NewsLetter di Medicina e Psicologia - 2021 - Ottobre
Eccellenze della Facoltà. Intervista a Paolo Marchetti
di Andrea Tubaro
È tempo di bilanci.
Subito prima che si chiuda il suo lungo percorso accademico, desidero incontrare Paolo Marchetti per ricordare esperienze comuni, iniziate all’Università di L’Aquila nel 1988. Già in quel periodo la ricerca traslazionale rappresentava una grande parte della tua professione. Cosa è cambiato da allora chiedo all’amico Paolo?
Nella seconda metà degli anni ’70 è iniziata quella che sarebbe divenuta una profonda rivoluzione nel trattamento dei tumori. I progressi tecnologici applicati alla ricerca bio-medica muovevano i primi passi e, attraverso la disponibilità di ormoni marcati con sostanze radioattive ad alta attività specifica (che consentiva di usare dosi fisiologiche per studiarne la localizzazione tissutale e cellulare), è stato possibile di riconoscerne e comprenderne il meccanismo d’azione. Quelli che venivano definiti “so-called hormone receptors” divennero presto uno strumento di selezione dei pazienti. Ad esempio, la terapia antiormonale con tamoxifene si mostrava efficace in circa un terzo delle pazienti affette da carcinoma mammario. Selezionando le pazienti che presentavano una neoplasia caratterizzata da elevati livelli di recettore per gli estrogeni e per il progesterone (come indicatore di integrità dell’intera via di segnale estrogenico), si otteneva più dell’ottanta per cento di risposte. Nonostante la grande difficoltà iniziale nell’inserire questa valutazione nella pratica clinica, la diffusione della misurazione dei livelli di recettori per gli estrogeni e per il progesterone ha rappresentato non solo una imprescindibile opportunità terapeutica per migliaia di pazienti, ma ha aperto la strada al trattamento adiuvante delle donne operate per cancro della mammella con recettori positivi. Era nata la prima terapia con un farmaco a bersaglio molecolare, cioè capace di entrare nell’organismo e interagire specificamente con una specifica struttura cellulare!
Abbiamo dovuto attendere, però, circa venti anni (2002) prima di arrivare all’approvazione dell’imatinib da parte della FDA per il trattamento della leucemia mieloide cronica e dei tumori stromali gastrointestinali. I titoli dei giornali di tutto il mondo iniziarono a parlare di “magic bullet”, del resto già ipotizzato dal premio Nobel Paul Ehrlich agli inizi del ‘900. Dopo venti anni, dominati dagli straordinari progressi nel campo della chemioterapia, la ricerca traslazionale tornava ad essere protagonista con un rinnovato entusiasmo, scandito dalla identificazione di molti farmaci a bersaglio molecolare.
Dalla prima applicazione clinica delle tossine di Coley verso la fine del 19° secolo, a seguito dell’osservazione di una regressione spontanea di un tumore per un’infezione post-chirurgica, con l’approvazione dell’ipilimumab nel 2010, l'immunoterapia si è affermata come una nuova opzione di trattamento potente ed efficace in diversi tipi di cancro. In questi ultimi 15 anni la ricerca traslazionale nell’immunoterapia dei tumori ha consentito di comprendere molti dei meccanismi di efficacia e resistenza a questi farmaci con possibilità di controllo di malattie impensabili in passato.
La visione contemporanea della malattia risale al XIX secolo e si basa in gran parte sulla correlazione clinico-patologica osleriana (William Osler, 12.7.1849 – 29.12.1919, medico canadese, definito come il padre della medicina moderna) ossia sulla definizione della malattia in base al sistema o all’organo in cui i sintomi sono manifesti e a cui la patologia è correlata, pur con il limite di generalizzare enormemente i pato-fenotipi di malattia. In estrema sintesi, riconosciute le alterazioni istologiche all’interno di uno specifico organo o tessuto, si correlano con i sintomi del paziente al fine di identificare il trattamento migliore.
