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Una crisi silenziosa: il “contro-potere” della scuola
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Una crisi silenziosa: il “contro-potere” della scuola

di Pietro Tito Corso, Adelaide Corradi e Marta Mezzadri, con l'aiuto di Olga Bercini, Elena Buccella, Eugenia Carra e Giorgia Moothen

Alla luce delle circostanze attuali abbiamo sentito il bisogno, dando testimonianza della nostra condizione di studenti, di ritagliarci uno spazio per riflettere sul significato di Scuola, illustrando la nostra visione dei fatti. Quale modello di scuola stiamo perseguendo? Forse la scuola è in pericolo? Perché ancora oggi ha senso difendere la scuola? Su che fronte questa difesa si è spostata? Noi crediamo fermamente in una scuola che non si prefigga un profitto monetario immediato, in cui il preside non sia un manager, in cui gli studenti e gli insegnanti non siano solo ingranaggi del sistema produttivo o semplici dipendenti. Crediamo che la cultura non debba essere solo “spendibile” e quella formativa non debba essere un’ “offerta”. Ci chiediamo, infatti, che cosa sia in vendita. Il profitto di cui parliamo è a lungo termine e non è quantificabile: la formazione di individui consapevoli, dotati di spirito critico, capaci di essere cittadini attivi.

L’unico modo, a nostro parere, di realizzare l’ambizioso progetto di una formazione individuale completa, orientata al futuro ma che rappresenti un ponte con il nostro passato è quello di vivere una scuola democratica. Per definire l’idea stessa di Scuola democratica possiamo prendere in prestito le parole di Ferdinando Bernini, Deputato alla costituente, ex allievo e docente del nostro Liceo: “Principio essenziale di ogni democrazia è il diritto del cittadino all’istruzione, diritto che è insieme condizione di vita della democrazia stessa”.

A tal proposito la scuola si colloca, dunque, nell’ambivalente posizione di essere un “organo” che fa parte delle istituzioni democratiche e, insieme, deputato all’educazione alla democrazia stessa, poiché essa è ontologicamente aperta a tutti e a tutte e ispirata a principi di uguaglianza, parità ed equità, precondizioni di una democrazia stabile, capace anche di orientare lo sviluppo economico. Di fatto l’istituzione scolastica attua una potente azione livellatrice e promotrice in campo sociale proprio perché ispirata al principio delle pari opportunità. Questo strumento fondamentale viene però a mancare nel momento in cui si sceglie, in un’emergenza globale, di non conferire alcuna priorità all’attività scolastica, adottando misure drastiche a causa di una cattiva gestione della logistica necessaria soprattutto esterna alla scuola.

Ai problemi preesistenti in questa istituzione, quale per esempio l’abbandono scolastico a macchia di leopardo, si aggiungono tutte le disuguaglianze e la disparità che la didattica a distanza ha comportato e comporta ancora oggi. Quello che si chiede ai noi studenti delle Scuole Secondarie di II grado non è semplicemente l’abbandono della convivialità della scuola e un maggiore sforzo nel seguire le lezioni, ma, a molti, una vera e propria totale o parziale rinuncia al proprio diritto all’istruzione: una condizione che va a minare ancora di più la partecipazione scolastica di ragazzi e ragazze che si trovano in contesti di difficoltà, che trovano complicazioni nell’apprendimento, anche di tipo linguistico. E anche chi può godere di una condizione di indubbio privilegio deve comunque fare i conti con un’ importante rinuncia, dal momento che l’ambiente scolastico è spesso il primo luogo della personale esperienza di sé e di ciò che si è attraverso il confronto e la relazione con l’altro.

Inoltre la Scuola è di fatto un “contropotere”, come scrisse Neil Postman, nei confronti di una cultura superficiale ed “istantanea”, favorita dai media, non conciliabile con il processo democratico attraverso il quale l’individuo si forma come portatore consapevole di diritti e doveri. Cosa potrebbe accadere se dai due piatti della bilancia venisse tolto uno dei due contrappesi, se l’istituzione scolastica rinunciasse alla sua funzione pedagogica lasciando gli studenti inermi di fronte a una sovrasemplificazione derivata dalla cultura di massa? Da ultimo ci sentiamo in dovere di rispondere a chi ritiene che la DaD possa essere uno strumento funzionale e pienamente sostitutivo dell’esperienza scolastica. La didattica a distanza è inevitabilmente necessaria, ma non adeguata ad assolvere la funzione fondante e costitutiva dell’istituzione scolastica e quindi da abbandonare non appena la curva dei contagi ce lo permetterà.

Siamo pienamente consapevoli che dopo l’esperienza pandemica non si debba ritornare alla “problematica” normalità di vita di prima che prevedeva ad esempio un consumismo sfrenato e un’attenzione superficiale o assente all'ambiente, tuttavia questo discorso riguarda solo parzialmente la Scuola. Crediamo inoltre che quella che dovrebbe essere una soluzione a carattere temporaneo potrebbe trasformarsi in un problema permanente; il vuoto formativo lasciato dalla didattica a distanza andrebbe non solo a minare in un futuro molto prossimo l’educazione alla democrazia e all’uguaglianza, ma potrebbe anche intaccare il sempre più caro alle istituzioni sviluppo economico, costruendo una società preda dell’ignoranza e appiattita sul consumo individuale che implicherebbe di fatto una regressione. Senza dubbio l’esperienza pandemica ha mostrato i lati più fragili della scuola come la mancanza di infrastrutture di tipo tecnologico e logistico, per non dimenticare anche il dramma sociale preesistente e aggravatosi; ma il nucleo portante, il cuore della Scuola non deve cambiare, deve rimanere intatto, preservato. In questo senso la nostra Scuola deve essere difesa proprio per difendere noi stessi, le nostre prospettive, la nostra cultura e per questo motivo il futuro nostro e della comunità intera.

Difendiamo la Scuola per difenderci.