Nuovi movimenti
religiosi
I rischi di una deriva settaria
La novità ecclesiale dei nuovi movimenti religiosi, «uno dei frutti più significativi – come ebbe a dire Giovanni Paolo II – di quella primavera della Chiesa, già preannunciata dal concilio Vaticano II», dopo l’emersione degli abusi nella Chiesa, che in certa misura li ha coinvolti per ragioni strutturali, ecclesiologiche e teologiche, rischia di volgere verso derive settarie. Il frutto potrebbe marcire prima di maturare. Non basta la bontà del carisma delle origini, serve il tempo storico della crescita. Come non basta il solo riferimento a Pietro quale garanzia. Il testo del vescovo Franco Giulio Brambilla illustra bene la necessità di una più compiuta ecclesiologia di comunione, che tenga assieme la partecipazione alla vita di tutta la Chiesa e della Chiesa di tutti con l’appartenenza al proprio gruppo elettivo. Così come una teologia che componga e distingua il rapporto tra incarnazione e trascendenza. Perché serve una più compiuta relazione tra carisma, istituzione e leadership.
N
egli ultimi anni sono apparsi diversi interventi per monitorare, raccontare e curare i sintomi di derive settarie nella Chiesa e di reiterati abusi spirituali, perpetrati da alcuni leader di aggregazioni, associazioni e movimenti, ma non solo, nei confronti dei loro membri. I racconti sono sconvolgenti e si distendono su diversi decenni, taluni risalendo a prima del Concilio, non sempre però accompagnati da un rigoroso senso storico nella valutazione dei comportamenti e dei rispettivi meccanismi di giustificazione.
Due fenomeni sono osservabili a occhio nudo e domandano una decisa presa di posizione.
Il primo è lo scandalo in ampi strati di credenti sensibili e di persone attente alla missione della Chiesa, che ha provocato come riflesso antalgico la «tolleranza zero», comprensibile e persino necessaria per mettere in sicurezza gli spazi educativi e operativi, tuttavia meno efficace per provvedere a una riforma delle nuove forme di aggregazione ecclesiale, sia sul lato dei fondatori, sia sul versante degli adepti dei movimenti. Nel caso poi di abusi spirituali e delle loro conseguenze, l’asportazione del tumore della violenza inferta nel segreto delle coscienze e nell’intimità dei corpi (con gravissime ferite relazionali, sessuali ed economiche) si rivela sempre più insufficiente al recupero di un sereno, fruttuoso e trasparente cammino delle nuove forme di vita cristiana.
Il secondo è lo stupore attonito di molte persone che si erano affidate in buona fede a tali percorsi di vita cristiana e d’impegno missionario e che si trovano traditi nella loro fiducia e svuotati nei loro ideali. I numeri dei membri delle nuove aggregazioni sono sovente molto alti, registrano la presenza di tanti giovani, e in ogni caso di persone alla ricerca di autenticità e dotati di straordinaria generosità. Vederli oggi quasi espropriati dell’intuizione del «carisma» originario, perché i loro fondatori si sono rivelati personalità seduttrici, e talvolta persino devianti, domanda con insistenza un’opera di chiarificazione per distinguere la zizzania dal buon grano e un’azione di pulizia che metta in guardia da un uso spregiudicato dell’argomento che «dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7,29).
I frutti buoni non sono una prova dell’autenticità di un carisma, ma solo un segno, perché sono soggetti alla verifica del tempo. La situazione cruciale è l’emergere della seconda generazione, dopo il venir meno dei fondatori. In quel frangente avviene il passaggio dal momento «oracolare» del carisma al momento «istituzionale», dove i nuovi venuti, ignari dei modi dell’origine, hanno da fare sempre da capo l’ardito cammino tra la lettera del fondatore e lo spirito che lo animava.