Oggi, siamo all’inizio di una ulteriore rivoluzione: la transizione dal modello istologico al modello mutazionale, basato sul riconoscimento delle alterazioni delle vie di segnale all’interno di una cellula (e non solo di una singola mutazione). Questo straordinario cambiamento, basato sulla network medicine, è stato, ancora una volta, reso possibile dai progressi non solo in campo informatico, ma anche nel settore della profilazione genomica.
Progressi che hanno consentito anche una diversa comprensione della collaborazione tra il nostro organismo ed il microbiota umano, presente su tutte le superfici in contatto con l’esterno (e non solo nel tratto gastrointestinale!).
È stato stimato che il numero di microrganismi che abitano il tratto gastrointestinale raggiunga l’incredibile numero di 100.000 miliardi di cellule di microrganismi, cioè circa 10 volte il numero complessivo delle cellule che costituiscono il nostro corpo e oltre 100 volte la quantità di contenuto genomico del genoma umano. Il microbiota offre molti vantaggi all'ospite, attraverso una serie di funzioni fisiologiche come il rafforzamento dell'integrità intestinale o il rimodellamento dell'epitelio intestinale, la protezione dagli agenti patogeni e la regolazione dell'immunità dell'ospite. Tuttavia, esiste la possibilità che questi meccanismi vengano interrotti a causa di una composizione microbica alterata, nota come disbiosi. Con lo sviluppo di metodi sempre più sofisticati per profilare e caratterizzare ecosistemi complessi, è diventato evidente un ruolo per il microbiota in un gran numero di malattie.
Dall'intelligenza artificiale alla diagnostica per immagini, al teleconsulto e al tele-monitoraggio: esempi che segnalano un cambiamento in corso che va sempre più nella direzione di una medicina preventiva, personalizzata e che arriva a tutti, a prescindere dalla distanza da un centro di eccellenza.
Ovviamente, questi progressi hanno determinato la necessità di superare la semplice ricerca di farmaci a bersaglio molecolare per giungere alla definizione di una nuova strategia di trattamento, attraverso la valutazione del percorso del paziente (Patient journey).
Straordinarie nuove opportunità di rendere la medicina di precisione un percorso definito e disponibile per tutti. Questi cambiamenti richiedono anche adeguamenti strutturali?
La diversa capacità di profilazione genomica non solo del tumore si associa ad un diverso percorso decisionale per ottenere una nuova capacità di elaborazione dei dati clinici.
La recente pandemia ha stimolato fortemente la nostra capacità di adattarci a modelli organizzativi diversi. In molte strutture, come presso il nostro Sant’Andrea, abbiamo utilizzato piattaforme informatiche, come Navify, capaci di rendere disponibili i dati dei pazienti non solo attraverso la descrizione del caso mediante diapositive (tipo case-report), ma attraverso la visualizzazione delle immagini radiologiche in formato Dicom, le immagini istologiche o i tracciati elettrocardiografici. Questo tipo di interazione consente al gruppo multidisciplinare di assumere decisioni realmente interdisciplinari, dove la somma delle singole capacità professionali supera di gran lunga il loro valore aritmetico! Il passo successivo sarà quello di riuscire a raccogliere queste informazioni in maniera prospettica per creare uno straordinario data-base di dati di real world evidence, che ci consentirà di affiancare agli studi clinici convenzionali le interpretazioni di quelli che possiamo definire real-world data based clinical trial.
Ancora un cambiamento che rivoluzionerà la nostra attuale modalità di raccogliere ed interpretare le osservazioni cliniche!
Questo nuovo approccio informatizzato permetterà inoltre di trasformare i dati clinici in informazioni e, quindi, in conoscenza utile ai nostri pazienti, rispondendo ai tanti quesiti a cui la ricerca convenzionale non saprà mai rispondere.
