Hanno scritto di me
La tecnica della pittura ad acqua, sinonimo di fluidità, leggerezza
e trasparenza, non consente le incertezze e i pentimenti
che, in diversa misura, sono ammessi da altre tecniche
pittoriche. I requisiti indispensabili al pittore di acquerelli,
senza tema di smentite, sono la rapidità e la sicurezza necessarie
a tradurre, nell'immediato, la visione e l'emozione ch'egli
si è formato nella mente.
In un'epoca di sperimentazioni e commistioni tecniche
capaci di disorientare ogni vera o presunta certezza, la lunga,
inossidabile fedeltà di Elio Bargagni alla sua scelta iniziale,
ovvero ad una sua innata propensione all'acquerello, appare
singolare proprio nel persistere di una tradizione che ebbe un
culmine e forse un inizio in quei meravigliosi appunti di viaggio
che sono i disegni acquerellati di Dürer. Alla pratica dell'acquerello
intesa come rapida notazione e studio preliminare,
dunque subordinata all'opera ritenuta maggiore e
definitiva, si alterna, nel corso dell'arte moderna, l'uso di siffatta
tecnica come opera a sé stante, pienamente autonoma e
conclusa. Un acquarello di Giacinto Gigante non ha niente da
invidiare ad un dipinto a olio dello stesso artista, anzi!
L'acquerello come disegno e pittura di viaggio particolarmente
radicato nell'Italia del grand tour, lungi dall'essere estinto
a causa della forsennata moltiplicazione dei mezzi di riproduzione
meccanica alla portata di tutti, persiste proprio per
una superstite necessità di testimoniare affettivamente i luoghi
eletti nella topografia dell'esistenza, laddove il pittore è ancora
il testimone privilegiato.
Base di partenza per i lavori di Bargagni è il disegno, portato
avanti con accuratezza e con la precisione richiesta ad un
“cronista” dedito alla fedeltà della rappresentazione, offerta al
pubblico in una forma aliena dall'inquietudine che inevitabilmente
porta con sé ogni approfondito risvolto critico. L'adesione
al vero, la necessità di dipingere esclusivamente en plen
air inducono lo stesso pittore a credersi sprovvisto di fantasia,
ignorando come lo stesso suo desiderio di fissare sulla carta
quell'insieme di architettura, natura e luce, altro non sia che
dare forma all'immaginario. Un immaginario sicuramente
compiaciuto del proprio orizzonte, proiettato in una vulgata
del quadro-finestra d'invenzione quattrocentesca nella sua accezione
più rassicurante. Un modo come un'altro per lavorare
tranquillamente mettendosi al riparo da ogni insidia, perché
Bargagni sa dove trovare il motivo ispiratore, con una infallibile
esattezza, laddove il dipinto che egli si appresta di volta in
volta a realizzare, si trova in certo senso già fatto, costituito
dai requisiti pittoreschi e caratteristici di un paesaggio umano
che è pur sempre valore intramontabile e perdurante certezza.
Alte torri, svettanti campanili, balaustre e balconi fioriti, antichi
portali, sono alcuni degli elementi che entrano in perfetta
sintonia con il pittore in ragione della texture, della materia,
del trascorrere delle stagioni, del lavoro incessante del tempo.
Contrasti tra bianche facciate ad intonaco e il grigio della pietra
serena, tra i marmi policromi delle chiese fiorentine e lucchesi
e il rosso mattone dei tetti, tra le ombre blu e viola delle
piazze alberate e l'azzurro del cielo.
Superfici pittoriche vibranti ora per via di ampie pennellate,
ora in ragione di scrupolose annotazioni alla ricerca del
dettaglio e del minimo documento visuale, necessario a ricreare
quel ‘colore locale' così gradito ai suoi numerosi estimatori.
Autodidatta, Elio Bargagni inizia prestissimo a disegnare
per proprio diletto, finché nel 1955 conosce a Firenze Aldo
Raimondi (Roma 1902-1998), un celebre illustratore capace
di dominare la tecnica dell'acquerello con spettacolari virtuosismi.
L'esempio e l'incitamento di Raimondi, autore tra l'altro,
di alcune celebri copertine della «Domenica del Corriere»,
rafforza in Bargagni la coscienza della propria vocazione, che
si manifesta sempre più come un dono refrattario a seguire
tendenze e stilemi d'attualità.