Tre testi recenti di taglio diverso si sono aggiunti al disagio diffuso e hanno chiamato in causa la responsabilità del ministero dei pastori, spesso censurati per il loro silenzio e la loro ignavia. Mi sono sentito interpellato a intervenire in modo sintetico. Lascio volentieri ai saggi che citerò l’onere della documentazione analitica e il carico della riflessione critica.
Tre provocazioni
Il primo è di una giornalista, Céline Hoyeau, e si riferisce quasi esclusivamente all’area francese.1 L’autrice si prende la briga di ricostruire la trama e la narrazione di movimenti e associazioni che hanno attraversato la Francia come un tornado negli ultimi 70 anni, affondando le loro radici fin prima del Vaticano II. Sorprende seguire la narrazione sconvolgente di chi, essendo stata membro della comunità forse più problematica, si affranca con un percorso di chiarificazione, alla ricerca paziente, obiettiva e senza pregiudizi delle cause, delle circostanze storiche, delle reticenze e delle acquiescenze del mondo ecclesiastico e dell’opinione pubblica.
A uno sguardo esterno, meraviglia non poco il successo sbaragliante di questi leader seduttivi, intelligenti, superdotati, trascinatori, con al seguito numeri a tre cifre di vocazioni maschili e femminili, e un vasto numero di laici, messi a confronto con una Chiesa, quella francese, che nello stesso tempo registrava seminari vuoti, una pratica che stava perdendo il contatto con la gente e diventando sempre più elitaria. Il «tradimento dei padri» – questo è il titolo del volume – esce in piena pandemia nell’originale francese ed è appena stato tradotto in italiano. È una testimonianza accorata, intrisa di pathos, senza sconti, elaborazione di un lutto patito e superato dal di dentro, istruttiva anche per la nostra situazione italiana.
Sui manipolatori
Il secondo testo è a firma di un prete, Pascal Ide, laureato in Medicina, in Filosofia e Teologia, per 13 anni officiale della Congregazione per l’educazione cattolica, con una bibliografia attenta alle malattie e ai percorsi di guarigione dell’esperienza credente di preti e laici. La sua opera è scientifica, ed è scritta con il metodo di domande e risposte, con un vasto apparato di note e una nutrita bibliografia, in lingua francese e purtroppo non tradotta.
Porta il significativo titolo di Manipolatori. Le personalità narcisistiche. Riconoscere, comprendere, agire.2 Ha visto la luce nel 2016 e mette in guardia con largo anticipo di fronte a guide, fondatori, maestri, ma anche persone che, nella relazione quotidiana, familiare e professionale, manifestano un tratto fortemente narcisistico e talora anche con derive perverse. Una lunga trattazione enumera persino 30 criteri per riconoscerle (détecter), ne ricostruisce la genesi elencando (comprendre) fattori personali, sociali, relazionali (anche sul versante delle vittime), illustrando la «ragnatela» narcisistica di chi vi sta attorno.
Nella seconda parte dell’opera l’autore tenta uno sguardo cristiano ed ecclesiale, per terminare con un capitolo (agir) sulle strategie d’intervento di fronte a tali personalità, con un’umile percezione delle possibilità e dei limiti di un’azione terapeutica.
Le sètte «sorelle»
Il terzo testo, infine, si compone di due volumetti, tra loro complementari, sulle modalità settarie d’appartenenza a comunità e movimenti ecclesiali in Italia (le sètte «sorelle») e sul riconoscimento di figure manipolatrici per prevenirle (l’abuso spirituale).3 L’autore, Giorgio Ronzoni, è un pastoralista attento e molto informato, che s’incarica con coraggio di delineare la situazione italiana, descrivendo i «caratteri settari» dei movimenti ecclesiali che, a partire dal pontificato di Giovanni Paolo II, sarebbero stati considerati come i protagonisti della reconquista cattolica della società. Tale tratto però è troppo generico per assumerli tutti sotto uno stesso denominatore, identificandone un profilo comune.
