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Viaggio di un avocado
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Viaggio di un avocado

La pianta

...sapete che non amo quella gente

che agisce come se le ciliegie

fossero loro invenzione personale...

Kenneth Patchen, poeta californiano, 1957

Quando mangiate il mio frutto, io sto facendo l’amore. Quando un orso, un uccello, una scimmia mangia il mio frutto e poi espelle il seme un po’ più in là, io faccio un figlio. Siete voi animali il nostro modo di trasportare i semi. I nostri frutti sono belli e colorati e dolci perché così a voi viene voglia di mangiarli. I moscerini sono i nostri alleati perché, per noi, marcire è un successo.

Ci propaghiamo così, come possiamo, come abbiamo imparato. In equilibrio con gli altri... ma non avevamo calcolato voi uomini. Voi mangiate e stranamente buttate via i semi dei nostri frutti. Con altri semi create dei campi, ci mettete allineati, strappate le altre piante intorno a noi, spostate i fiumi per darci da bere... Vi affannate, sgobbate, morite per noi. Uccidete gli insetti per fare tutto voi, a modo vostro, più complicato.

Avrete le vostre ragioni, che noi non conosciamo.

Il contadino

Paesaggio

La sera passeggeremo su strade parallele...

...l’albero era più alto della montagna.

Ma la montagna era così larga che superava le estremità della Terra.

Il fiume che scorre non porta pesci.

Attenzione a non giocare sull’erba nettamente dipinta.

Una canzone conduce le pecore verso la stalla.

Vincente Huidobro, poeta cileno, 1917

Il mio nome è Guillermo e il mio sogno è la terra.

Vorrei una fattoria di famiglia, come nelle pubblicità. Mamma, papà, figli che coltivano i propri campi e accarezzano gli animali. La nonna sulla sedia a dondolo che snocciola le fave e dà consigli, perché anche lei ha avuto la sua terra e i suoi animali.

Forse il mio sogno si è impigliato da qualche parte su un’alpe svizzera. Di certo molto lontano da qui, da dove sto io, in terra azteca.

Qui si fa la guerra per l’oro verde, così chiamano quel frutto che nella lingua dei nostri avi significa invece ‘testicolo’, ahuacatl. Buono è, grasso e bello, fecondo, con un grande seme dentro che basta metterlo nell’acqua e ti caccia fuori le radici.

Il mondo lo ha scoperto quando ero un bambino io. È diventato di moda in California, poi in tutto il continente, adesso su tutto il pianeta. Merenda sana. Antipasto colorato, esotico. Nutrirsi bene, non ingrassare, non esagerare con la carne, lo dicono anche i medici.

E noi però moriamo. Ci ammazzano: ci minacciano e eseguono. Il testicolo fa più soldi della droga ed è legale, le mafie lo adorano. A noi manca l’acqua ma per lui dirottano i fiumi. Avevamo pomodori, peschi e susini, adesso abbiamo solo lui, l’oro verde.

Ma siamo gente che non grida, noi. Non ci sentirete.

La fatica è nostra, ma il frutto è degli altri; da sempre è così. Tutti pensano di comprare qualcosa, ma non si ricordano che si compra sempre a qualcuno. Bisognerebbe pensarci a quel qualcuno.

Hanno sequestrato mio fratello. Ho pagato il riscatto. Poi mi hanno chiesto: la vuoi adesso la nostra protezione? Che furbi, erano gli stessi. E noi giù a schiena bassa a strappare erbe, a cogliere frutti, a lucidarli e a spedirli. Poi torniamo a casa e ce lo sogniamo tutta la notte quel coglione verde, che beve come un vitello.

Il frutto

Arancia

Piccolo sole

tranquillo sopra la tavola,

mezzogiorno immobile.

Qualcosa gli manca:

notte.

Octavio Paz, poeta messicano, 1976

In tutta modestia devo dire che se Marilyn Monroe fosse un frutto sarebbe un avocado.

Non trovate anche voi che abbiamo quel qualcosa in più? Così lucidi, senza peli, all’ultima moda da decenni senza tramontare mai... Gli altri sono invidiosi, perché siamo i più coccolati, per tutta l’infanzia siamo annaffiati e tenuti al caldo, finché non diventiamo morbidi come il burro. Dicono che beviamo troppo, ma cosa credono, duemila litri d’acqua al chilo è il minimo per non rimanere rinsecchiti, magri e senza sugo, come certe attricette di oggi, non faccio nomi. Salus Per Acquam, lo dicevano anche i Romani... siamo appassionati di Spa, d’altronde dobbiamo prepararci per il gran ballo della pubertà. Scendiamo tutti dalla pianta che siamo giovani e sodi e pronti a entrare in società, poi delle signore vestite come i chirurghi ci strigliano e selezionano le élite. I più belli finiscono negli Stati Uniti, in Europa, in Cina, in qualche menu che mischia spiagge hawaiane e fitness; gli altri stanno a casa a fare la guacamole, beh non c’è niente di male, è buonissima la guacamole.

Io naturalmente sono partito per il grande viaggio, mi hanno messo in una scatola con scritto El Rey. Che sballo. Ero drogato dall’inizio alla fine, cosa non si fa per rimanere giovani. Un freddo che non vi dico... ma d’altronde per riscaldare una serra sotto casa si consuma ancor di più, quindi...