Il nostro pittore ha viaggiato molto, e questa esposizione
di 40 acquerelli nella sua città di adozione ne è la riprova. Ha
percorso l'Europa in lungo e in largo, ha visto la Cina e l'India
alla ricerca di ispirazione per le sue opere, animato costantemente
dalla gioia nel fare e, come dalle pagine di un diario, ci
ha restituito con immediatezza le sensazioni provate al cospetto
della storia, dell'arte, della natura.
Rosanna Morozzi
Il tramonto è rosato con venature giallastre sormontate da un
azzurro trasparente. L'aria sembra vagamente acquerellata
dai tre colori primari.
Il buio segue il suo lento ritmo sino a inondare il Tutto,
rendendolo indefinito. Quei colori che prima illanguidivano
l'osservatore sono, a poco a poco, inghiottiti da una notte
fonda, dove la Luna gioca illuminando il laghetto ai bordi di
un bosco bluastro.
I colori lentamente scompaiono del tutto. Dal fitto della
boscaglia, suoni e sibili inconsueti, mi preparano alla sorpresa.
Una schiera di elfi, armati di pennelli e tavolozze, in fila
come soldati di una guerra non combattuta, ma di una pace
conquistata, si dispongono ordinatamente ai confini del lago.
Una musica dolce accompagna i loro lenti movimenti.
Mi domando cosa stiano facendo, quando uno di loro, sorridendo,
immerge il pennello nell'acqua. Lo passa delicatamente
su uno dei colori disposti sulla tavolozza e (meravigliandomi
non poco) dipinge sull'acqua stessa i primi tocchi di
un acquerello che, col tempo, si identifica sempre meglio.
La velocità di esecuzione è sorprendente. Non ci sono, in
quella mano, incertezze. Quel segno che, dal basso all'alto, si
svolge delicatamente, ricorda brani musicali antichi, nenie
paesane, bisbiglii rapidi di corti fiorentine.
Gli Elfi accanto lo imitano tentando di emettere i soliti
suoni. Non tutti ci riescono, ma la loro febbre creativa prescinde
dal risultato ottenuto.
Mi avvicino a piccoli passi per non interrompere il loro lavoro
e mi pongo dietro all'Elfo che per primo ha dipinto sull'acqua.
Lo scricchiolio di una foglia tradisce la mia presenza.
L'Elfo si volta, senza mostrare alcuna sorpresa. Mi saluta con
un cenno gentile e continua a comporre sulla superficie dell'acqua
il suo lavoro. Come il pennello sfiora l'acqua, il colore
si spande, si ramifica, si stende delicatamente.
Mi avvicino ancora e scorgo sul pelo dell'acqua soggetti architettonici
di una splendida Firenze quotidianamente antica.
Guglie e cupole e tetti, tetti, tetti a perdita d'occhio percepiti
forse dall'occhio di un'aquila che vola. Stemmi medicei e
statue di santi, tra colonne a tortiglione decorate finemente.
Palazzo Vecchio si erge trionfando sulla piazza deserta. Perseo
brandisce la spada, ostentando fiero la sua barbara preda. I
leoni accanto sembrano evaporare timidi nell'aria circostante.
Riconosco nell'Elfo un caro amico: Elio. Da bambino, incantato
dai disegni di un coetaneo, rimase stupefatto da tale
bravura. Non provò invidia ma ammirazione. E questo fu il segreto
del suo desiderio di dipingere sull'acqua.
I pieni e i vuoti si equilibrano sapientemente, ed i vuoti
raccontano di un laghetto incantato nelle notti di Luna fioca,
la musica riprende e inonda lo spazio.
Sull'acqua rimangono, al mattino, solo i riflessi dei volti
felici e sorridenti che ci bisbigliano: “L'Arte è gioia!”.
Giampaolo Bianchi
Elio Bargagni è un artista che nell'arte dell'acquerello lo ritengo
un vero maestro, sia per la tecnica, sia per i suoi soggetti che sorgono
vivi di colori con una spontaneità facile dal suo pennello.
L'equilibrio delle masse che figurano in una compostezza cromatica,
danno un impeto all'opera che risente della classica scuola
ottocentesca.
Sereno ma non calmo, irruento ma non aggressivo il quadro
del Bargagni si presenta in una vivacità di luce anche quando il cielo
è imbronciato. Artista onesto consapevole del suo valore non è
uno sfrontato, ma come vero artista è un timido.
Giuliano Pacifici
Nel sangue di un artista (intendiamo di un artista autentico) brulica
una commistione di sensazioni inscindibili. C'è tutto: musica,
colore, poesia; ci sono impulsi d'amore, stimoli di fantasia, fremiti
creativi.