Non è cambiata, tuttavia, solo la possibilità di discutere insieme le problematiche del singolo paziente. Abbiamo iniziato, coraggiosamente, a strutturare i nostri percorsi diagnostico-terapeutici attraverso la disponibilità di PDTA, ina alcune strutture addirittura certificati. Un esempio di grande capacità di attuazione di percorsi innovativi e complessi è rappresentato proprio dal PDTA certificato del Sant’Andrea in tema di patologie uro-oncologiche o quello dei tumori eredo-familiari.
Gli aspetti più importanti di questi percorsi, al di là delle convenzionali acquisizione di un confronto diretto tra diversi specialisti delle tante problematiche cliniche che affliggono i pazienti oncologici, riguardano anche decisioni interdisciplinari assunte nella malattia metastatica e non solo al momento della diagnosi, l’introduzione dei PROs (cioè della definizione della gravità degli effetti collaterali per come sono vissuti dal malato e non solo per come sono interpretati dal medico) nella pratica clinica specialmente nella malattia metastatica (oggi trattata per anni), l’attivazione di percorsi di teleconsulto, l’attivazione di percorsi di recupero funzionale in oncologia (non solo riabilitazione, peraltro spesso assente).
Anche la riconciliazione terapeutica attraverso la piattaforma di Drug Pin, sviluppata al Sant’Andrea in collaborazione con la Charité di Berlino grazie al grande lavoro del Prof. Simmaco e del Prof. Preissner rappresenta una realtà clinica eccezionale nel ridurre sofferenze evitabili per i pazienti e costi inutili per il Servizio Sanitario Nazionale.
Inoltre, dobbiamo ricordare come, grazie al lavoro nato all’interno del Sant’Andrea con la collaborazione del Dott. Nello Martini ed il supporto tecnico del CINECA, in tutta Italia si stanno affiancando ai gruppi multidisciplinari di patologia i Molecular Tumor Board, che non sono inutili strutture burocratiche, ma una opportunità eccezionale per il progresso dell’oncologia. Infatti, hanno la finalità di discutere opzioni di terapie mirate basate su analisi di NGS da biopsie di pazienti con tumori in stato localmente avanzato o metastatici, resistenti a pregresse terapie, o di pazienti con neoplasie rare. I risultati ottenuti in questi primi mesi di attività su alcune centinaia di pazienti hanno consentito non solo l’identificazione di mutazioni idonee a scegliere farmaci a bersaglio molecolare, ma anche possibili meccanismi di resistenza, un maggiore reclutamento in studi aperti nel Paese,
l’identificazioni di mutazioni potenzialmente germline (a cui è seguito la valutazione da parte del genetista e una protezione su tutta la famiglia del paziente), il miglioramento del trattamento chemioterapico convenzionale, sulla base di specifici profili mutazionali che avrebbero potuto indurre resistenze rispetto a quanto scelto su base puramente clinica.
Infine, la recentissima definizione di un accordo specifico con un'importante Azienda italiana ci ha consentito di acquisire una serie importante di sensori stampati direttamente su magliette di cotone, che consentiranno di passare da un modello predittivo del rischio alla valutazione in tempo reale dell’insorgenza di eventuali anomalie, grazie alla trasmissione in 5G dei dati rilevati.
In conclusione, la medicina di precisione non è costituita affatto solo da nuovi farmaci, ma da un percorso straordinariamente complesso e già in corso di realizzazione?
Il nostro hashtag #nonsolofarmaci che caratterizza anche la Fondazione per la Medicina Personalizzata a cui partecipano molti docenti della nostra Facoltà non è solo un desiderio progettuale, ma una realtà operativa.
L’intervista è finita e comincio a rendermi conto di quanto mi mancherà come amico, come collega e come oncologo. Le nostre stanze sono adiacenti ed era bello trovare le risposte a molte mie domande a due passi da me. A volte capita di avere un rapporto privilegiato con alcuni colleghi e con Paolo Marchetti ci siamo trovati sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Un ultimo pensiero va ad un aspetto che non tutti conoscono, la sua incredibile, eccezionale umanità con i pazienti oncologici che ha sempre suscitato in me un grandissimo rispetto e ammirazione per l’uomo.