è la fonte principale di ricerca di informazione su prodotti e servizi.
L’approccio, il tentativo di coinvolgere le persone, non deve più essere tra digitale e tradizionale ma specificatamente mirato a ciascun supporto, personalizzandolo per ciascun device, per ciascun media. Crossmediale, declinato su più media distribuendo in ciascuno di essi contenuti originali, unici tra loro ma al tempo stesso complementari.
Benvenuti nel nuovo mondo multischermo, multicanale e crossmediale.
[Ref. Benvenuti nel nuovo mondo multicanale e crossmediale]
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo:
Avendo fatto l’ipotesi semplificata che new media e’ l’online e l’old media (e.g. televisione) e’ l’offline, questo e’ un altro studio che parla dell’inseparabilita’ dell’Online e dell’Offline.
Una ottima guida, per districarsi tra i termini da usare, l’ha proposta Roberto Favini:
- Multimedialità
Si ha quando per comunicare un'informazione riguardo a qualcosa ci si avvale di media diversi. Mette in evidenza l’aspetto tecnologico anziché il contenuto e la narrazione.
- Multicanalità
E’ l’uso combinato di molteplici canali per creare relazioni, per dialogare con il cittadino/utente e per offrire servizi (distribuzione integrata).
- Convergenza
La convergenza dei media è il risultato degli effetti provocati dalla rivoluzione dell’informazione, grazie alle nuove tecnologie digitali che creano interdipendenza tra “contenuti” e “contenitori”.
- Crossmedialità
E’ la possibilità di mettere in connessione tra loro mezzi diversi di comunicazione grazie alle piattaforme digitali, declinando l’informazione nei suoi diversi formati e canali (produzione integrata).
Esempi di crossmedialità sono “Il Signore degli Anelli”, “Harry Potter”.
- Transmedialità
E’ la progettazione di sistemi complessi, adattabili a più forme mediatiche, nell’ottica di collaborazione aperta e spontanea con un pubblico. E’ un’evoluzione rispetto ai concetti di multimedialità e di crossmedialità.
La comunicazione transmediale si muove attraverso diversi tipi di media, aggiungendo a ogni passaggio nuove informazioni all'esperienza dell'utente e usando diversi formati di media. Il fruitore avrà così a disposizione vari "punti di entrata" attraverso i quali immergersi completamente nella narrazione.
La comunicazione transmediale spesso usa pratiche di co-creazione della narrazione, grazie allo spettatore che da passivo del broadcasting assume anche un ruolo attivo, diventando di volta in volta fruitore, creatore, produttore o spettatore.
La transmedialità punta a valorizzare, coinvolgere e raggiungere il maggior numero di persone. Data la sua complessità, richiede un’attenta progettazione.
Parliamo quindi di crossmedia se abbiamo 100 pezzi identici a un singolo pezzo di un puzzle.
Parliamo invece di transmedia se abbiamo 100 pezzi diversi che formano un unico puzzle.
Esempi di transmedialità sono “Matrix”, “Lost”, la serie televisiva americana “Glee” o il progetto “Pottermore”.
(continua, anche con una interessante e istruttiva presentazione)
[Ref. Sopravvivere tra multicanalità, convergenza, crossmedia, transmedia e storytelling]
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo:
Anche i-dome, oggi, parla della ricerca Multicanalita’:
Il 2012 segna il passaggio della multicanalità a fenomeno di massa, coinvolgendo il 53% della popolazione italiana. L’e-commerce diventa sempre più ideale per la vendita, la pubblicità rafforza il proprio ruolo chiave nel processo d’acquisto e si creano nuovi bisogni informativi e di relazione per gli utenti
[Ref. Multitasking, ibridazione, mobile: le molte anime del consumatore multicanale
Mercoledi 26 dicembre
Roberto Favini @postoditacco:
Osservando i risultati delle primarie del PD, può essere comprensibile lo scetticismo ancora diffuso sul binomio socialmedia/politica. L’esperienza italiana ci ha consegnato per esempio un Renzi che, pur avendo i social media come cardine della propria strategia comunicativa, non è riuscito a colmare il gap iniziale che lo divideva dall’avversario, né è riuscito a superarlo al di fuori del proprio territorio (cioè la Toscana e, in parte, l’Umbria). Questo rappresenta un primo paradosso in quanto Internet - per sua stessa natura - consente di abbattere le barriere spazio-temporali, ma è possibile darvi una spiegazione razionale.
Sono convinto che i social media possano non soltanto funzionare come canale di comunicazione e di ascolto per la politica ma che siano anche in grado di spostare gli equilibri dell’opinione pubblica, già dal lontano 2008 (per informazioni, citofonare o twittare Obama).
Il motivo di questa enorme differenza di risultati si può spiegare così:
Il fattore numerico
In Italia la massa critica deve ancora essere raggiunta, quindi il campione di persone presenti sui social media non è rappresentativo della totalità dei cittadini
Il fattore culturale
Essere connessi a Internet non implica automaticamente l’essere utilizzatori di social media, né tanto meno ne è indice di efficace utilizzo. Molte delle periodiche statistiche demografiche italiane diffuse - che già risultano impietose se utilizzate come benchmarking con le altre nazioni - non riescono a cogliere questo aspetto qualitativo. Questo significa che da noi le persone realmente raggiungibili e influenzabili attraverso questi canali sono ancora una nicchia, a differenza dei media tradizionali (e, in particolare, della tv).