L’autore più oggettivamente parla di «nuovi movimenti religiosi» (NMR) puntando a fornire alcuni indicatori oggettivi, la cui presenza o assenza, non necessariamente la totalità di essi, fornisce una mappa di comportamenti, azioni e convinzioni, che orientano nella diagnostica di una deriva più o meno «settaria» del gruppo. Gli indicatori sono delineati a servizio della riflessione di carattere prevalentemente pastorale, per testare l’ecclesialità di questi gruppi. Più focalizzato sul tema dell’abuso spirituale è il secondo volumetto, che è impreziosito dalla ricchezza di molti studi già dedicati da tempo all’argomento nell’area anglosassone, francese e tedesca, dove la concorrenza di aggregazioni carismatiche di altro segno è molto forte.
Facendo tesoro di questi tre testi, e della vasta bibliografia in essi contenuta, l’obiettivo della mia breve riflessione è più limitato. Intende fornire 5 criteri da assumere come indicatori, non solo per «testare» e comprendere modalità settarie che possono toccare la pratica cristiana e pastorale dei NMR e dei loro leader, ma anche come indizi di atteggiamenti che possono infiltrarsi persino nelle comunità cristiane (parrocchiali e giovanili). Le dinamiche presenti in modo acuto nelle nuove forme di comunità attraversano anche i modi di aggregarsi della società, talvolta fortemente dipendenti da leader manipolatori.
Primo criterio: il rapporto tra carisma,
istituzione e leadership
La novità dei NMR esplode dopo il Vaticano II, ricevendo la sua consacrazione nella Pentecoste del 1998, quando Giovanni Paolo II parlò di «uno dei frutti più significativi di quella primavera della Chiesa già preannunciata dal concilio Vaticano II».4 Il card. Joseph Ratzinger ne disegnò il quadro teologico,5 affermando che la natura e il compito dei movimenti era quello di comprendersi direttamente in riferimento al «detentore di un ministero ecclesiale universale, nel papa, quale garante dell’invio missionario e dell’edificazione dell’unica Chiesa».6 Di conseguenza, «il primato del successore di Pietro esiste al fine di garantire queste componenti essenziali della vita ecclesiale e connetterle ordinatamente con le strutture delle Chiese locali».
I movimenti ecclesiali postconciliari vengono inquadrati in tali servizi e missioni, in funzione della dimensione universale della successione apostolica: «Il papa ha bisogno di questi servizi, e questi hanno bisogno di lui, e nella reciprocità delle due specie di missione si compie la sinfonia della vita ecclesiale».7
Collocati in questa sontuosa cornice, i movimenti hanno ricevuto una legittimazione d’alto profilo, inquadrandoli come «funzionali al ministero petrino», non solo con il pericolo più volte registrato d’entrare in conflitto con la vita delle Chiese locali, che nel postconcilio stavano ricuperando la rinnovata concezione sacramentale ed evangelizzatrice della loro missione, ma soprattutto col rischio di oscurare l’occasione di nascita del loro carisma.
Si è creato un corto circuito tra la «genesi storica» del carisma originario (gli ambiti della vita umana: il lavoro, la scuola, la famiglia, la missione, la pace, i poveri ecc.) e la «funzione universale» dei movimenti, forse troppo precipitosamente attribuita al loro slancio che sembrava presentarsi come missionario, mentre talvolta occultava anche un tentativo d’indipendenza nei confronti delle Chiese locali.
Nella dialettica tra carisma e istituzione, era rischioso mettere l’elemento carismatico solo a vantaggio dei movimenti e l’elemento istituzionale solo a carico delle forme tradizionali di comunità. Soprattutto è stato facile notare che, nel breve volgere di tempo, la deriva portava i NMR a trasformarsi in esperienze totalizzanti di Chiesa, con vistosi tratti di «Chiesa parallela». È in questo terreno di coltura che, per fortuna non in tutti, ma in diversi gruppi e movimenti, la figura del leader carismatico ha favorito lo sviluppo di alcune patologie che, dopo solo cinque lustri da quella data emblematica, hanno presentato il conto.
