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Caro 2020…
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Caro 2020…

di Emma Nicolazzi Bonati

Ormai è passato più di un mese dall’inizio di questo nuovo anno, che nel 2020 guardavamo con speranza, lo caricavamo di aspettative, ci auguravamo che il suo arrivo avrebbe almeno in parte liberato il mondo da quella sensazione di costante emergenza che si respirava nell’aria, seppur filtrata dalle mascherine. Purtroppo, come immaginavamo, nonostante l’arrivo dei vaccini, il numero dei contagi e dei morti continua a rimanere troppo alto e la fine della pandemia ci sembra sempre più lontana.

In questi giorni mi domando spesso cosa vogliamo fare, quale scelta vogliamo compiere, con quale “verso” vogliamo contribuire a rendere davvero quest’anno un anno migliore. Il 2021 non deve essere usato come un bianchetto per cancellare il 2020, ma piuttosto farsi matita per progettare, penna per proseguire il racconto. Il 2021 deve essere un ponte, non un muro.

Pochi giorni fa ho ritrovato una breve riflessione che avevo scritto qualche ora prima che terminasse il 2020. Avevo bisogno di sfogarmi un po’, fissare alcune idee e rivivere qualche sensazione. È un testo personale, ma che voglio condividere con voi, lettori di Eureka, perché in questo momento in cui i contatti sono notevolmente ridotti penso che questo giornalino permetta davvero di recuperare, almeno in parte, quel confronto e quella condivisione che sentiamo esser venuti meno a causa della pandemia. Magari qualcuno può in parte ritrovarsi in quello che ho vissuto e donarci anche la sua “testimonianza”.

 

Io non so se sono pronta. Non so se sono pronta a dire per sempre addio a questo 2020.

 

È iniziato come un anno “normale” e poi in pochi mesi tutto è cambiato, drasticamente ed irreparabilmente. Abbiamo visto morire parenti, amici, uomini e donne, giovani e anziani, senza poter fare nulla, senza poterli neppure salutare. Abbiamo visto medici, infermieri ed infermiere prendere in mano la situazione e fare di tutto per salvare vite umane, a costo di perdere la propria. Siamo stati chiusi in casa, abbiamo smesso di andare a scuola o al lavoro, abbiamo forse conosciuto meglio i nostri vicini di casa, l’edicolante e il commesso del supermercato. Ci siamo sentiti più vicini, anche se necessariamente più distanti. Ci siamo resi conto del fatto che non possiamo davvero controllare nulla perché tutto può crollare, mutare, trasformarsi in pochi istanti. Ci siamo resi conto che quel cambiamento che tanto invochiamo ci piace quando siamo noi stessi a sceglierlo, non quando ci viene imposto da un evento esterno. Ci siamo resi conto che siamo molto più indifferenti di quanto pensassimo. Indifferenti nei confronti del mondo, dell’ambiente, di amici, parenti, conoscenti e sconosciuti, ma anche verso noi stessi. Siamo distratti, mai completamente presenti. Perché c’è sempre qualcosa da fare, qualche impegno da prendere, qualche messaggio a cui rispondere. Non eravamo più capaci di mancarci, perché ci davamo per scontati.

Stare lontani, obbligatoriamente distanti, prima chiusi in casa, poi ad almeno un metro di distanza, ci ha fatto capire che quell’abbraccio era più importante di quanto immaginassimo, che quel sorriso valeva più di tutti i messaggi, che anche i calci del tuo compagno di banco, in fondo, erano un elemento significativo della giornata.

Questo 2020, però, ci ha anche fatto capire che, se vogliamo, possiamo. Se ascoltiamo, capiamo. Se ci guardiamo un po’ di più, ci rispettiamo anche un po’ di più.

 

Mancano poche ore al concludersi di questo strano anno. Mi chiedo: cosa mi porto dietro?

Perché qualcosa ci portiamo sempre dietro, no? Le esperienze si sommano, si moltiplicano, si fondono, diventano parte di noi, una massa omogenea di colori, profumi, sensazioni che ci ricopre dalla testa ai piedi e di cui non possiamo spogliarci.

Mi porto dietro una maggiore consapevolezza di me stessa. Mi porto dietro tanta voglia di mettermi in gioco, tanta voglia di fare e di credere nella possibilità di imparare ad essere esseri umani.

Mi porto dietro il profumo della libertà che ho sentito la prima volta che dopo il lockdown sono uscita di casa per fare una passeggiata e sono andata a piedi davanti alla mia scuola, dopo mesi che uscivo solo per portare fuori il cane. Mentre passeggiavo ho sentito dentro di me qualcosa di nuovo. C’era il sole, era una bella giornata. Per le strade non c’era praticamente nessuno, ho incontrato solo tre persone. Poi sul Lungo Parma sono scoppiata a piangere. Ho sentito la libertà ma anche l’impossibilità di essere libera davvero, tutto in una volta. In tutto ciò che ho (ma credo anche che abbiamo) vissuto c’è qualcosa che mi porto dietro e qualcosa che non mi porto dietro, che non ho potuto vivere. In un modo o nell’altro, però, mi porto dietro anche ciò che non posso portarmi dietro. Siamo fatti di pieni e di vuoti, di presenze e di assenze.