La compagnia, insomma, tutta frutta di provincia: le banane, che si credono perfette perché hanno l’imballaggio naturale, ma così verdine sembrano un po’ ridicole. I lamponi a lamentarsi ‘non schiacciarmi qui, non schiacciarmi lì che sono delicato’; saranno pure delicati, peccato solo per quei semini che ti si incastrano fra i denti... Mele, fragole, pomodori, viaggiano tutto l’anno, non sanno di niente e si vedono dappertutto: non se ne può più. Che dire poi di cipolle e patate che crescono in un posto, vanno a farsi pulire in un altro, tornano indietro tutte rifatte... Decisamente, restiamo noi la prima classe, con i nostri grassi salutari e le vitamine A, B1, B2, D, E, K, H e PP, non per niente pesiamo ogni giorno 5 tonnellate sulle vostre tavole, non male eh?

Poi lo sbarco, che emozione. Saliamo su un camion e entriamo in un immenso centro benessere dove ci sono le docce rivitalizzanti, per farci uscire dal letargo e maturare subito. Così poi ci trasportano nei supermercati, piega divina, silhouette perfetta: a voi sembrerà di coglierci direttamente dall’albero, parola mia.

La consumatrice

Sassate

Ho provato a parlare.

Forse, ignoro la lingua.

Tutte frasi sbagliate.

Le risposte: sassate.

Giorgio Caproni, poeta livornese, 1968

A me del mondo sembra che non ci capisco niente. Voglio aiutarlo, ma non so come fare. I miei colleghi, i miei vicini di casa, mi sembrano così lontani, così egoisti, ma come fanno?

Provateci, no?

Tutti a mandare foto, video: nessuno che racconta più.

Tutti a prendere la macchina, l’aereo: nessuno che cammina più.

Tutti a mangiare, scegliere il ristorante, andare alle degustazioni: e chi parla?

Io almeno ci provo. Vado in bus, compro solo cotone, al limite cachemire biologico, scelgo il prezzo più alto di ogni cosa perché voglio che vinca la qualità.

Anche nel cibo. Nessuno fa più differenza tra un pomodoro fatto di terra e di sole e uno fatto di ormoni di chimica. Invito i miei amici, li metto a tavola, apro il vino migliore. Metto nei piatti i colori, i paesi, le idee. Mi piace cucinare e fare la spesa. Vado nei negozi specializzati, mi piace scegliere.

Poi ieri sera arriva la ragazza di mio fratello a farmi le pulci: Non si dovrebbe, l’avocado... ho letto che un cosciotto d’agnello ha meno impatto... E poi anche gli anacardi sono raccolti dai tossicodipendenti detenuti in Vietnam... E a causa del boom della quinoa in Occidente i bambini peruviani adesso sono denutriti... Chilometro zero e di stagione!

Mi ha umiliata. Io volevo solo provare a fare qualcosa di buono e lei no, solo cavolfiori, perché siamo a febbraio.

A me sembra un’esagerazione. Davvero bisogna rinunciare a tutto? Non è importante anche il piacere? E non è un po’ troppo tardi per rifare il mondo? Io faccio già tanti sacrifici e sembra che non vada bene niente.

La feta, per esempio: non si dovrebbe comprarla perché è greca e fa i chilometri... però ho letto che sostenere le esportazioni dei prodotti tipici greci è il miglior modo per aiutare la Grecia. E se smettiamo di acquistare tutto ciò che viene dall’Africa, come pensiamo che possa svilupparsi? Cosa mi rispondete eh?

L’Italia

Allegria

Faceva freddo. Il vento

mi tagliava le dita.

Ero senza fiato. Non ero

stato mai più contento.

Giorgio Caproni, poeta livornese, 1950

È una bella storia, quella del cibo, una storia di coltura e di cultura. Una storia di fame, perché si provano le erbe, le bacche, i pesci, i molluschi, i funghi, gli animali e tutti i frutti prima di tutto per fame. Poi una storia di ricchi, che impastano i profumi e i gusti e infine una storia che diventa di tutti, quelli che mangiano ancora per fame e quelli che mangiano ormai per “fare un’esperienza”.

Una storia di vita, prima di tutto.

Non voglio vantarmi, però credo che se il cibo parlasse in tutto il mondo, parlerebbe italiano, come la musica e l’arte. Allora vorrei dire anche io qualche cosa: io sono la madre di orzo, fichi, fave e piselli. Gli ulivi, la vigna, le prugne, sono tesori che spuntano dalle sue viscere. I romani mi hanno portato dall’Armenia un frutto che chiamarono mela armena, in latino Prunus armeniaca. Oggi noi la conosciamo come albicocca. Nel Cinquecento ho adottato la patata, il mais, il pomodoro. Oggi chi vuole se li pianta nell’orto. Secoli prima erano arrivati da Oriente lo zucchero, che all’inizio chiamavamo ‘il sale degli arabi’, e le spezie che usiamo per illuminare un piatto.

Gli ingredienti viaggiano da sempre. Pensate che da poco mi sono anche messa a figliare frutta esotica e persino l’assetato avocado, non prendetela come una cafoneria o una concorrenza sleale: i testicoli degli aztechi possono impiantarsi nei fertili solchi dei siculi...

Perché? Perché sono fatta di terra, di luce e di acqua. Perché devo nutrire. Perché voglio continuare a cantare mentre metto in tavola e a raccontare mentre mischio e cuocio e distribuisco.

Ogni pasto per me è la festa del pescatore e del contadino. A lui dico grazie e a voi buon appetito.