Il leader seducente, seduttivo, seduttore
Nella crisi attuale dell’elemento carismatico nella Chiesa, balza in primo piano la figura del leader che da seducente corre il serio rischio di diventare seduttivo e persino seduttore. La differenza non sta tanto nelle sfumature del linguaggio, quanto nell’esercizio concreto della guida da parte dei fondatori di comunità. Per chiarificare sin dall’inizio la differenza tra i due tipi di fondatori, cerco di descriverne le diverse figure e la dinamica di trasmissione dell’intuizione originaria del carisma.
La prima figura di fondatore (seducente) attrae i suoi membri in un cammino di vita cristiana, spesso a partire dalla pratica di un ambito di vita concreto (si pensi a scuola, professione, famiglia), ma si prefigge lo scopo di metterlo in autonomia, per affrancarlo dal legame esclusivo di dipendenza e metterlo nel mare aperto della testimonianza. L’obiettivo del percorso di vita proposto nel movimento è di costruire un credente cristiano che può esportare la sua fede anche nei contesti diversi in cui sarà chiamato a vivere, nella famiglia e nella società.
La testimonianza cristiana matura mantiene ancora legami buoni (ecclesiali appunto), ma non li lega a un vincolo unilaterale con il fondatore e la sua cerchia. La fede dei membri resterà riconoscente del cammino che l’ha generata, ma non rimarrà dipendente dalle condizioni pratiche che l’hanno vista sorgere. In tale figura la relazione con il fondatore e l’appartenenza al gruppo o movimento saranno secondari, nel senso letterale che vengono per «secondi» rispetto alla relazione con il Signore: la prima conduce alla seconda, ma non si confonde mai con essa, anzi può essere vissuta anche in altro contesto.
La seconda figura di fondatore (seduttivo) attrae i membri del movimento e del gruppo nella sua orbita, creando un legame vischioso e personalistico, diventando regista indiscutibile d’ogni azione ed esperienza della comunità, forgiando un linguaggio verbale e gestuale di riconoscimento reciproco, stabilendo distanze e vicinanze d’approvazione e d’accoglienza in base alla relazione con sé. L’elemento caratteristico consiste nel vincolare a un’esperienza totale e totalizzante, insinuando l’idea, e rimarcandola continuamente con inclusioni ed esclusioni, che quella forma di vita sia il modo migliore per vivere la testimonianza cristiana.
Tale figura di fondatore metterà di fatto al primo posto l’appartenenza al movimento rispetto al rapporto personale e personalizzante con il Signore, sottolineando che le due relazioni si fondono sino a confondersi. L’esperienza del gruppo o movimento è presentata come singolare, ma alla fine s’insinua l’idea che è anche l’unica, fino a esporla al rischio che abbandonarla significhi indebolire la propria testimonianza cristiana e andare incontro al rischio di perdere sé stessi.
Dal narcisismo alle derive
Questi due idealtipi di leader fondatori sono oggi messi in crisi da molte esperienze drammatiche, fino a tratteggiare figure di fondatori seduttori e narcisisti, autori di «abusi spirituali» (prima che relazionali, sessuali, familiari ed economici) fino alla perversione.
Nella loro diversità, gli studi citati all’inizio si sforzano di ricostruire gli strumenti per indagare le cause, le caratteristiche, le modalità che consentono di identificare queste figure: con l’intento di riconoscerle per prevenirle. Va da sé che la fenomenologia del disagio e persino della devianza non vuole generalizzare, ma anzi intende mettere in salvo le «figure di fondatori» che restano un dono grande per la vita cristiana ed ecclesiale, quando non sequestrano il carisma, né lo incarnano presentandosi come gli unici interpreti in corpore vivo. In ogni caso tre aspetti sono decisivi per scoprire un leader seduttivo: i caratteri d’identificazione del fondatore narcisista, i meccanismi di manipolazione e d’abuso e i rimedi per il loro contenimento.
