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Giocare narrando: il gioco di ruolo

di Luca Giuliano

Il gioco ha molti punti in comune con la letteratura: un insieme di forme, tecniche, artifici e convenzioni che permettono di raccontare una storia, di attualizzare un mondo possibile.

I mondi possibili della finzione letteraria e figurativa si collocano nel dominio di rappresentazione degli eventi. La loro esistenza è un prodotto della complicità che si crea tra chi narra e chi guarda o ascolta, in modo da permettere a quest’ultimo di accettare per vero ciò che gli viene proposto e di collaborare attivamente alla sua interpretazione. Letteratura, musica, teatro e cinema evocano per noi orizzonti emotivi che ci disponiamo ad accettare come verosimili per il piacere di credere e di essere trasportati nell’altrove del mondo.

Dal gioco pretendiamo qualcosa di più. Non ci basta una rappresentazione del mondo possibile, atta a mostrare com’è ciò che non è. Il gioco invoca una simulazione del mondo possibile, cioè ci chiede di agire all’interno di esso con i nostri sensi al fine di riprodurre com’è ciò che non è fino a far credere che ciò che non esiste esiste davvero. Il gioco bussa alla porta del simulacro, rende accessibile all’esperienza ciò che è “fuori dal mondo”.

Il giocatore non è il lettore di un romanzo o lo spettatore di un film. Non si limita a partecipare attivamente con la sua fantasia a quanto gli viene suggerito dal testo o delle immagini cercando di completarlo con le sue conoscenze personali. Il giocatore ha degli obiettivi da perseguire e pretende di trarre soddisfazione dalle azioni che le regole gli permettono di intraprendere. Il giocatore compie delle scelte e si attende che i risultati siano una conseguenza delle sue scelte. Se le scelte sono state felici, o migliori di quelle dell’avversario, egli si attende di conseguire la vittoria.

Il lettore è guidato dal desiderio di sapere come il narratore risolverà il conflitto tra Teseo e il Minotauro e come questi ritroverà l’uscita dal Labirinto di Cnosso. Il giocatore-Teseo si trova invece a scegliere tra una gamma di opzioni: esplorare il labirinto, recarsi all’appuntamento fatale con il Minotauro, sconfiggerlo o essere sconfitto, trattare con lui una onorevole resa, oppure stipulare un patto di reciproca convenienza.

Il modello game & play applicato alla narrazione interattiva e condivisa prefigura un lettore che assume su di sé il ruolo di protagonista della storia e si impadronisce dunque di una parte rilevante delle prerogative che spettano tradizionalmente all’autore del testo. È un Don Chisciotte che decide da solo il nome da attribuire a sé stesso e a Ronzinante ed entra così nel mondo dei cavalieri con un vero atto performativo. Ma in questo modo non è più Miguel Cervantes il solo autore del romanzo. Cervantes è il creatore di un mondo possibile la cui attualizzazione è affidata alle scelte del giocatore Don Chisciotte.

Questa rivoluzione del paradigma narrativo ha avuto origine nella letteratura fantasy e di fantascienza per poi straripare in tutta la fiction, in particolare nel cinema e nella serialità televisiva, trovando un punto di ancoraggio nella cultura popolare all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso con la diffusione dei giochi di ruolo che per primi (e con molto anticipo rispetto ai giochi per computer e ai giochi online che stanno raccogliendo tanto successo oggi) hanno permesso a molti giovani di sperimentare in prima persona la vertigine delle identità molteplici e della immersione in una fantasia socialmente condivisa.