E in questo senso, per l'appunto, Elio Bargagni è un artista
vero, perché nei suoi acquerelli elaborati con polso fermo per dosare
l'espansione della macchia e guidare il ritmo dell'immagine, l'immediatezza
è frutto di esaltazione lirica e le accensioni cromatiche
accostate a sommesse o ardite divagazioni timbriche sono di
un'emblematica perspicacia.
I macchiaioli toscani gli hanno insegnato tante cose e prima di
tutto lo hanno convinto a guardare la natura con estremo trasporto
e a penetrarla con l'anima per trasferirla sul cartoncino nella pienezza
dei suoi colori esaltati dal controcanto degli spazi.
L'impianto di un paesaggio o di una natura morta è sempre rigoroso,
niente è lasciato all'improvvisazione; in ogni acquarello del
Bargagni la sintesi è raggiunta attraverso il setaccio della meditazione
e l'opera selezionatrice delle emozioni. Ogni quadro è un racconto
a sé, scritto e riscritto finché lo spirito non trova sereno riposo
di fronte alla pagina intrisa di luci, finché la ricerca del
linguaggio non si conclude con stile.
Elio Bargagni è un vedutista suggestivo. Si districa nelle architetture
più complicate con giochi chiaroscurali sapientemente modulati
e dà loro respiro con cieli tersi e indovinate prospettive. È, a
nostro giudizio, uno dei più validi acquarellisti dell'ultimo cinquantennio,
un pittore largamente dotato di mezzi tecnici e morali.
Mario Marzocchi
Non è che l'acquarello sia e sia stato una tecnica perno della storia
della pittura. Bisogna giungere al Settecento perché essa tocchi
alti livelli artistici tali da poter permettere di inserire certi pittori e
certe opere, prevalentemente inglesi e francesi, nella storia della pittura.
Prima, già dal Quattrocento, era un'attività secondaria dei pittori
“ad olio” che usavano l'acquarello principalmente per studi preparatori
dal vero o come completamento tonale dei loro disegni.
Ma appena sbocciato come tecnica primaria, ebbe un successo
notevole che si è tramandato nel tempo. Basti ricordare l'entusiasmo
che destò, poco tempo fa, la retrospettiva di William Turner,
uno dei più grandi nomi di questo tipo di pittura, mostra di eccezionale
interesse che ha riproposto al mondo l'arte del famoso acquarellista
del primo Ottocento. E molti furono i pittori che si cimentarono
nell'acquarello, non ultimi Kandinskij e Klee che l'usavano
per certe composizioni astratte. Dunque acquerello come
tecnica pittorica singolare, principale, e non complementare. Certo
che dopo le mille tecniche ed i mille materiali venuti fuori dalla
pop-art a oggi, potrebbe sembrare che l'acquarello stia ad esse come
il Cuore di De Amicis sta a Storie di ordinaria follia di Bukowski. Ma
non è vero. Nel recupero del tempo perduto e dei sentimenti dispersi
che oggi si fa sempre più pressante, la tecnica dell'acquarello
ha un suo peculiare senso. Quello di un ritorno alla contemplazione
e non all'esaltazione, al vedere per sentire e non al sentire senza vedere,
il senso di un recupero della tecnica e della grafia, messe da
parte un po' troppo precipitosamente negli anni Sessanta.
Esempio di tutto questo è uno degli acquarellisti più vivi e capaci
che mi sia mai capitato di incontrare: il fiorentino, ma lucchese
di adozione, Elio Bargagni, che da anni non presentava a Lucca
una sua personale. Lo fa ora scegliendo come argomento tre città
amate: Parigi, Firenze e Lucca, tre città dove ha vissuto e dove certamente
ha colto quelle sensazioni vibranti che è riuscito a portare
sagacemente sulla carta. Una Parigi rituale, ma non del tutto, dove
certi particolari architettonici incombono come a “magniloquiare”
una grandezza quasi perduta; una Firenze brillante nella sua struttura
rinascimentale ma al tempo stesso quotidiana e improvvisata;
una Lucca ricca di angoli e scorci che la rendono “minima” ma contemporaneamente
“unica e solitaria”.
Tutto questo, Elio Bargagni, riesce a dire con la sua pennellata
istintiva e incorreggibile, con quegli effetti di trasparenza, di luminosità
e di trapasso di toni che solo la tecnica dell'acquarello ci sa
dare ma che solo un pittore di grandi capacità e di lunga esperienza
come il Bargagni, sa trasformare in linguaggio, in racconto.
Mario Rocchi