Anzitutto, la fenomenologia dei caratteri identificanti dei fondatori seduttivi è assai varia. Gli autori ricordati, che riprendono a loro volta la bibliografia accreditata sul tema, ne illustrano alcune costanti. L’attenzione fondamentale è di non sovrapporre fondatore attraente, leader seduttivo, personalità narcisistica, abusatore spirituale con derive perverse. È facile intuire che il ventaglio di caratteri positivi del fondatore di nuove comunità può esercitarsi in modo tale da scivolare in una relazione seduttiva, connotata da tratti narcisistici, talora perversi, fino a cadere nell’abuso spirituale d’autorità, da cui seguono sintomaticamente gli altri abusi sessuali, relazionali, familiari.
Il «fondatore carismatico» appare personalità seducente, illuminata, autorevole, forte, dinamica, molto dotata intellettualmente e d’intensa abilità relazionale, capace d’ascolto, intuitiva, sensibile e affettiva, misericordiosa, in sintesi una persona luminosa e attraente.8 Questa forte dotazione personale, tuttavia, può utilizzare i propri di talenti come «struttura di potere», rivelando taluni aspetti narcisisti e manipolando le relazioni a proprio vantaggio, talvolta anche in buona fede.
L’inizio promettente del fondatore subisce pian piano una trasformazione alla prova dei fatti e incalzato dal consenso e dalla narrazione dei membri del gruppo («cerchio magico»). Ciò accade quando non riesce ad accettare il proprio limite, strumentalizza gli altri, fatica a uscire dallo specchio del proprio ego, e usa i seguaci come conferma della stima di sé.
Il momento genetico di un movimento carismatico andrebbe meglio indagato, anche per individuare le dinamiche di rinforzo degli aderenti, la loro tipologia psicologica prevalente. Inoltre, la sovrastruttura ideologica mediata da linguaggi identitari e formule ripetitive, il successo talora clamoroso del numero delle vocazioni, il crescere dei simpatizzanti, accompagnato dalla forzatura dell’argomento dei «frutti buoni», costruiscono intorno al leader un’aura sacrale che insensibilmente lo trasforma in capo seduttivo.
Un ego sovradimensionato,
un io sottosviluppato
I tratti di una «personalità narcisista» inoltre possono aggravare la figura del fondatore seduttivo, rinforzandone silenziosamente gli aspetti devianti, fino a diventare persino tossici e perversi. I criteri per testare le personalità narcisistiche sono molteplici. Chi si è dedicato a enumerarli ne elenca fino a 30, poi ricorda i 9 censiti dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali,9 per concentrarsi alla fine su 3 connotazioni essenziali.10
Queste si fondano su un nucleo egocentrico, che nutre in maniera smodata il sentimento del proprio valore, rendendolo incomparabile con gli altri: 1) il narcisista si premura d’attirare un’attenzione pari al suo valore immaginario; 2) vanta diritti propri, diventa trasgressivo, manipola l’informazione, risulta mendace; 3) costruisce intorno a sé un mondo senza l’altro, mancante di compassione e gratitudine, anzi insensibile alla sofferenza dell’altro, fino a strumentalizzarlo ai suoi progetti e al suo ego, peraltro assai fragile e bisognoso di riconoscimento e d’incenso.11
Circondato da una numerosa corte di ammiratori, incapace di vera amicizia, il narcisista ha spesso un’interiorità evanescente, ed è perciò aduso alla manipolazione, con un linguaggio vago, colpevolizzante e allusivo.