Il fattore strategico
Sfruttare le potenzialità dei social media non significa “soltanto” uscire dalle logiche mainstream e monodirezionali dei media tradizionali, conversando. Significa infatti studiare strategie comunicative transmediali e crossmediali, significa utilizzare il web come canale di ascolto (sia focalizzato alle singole persone che massivo per l’acquisizione di informazioni strategiche) e di influenza delle decisioni.
La disponibilità di strumenti e la conoscenza degli stessi
Obama ha sfruttato i Big Data e strumenti di analisi predittiva a supporto delle proprie scelte, portando la comunicazione politica al livello successivo. In Italia manca questa visione di e-governance data-driven.
Il secondo paradosso è che senza una massa critica non si hanno Big Data da analizzare, ma senza Big Data è complesso accelerare la crescita della massa critica, per esempio costruendo un effettivo engagement degli elettori, catturando la massa di indecisi e probabili astenuti, quindi ripianificando.
Il volume dei dati pubblici oggi disponibile in molti casi è rilevabile da un privato cittadino che sia anche mediamente smanettone (per esempio tutti i tweet legati a uno specifico hashtag), senza strumenti particolarmente sofisticati. Risultati semplici ma interessanti si possono ottenere persino senza scrivere righe di codice o senza essere un data scientist, grazie alla moltitudine di strumenti gratuiti ed elementari presenti in rete. Lo stesso discorso vale per i professionisti che si volessero cimentare col data-journalism e sviluppare così queste competenze.
In sostanza, per il momento in Italia siamo ancora legati a una crescita organica, anche se una spinta importante potrebbe venire già ora dagli open data.
Mercoledi 9 Gennaio 2013
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo: Grazie a Prima Comunicazione, scopro di una ricerca sulla Social TV che segnalo in questo “archivio” di informazioni.
[Ref. http://www.primaonline.it/2013/01/09/112932/i-social-media-rafforzano-la-tv/]
Un paio di estratti dal documento linkato da Prima Comunicazione:
(1) I social media hanno un impatto estremamente positivo sugli ascolti televisivi, grazie a un nuovo gruppo di appassionati telespettatori che, utilizzando i social per commentare e confrontarsi sui programmi e sulla pubblicità televisiva, influenza le scelte e le opinioni riguardo ai contenuti e, soprattutto, ai brand.
(2) La TV sta generando conversazioni online che, a loro volta, motivano le persone a passare più tempo davanti alla televisione. Initiative ha individuato una serie di indicazioni utili agli operatori della comunicazione per avvicinarsi e attingere a questa preziosa risorsa:
Pionero.it ha linkato il documento Initiative che presenta i risultati della ricerca
L’analisi dei comportamenti di fruizione di 8.000 telespettatori di tutto il mondo ha messo in luce che esiste una nuova sinergia tra i due media che risulta molto vantaggiosa per la televisione, anche dal punto di vista pubblicitario.
[Ref. http://www.pionero.it/social-media-e-tv-il-nuovo-potere-della-televisione/]
Lunedi 14 Gennaio 2013
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo: Un libro sulla Social TV.
E’ un mercato pazzerello / dove trovi questo e quello / e c’è pure un pappagallo / con il becco giallo. Alzi la mano chi non si ricorda questo motivetto. Entrava nelle case di milioni di italiani, costringendoli a rimanere incollati davanti al televisore di casa, rigorosamente posizionato in tinello o in casi sporadici nel salotto di casa, quello accessibile solo nei giorni delle feste comandate. Anche grazie a quel ritornello siamo stati pionieri della social Tv, la conosciamo addirittura da trent’anni, senza forse neanche saperlo. Sia chiaro, una social Tv sui generis, con tutti i limiti della pura sperimentazione, partecipata in modo embrionale. Però siamo stati tra i primi ad averla accesa. E per giunta sulla Tv pubblica.
Eccola allora la prima social Tv ha bussato alle porte di mezza Italia grazie ad un pappagallo. Correva l’anno 1977 e in Italia si accendeva una specie di Tv interattiva. Accadeva con quel genio di Enzo Tortora, che nel suo “Portobello” dialogava con il pubblico in modo diretto, immediato. Dalle telefonate che arrivavano in studio alle nomination espresse dal pubblico fino alla presenza del mitico pappagallo. Ma il punto più alto della social Tv è stato raggiunto nella primavera del 1980. In una puntata de “L’Altra Campana”, Tortora chiese alla gente di esprimersi con un voto accendendo e spegnendo le luci di casa. L’Enel, dopo pochi minuti, era in grado di dare il responso basandosi sulla variazione dei consumi che si registrava.