Mi porto dietro la consapevolezza che alcune mancanze non vanno riempite.

Mi porto dietro persone che ci sono sempre state, che dentro e fuori dal lockdown sono state un punto di riferimento, e che ringrazio infinitamente per questo. Spero di esserci stata allo stesso modo per loro. Mi porto dietro rapporti diversi con le stesse persone. Mi porto dietro la consapevolezza che i rapporti cambiano, che bisogna fare di tutto per mantenerli vivi e veri, ma che a volte si chiedono cose diverse da uno stesso rapporto e non ha senso forzare tutto.

Eppure, è stato anche un anno di nuove conoscenze. Ci si incontra sempre per caso ma ci si perde sempre per scelta, anche quando si pensa che sia solo colpa delle circostanze. No, non penso sia così. Quando ci perdiamo è perché non abbiamo voluto non perderci, perché altrimenti avremmo fatto in modo che non accadesse. Questo vale sia per nuove conoscenze che per amicizie consolidate da anni.

Penso sia sempre un peccato perdere l’opportunità di conoscere qualcuno. Siamo più di 7 miliardi su questa Terra, quindi siamo più di 7 miliardi di mondi da scoprire e, a maggior ragione perché non potremo mai conoscerci tutti, perché sprecare le poche possibilità che capitano nella vita?

Il 2020 mi ha insegnato che c’è un momento opportuno per ogni cosa, ma il momento giusto a volte lo scegli tu, lo devi scegliere tu, perché è più importante “come vanno le cose” che “come dovrebbero andare” o “come gli altri vorrebbero che andassero”. È necessario correre dei rischi. È necessario parlare di più ed ascoltare di più.

Quest’anno mi ha fatto capire che, anche se è fondamentale avere dei dubbi, talvolta i dubbi corrodono le possibilità e le corrodono talmente dolcemente che non ce ne accorgiamo neppure.

La vita è bella perché, finché è vita, si può sempre rincominciare tutto o incominciare qualcosa.

Bisogna farsi spazio in questo strano ed affollatissimo mondo. Bisogna trovare e prendersi il proprio spazio.

Mi porto dietro delle belle passeggiate, con amici o da sola.

Mi porto dietro il desiderio di fare una cena in casa con qualche amico, di guardare un film sul divano e ascoltare la musica insieme.

Mi porto dietro la voglia di togliermi la mascherina senza preoccuparmi di nuocere alle persone che ho vicino e a me stessa.

Mi porto dietro il desiderio di ballare per le strade, assembrati, vicini e senza preoccuparsi di virus e distanze di sicurezza.

Mi porto dietro la fortissima necessità di coltivare la bellezza, tutti i giorni, in tutti i modi possibili, e di reinventarsi ogni qualvolta lo si ritenga necessario.

Mi porto dietro l’incommensurabile voglia di abbracciare mia nonna.

 

E poi soprattutto mi porto dietro la consapevolezza che tutti dobbiamo fare la nostra parte, perché nonostante possa apparire piccola ed insignificante, invece è il cardine dell’essere presenti, a noi stessi e al mondo. Tutti dobbiamo partecipare, nelle nostre capacità e possibilità, e solo così è possibile il progresso, un progresso sano, umano e sostenibile.  

Siamo parti di ingranaggi che si incastrano perfettamente solo se collaboriamo e se ci offriamo agli altri accogliendo ciò che ci offrono. Siamo amici solo se ci sentiamo tali e come tali partecipiamo della nostra amicizia insieme, costruendola giorno dopo giorno, ascoltando le esigenze dell’uno e dell’altro. Siamo genitori e figli solo se accettiamo le nostre esistenze come complementari e, di conseguenza, costruiamo insieme il nostro rapporto. Siamo cittadini solo se ci sentiamo parte della comunità città e, quindi, vi partecipiamo. Siamo italiani solo se ci sentiamo Italia e, quindi, vi prendiamo parte insieme. Siamo europei solo se ci sentiamo Europa, siamo cittadini del mondo solo se ci sentiamo Mondo, siamo esseri viventi solo se sentiamo di far parte della Natura. Se non sentiamo nulla di tutto ciò, siamo solo sacchi di carne ed ossa che camminano.

Non dobbiamo avere paura di sentire, di sentirci, di provare emozioni diverse, intense e forti, per quanto talvolta possano essere contrastanti e strane.

 

Caro 2020, hai portato tanto dolore e tanto male. Eppure, hai segnato una svolta. Sta a noi decidere se in meglio o in peggio, è nostra responsabilità, non tua.