In secondo luogo, occorre riconoscere i meccanismi di manipolazione del fondatore seduttivo e ancor più narcisista, che può assumere aspetti talvolta perversi. È evidente che non ogni narcisista lo è. Pertanto occorre indicare l’aspetto qualificante di quest’ultimo.
Si riconosce per la sua attitudine manipolatrice, di cui è possibile descrivere i tratti significativi, al seguito di M. Andersen:12 esclusione, imposizione, isolamento, non rispetto del territorio, rifiuto del dialogo, reificazione, inversione, negazione, plagio, potere d’influsso.
Non sembri un affresco a tinte scure, perché le caratteristiche riportate non rilevano esclusivamente il lato oscuro, ma funzionano in modo ambivalente con le doti positive del narcisista: egli è persona che fa il bene, ha doti di parola, ma talvolta le usa in modo distruttivo; è abile nella relazione, sembra persino empatico, ma è insensibile alla sofferenza altrui; ha un ego ipertrofico, ma presenta un io assai fragile.
In lui è distinguibile un io (nucleo autentico) e un ego (l’apparenza o la maschera). La conclusione di Ide è lapidaria: «La personalità narcisista costruisce un ego sovradimensionato su un io sottosviluppato» e la illustra con un’immagine: «La patologia del narcisismo si presenta come una moneta a due facce: lato croce, il più apparente, l’ego ipertrofico che divora ogni altro, fino alla distruzione; lato testa, più nascosto, l’io atrofizzato, fino all’evanescenza».13
L’abuso spirituale
Proprio questo meccanismo del narcisista (perverso) generatore d’instabilità è il buco nero in cui il fondatore di comunità può precipitare con l’abuso spirituale o di autorità. L’oscillazione descritta nella personalità narcisista è il terreno propizio per questo genere d’abuso, che si rivela sempre più, nella letteratura degli ultimi anni, come la radice di ogni ulteriore abuso.
La ricostruzione di G. Ronzoni lo evidenzia bene,14 perché a partire dalle ferite degli abusi sessuali, familiari, relazionali, persino economici, si è risaliti alla mala pianta dell’abuso (di potere) spirituale. Eccone la definizione euristica di F. Genn: l’abuso spirituale consiste in «un abuso di autorità e/o di potere in ambito religioso, l’appropriazione indebita, da parte del colpevole, della relazione di una persona con Dio per soddisfare i propri bisogni e obbiettivi che danneggiano il rapporto con Dio di quella persona».15
La modulazione degli abusi ha gradi diversi che vanno dalla negligenza spirituale della vittima alla manipolazione e poi alla violenza spirituale del superiore, che impone isolamento, rottura con la famiglia e gli amici, pratiche ascetiche come il digiuno o un lavoro umiliante, fino alla somministrazione di false terapie mediche e persino esorcismi. La scena è raccapricciante e può installarsi come un vero e proprio «sistema di abusi», che due autori francesi hanno descritto come una cipolla a più strati: la comunità che accoglie; lo stato euforico dell’inizio; il ritmo frenetico di vita; mancanza di spirito critico e di rispetto dell’intimità; sorveglianza e intrusione esagerata; doppio comportamento del leader e del cerchio magico.16
Proprio questo carattere sistemico consiglia, a mio giudizio, di non concentrarsi solo sul leader manipolatore17 o sulla vittima abusata,18 ma precisamente sul meccanismo «trappola» già a suo tempo ben descritto da D. Johnson e J. van Vonderen.19
Infine, occorre dire una parola sui rimedi per il contenimento dei fondatori seduttivi e del «sistema di abusi». Due rimedi sono stati proposti in anni recentissimi: la durata in carica a tempo dei fondatori (non più di due mandati di seguito);20 la rigorosa distinzione di foro interno e foro esterno.21
A essi ne va aggiunto un terzo, che bisogna attuare già nel periodo fondativo di un gruppo o movimento, e in ogni caso ha da essere aggiornato nel passaggio alla seconda generazione, mediante l’approvazione ecclesiastica degli Statuti, prestando attenzione alla suddivisione dei poteri e delle competenze (responsabile, economo, consiglieri ecc.) delle singole comunità e promuovere l’oggettivazione dei processi decisionali negli organi direttivi del movimento.