Martedi 22 Gennaio 2013
Marco Dal Pozzo(mdp) @marcodalpozzo: Alla fine, questi approfondimenti, questa raccolta di post, studi ed interventi sull’argomento dell’Inseparabilità tra Online e Offline, vede molti contributi riguarare la Social TV o, che forse è la stessa cosa, l’esperienza del second screen. Credo, in effetti, che la misura del gradimento e dell’interesse di programmi televisivi (che definiamo old media o offline) fatta sui Tweet (new media o online) sia abbastanza paradigmatico.
In effetti, all’inizio, avevamo trattato il tema dei big data e avevamo detto che quelli nativi online non possono essere ritenuti indicativi delle tendenze e dello stato della società in genere. D’altra parte, però, credo che considerare le critiche sui Social Media a ciò che avviene negli old media, è uno dei tanti aspetti da tenere in considerazione in questo percorso.
Segnalo i seguenti articoli in tema con il titolo di questo documento work in progress:
La televisione, sempre più fuori dalla televisione: È facile dunque prevedere che in misura sempre maggiore i programmi saranno disegnati per sfruttare al meglio le potenzialità del secondo schermo e del pubblico connesso.
La critica corre su Twitter: Il caso di cui si parla è interessante ed è forse nuovo per il cinema ma più frequente, almeno nel mondo anglofono, per i libri. Una pubblicità che promuove l'ultimo film di Ewan McGregor , The Impossible, utilizza gli endorsement e i giudizi positivi di persone comuni che hanno twittato dopo essere state al cinema.
Non sono più le fascette o i pareri dei nomi celebri che promuovono un romanzo o un film. Sono giudizi rapidi e veloci, come la grammatica dei 140 caratteri consente: «Uno dei migliori film che abbia mai visto». Oppure: «Meraviglioso: lo raccomando». È la voce degli spettatori che esprimono la propria opinione su un social network. David Lister, sull'Independent, li chiama TwitCrits: i critici di Twitter.
«Se guardiamo a Broadway», racconta David, «una delle mie storie preferite riguarda il produttore David Merrick. Annoiato dalle recensioni ufficiali su uno dei suoi lavori, ha cercato sull'elenco telefonico gli omonimi del maggior critico del New York Times, li ha invitati a teatro e ha dato loro le migliori poltrone. Poi ha chiesto loro di raccontare le reazioni allo spettacolo, che sono state molto positive. Ora sono passati dei decenni, ma grazie a Twitter i produttori di oggi stanno facendo come il signor Merrick».
Servizio Pubblico: record anche su Twitter, ma a che prezzo?: Insomma il “circo Barnum” in televisione è stato seguito specularmente anche dalle audience connesse in rete, con un tifo da stadio, speculare allo spettacolo messo in scena, ma l’indice di gradimento non è stato dei migliori. Si spera che le prossime trasmissioni politiche sappiano bilanciare meglio contenuti e ritmo. Anche il dibattito in rete ne gioverebbe, come dimostrato dai confronti tv delle primarie.
[Ref. http://vincos.it/2013/01/11/servizio-pubblico-record-anche-su-twitter-ma-a-che-prezzo/ ]
Social TV: le trasmissioni più seguite in rete: Nei primi mesi di questa stagione televisiva si è avuta la chiara conferma dell’esistenza di un pubblico attivo che fa esperienza della tv in connessione con gli altri, attraverso la rete.
[Ref. http://vincos.it/2013/01/14/social-tv-le-trasmissioni-piu-seguite-in-rete/ ]
Domenica 10 Febbraio 2013
[Ref. http://mdplab.blogspot.it/2013/02/twitter-nielsen-bluefin-occhio-alla.html]
La riflessione riguarda il meccanismo di Social TV Analysis che potrebbe, se implementato in Italia, migliorare di molto l’operato dell’Auditel. Il problema, pero’, e’: quanto e’ affidabile il campione dei Tweeteros che guardano la TV? Quanto, per tornare all’argomento di questo documento aperto, sono separabili le realta’ online (Twitter) e offline (la televisione) in Italia?
A questa domanda sembra rispondere la collezione di Arianna Ciccone di questa mattina su Valigia Blu: @_arianna: Commovente questo entusiasmo per twitter da parte di giornalisti e politici. Un entusiamo intorno al 4% al netto dei bimbiminkia
[Ref. http://www.valigiablu.it/di-cosa-parliamo-quando-parliamo-di-twitter-in-italia/]
Lunedi’ 18 Febbraio 2013
Luca Alagna @ezekiel: In tutto questo se considerassimo una crescita degli utenti Twitter italiani in linea con lo scorso anno (poco più del 110% secondo Blogmeter) gli elettori su Twitter proiettati nel 2013 salirebbero al 6,9%.
Nel caso la percentuale di minorenni fosse del 20% gli elettori oscillerebbero tra il 5,8% e il 6,5%.
Se fosse (poco plausibile, su Facebook è al 14% circa) del 30% si va dal 5,1% al 5,6%.
Una percentuale davvero esigua che fa riflettere di nuovo su quanto l’online sia una buona rappresentazione della realta’ e quanto l’online sia un affidabile predittore della realta’ stessa.
Ci sarebbe da chiedersi: quanto questo 7% e’ un campione affidabile dell’elettorato italiano?