L’esperienza di assumere il ruolo di un personaggio e di viverne le avventure in prima persona come il protagonista di un romanzo ha ufficialmente inizio nel gennaio 1974, quando viene dato alle stampe, in una prima edizione amatoriale, il regolamento di Dungeons & Dragons, di Gary Gygax e Dave Arneson, noto in tutto il mondo con la sigla D&D. I precursori di questa attività ludica, che da allora in poi sarà chiamata role playing game (gioco di interpretazione di un ruolo) sono numerosi. Il periodo di gestazione di questa idea negli Stati Uniti fu molto lungo e vide il coinvolgimento di giocatori di wargame e di giochi da tavolo dagli inizi degli anni Sessanta in poi. Ciò che caratterizzava il gioco di ruolo e la sua portata innovativa non era tanto l’interattività, tipica e necessaria in qualsiasi ambiente di gioco, quanto la costruzione cooperativa di un immaginario sotto la guida di un narratore (Dungeon Master o Game Master) che rappresenta la continuità della narrazione stessa, l’entità collettiva della comunità dei giocanti che esprimono la volontà di conferire una coerenza e un senso alle loro azioni.

Il narratore, prima di iniziare la sessione di gioco, prepara una traccia della storia da sviluppare, quella che sarà l’avventura vissuta dai giocatori attraverso i loro personaggi. La storia però è sospesa tra un incipit appena abbozzato e un finale aperto ai “possibili futuri”. Ciò che accadrà durante la narrazione vera e propria è in gran parte il risultato di una improvvisazione. In senso ampio, le regole del gioco rappresentano l’infinita rete delle storie virtuali (che esistono solo potenzialmente) e che ancora devono essere narrate. I giocatori, con i loro personaggi, compiono delle scelte e determinano così l’attualizzazione drammatica della narrazione. Il narratore rappresenta il punto di mediazione tra l’ambiente e i personaggi, tra lo spazio della simulazione e lo spazio dell’interpretazione, tra il game e il play. Il narratore è l’intermediario tra l’immaginazione dei giocatori e la concreta attualizzazione del racconto. Gli eventi che si producono nello svolgimento della narrazione sono il risultato di un processo che non corrisponde in tutto e per tutto alle intenzioni di chi lo ha preparato, né alla volontà dei singoli giocatori che vi partecipano. Il racconto emerge da atti, scambi, situazioni che sono irrevocabilmente determinati dalla conversazione: ciò che viene detto e fatto ha delle conseguenze nel mondo possibile definito dall’universo del discorso in atto. Il narratore, con la sua presenza nel processo di interazione, diventa il “luogo sociale” in cui la fantasia di ciascuno si confronta e si incontra con quella degli altri per diventare condivisa. La sua presenza regolatrice non limita la libertà espressiva dei giocatori, anzi la rende possibile. Il narratore non racconta la sua storia ai giocatori, aiuta i giocatori a vivere la loro storia nei ruoli di personaggi protagonisti.

L’autore di un testo letterario scrive delle istruzioni per un ipotetico lettore, affinché questi possa procedere alla ricostruzione del mondo fino a farlo proprio e a integrarlo nella propria esperienza. Il narratore di un gioco di ruolo, invece, è l’autore di un’opera aperta che ha larghi margini di indeterminatezza, sia nella definizione degli elementi che compongono il mondo, che dello svolgimento degli eventi fino alla sua conclusione. Non vi è una “ri-costruzione” del mondo a opera dei lettori, ma un “processo di costruzione” del mondo a opera del gruppo di gioco. La rinuncia del narratore a svolgere appieno la funzione di autore restituisce al narratore stesso la sua libertà di azione e di scelta come giocatore (sebbene a un livello diverso, e più alto, rispetto a quello degli altri giocatori), che si trova a mediare lo svolgimento del racconto e il suo esito all’interno di quelle condizioni di imprevedibilità, incertezza e conseguente sorpresa, che sono a fondamento di qualsiasi attività ludica.

Il gioco di ruolo in questa forma classica (tabletop), o nelle sue varianti di Live Action Role Playing (LARP) e di gioco di ruolo dal vivo freeform, attualmente è un’attività che interessa migliaia di giocatori in tutto il mondo, sebbene il suo impatto di massa più significativo oggi sia determinato soprattutto dallo sviluppo delle tecnologie digitali, dal gioco online e dalle promettenti prospettive della Virtual Reality (VR) e della Augmented Reality (AR).

http://www.lucagiuliano.net/ 

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