Ora i primi due rimedi sono stati ripetutamente richiamati e codificati da papa Francesco; il terzo rappresenta un elemento tradizionale degli antichi ordini religiosi o delle associazioni ecclesiastiche, ma è stato disatteso nel momento fondativo dei movimenti, rivendicando di fatto l’equivalenza di carismatico e spontaneista.
La storia insegna, come ad esempio avvenne nel francescanesimo con l’ingresso nel movimento di ministri ordinati e teologi e la sua diffusione a macchia d’olio, che il momento carismatico ha bisogno dell’elemento istituito, non solo per instradare la sua forza propulsiva, ma per non disperdere la sua energia in schegge vaganti. Anche per il fenomeno relativamente nuovo dei NMR non si può dimenticare la sapienza storica che viene dalle confraternite e corporazioni laicali. Per il resto i tre rimedi proposti sono ancora nella linea pastorale e canonica e necessitano di un’integrazione più profonda a livello teologico e culturale.
Secondo criterio:
le parole e i gesti identitari
Il secondo criterio riguarda le parole e i gesti della fede con cui si esprime la pratica dei NMR. Prima ancora di parlare dei loro aderenti e del meccanismo di rinforzo che essi esercitano sui leader seduttivi, è necessario fare un ingrandimento sulla pratica di vita dei nuovi movimenti e comunità.
È sintomatico che negli studi citati questo capitolo sia poco o nulla considerato, vuoi perché forse è difficile monitorare i comportamenti dei membri dei NMR, vuoi anche per una preclusione ideologica che riduce l’essere cristiani alle intenzioni e alle proclamazioni ideali e che ha una comprensione sentimentale della pratica credente. Basta però solo riflettere sul fatto che il cristianesimo è anzitutto una (buona) pratica, la quale non solo traduce nel concreto una verità saputa a monte nell’impegno storico della fede e della carità, ma è proprio il luogo in cui si costruisce la propria figura cristiana.
Per oltre 15 secoli, prima della separazione di dottrina (e morale) e vita secolare la circolarità di teoria e prassi era strettissima. Per di più, le forme pratiche non servono solo a esprimere l’identità singolare dei NMR, ma hanno anche la funzione d’incrementare l’appartenenza al sentire del gruppo. Esprimersi con quei linguaggi, fare quei gesti devozionali, celebrare in quel modo, cantare quei canti, frequentare quegli impegni caritativi, condividere alleanze o contrapporsi ad altri gruppi, sono tutte forme pratiche per rimarcare l’identità e l’appartenenza al movimento.
Per questo è utile soffermarsi sui linguaggi, sulle pratiche devozionali, sul modo di celebrare e sugli interventi culturali, caritativi e sociali dei NMR: non ci interessa la completezza della documentazione, ma il carattere sintomatico delle loro pratiche per testarne l’eventuale deriva particolaristica o, al limite, settaria.
Il linguaggio verbale è la prima forma che configura l’appartenenza a un gruppo. Questo non vale solo per i movimenti, ma per ogni forma aggregativa che mira a circoscrivere un gruppo identitario. Con divertita ironia è capitato più volte di descrivere amabilmente tali appartenenze movimentistiche, mimando la lingua e i gesti utilizzati dai suoi membri. Alla terza parola è facile intuire a chi appartiene un adepto di associazione, movimento, comunità, come parla, canta, si veste, agisce, persino con quali tic si comporta.
In ogni periodo della storia le nuove formazioni ecclesiali hanno sempre tentato l’omologazione dei linguaggi e comportamenti. È singolare che il Credo, il simbolo della fede – dall’antichità fino al moderno – sia stato considerato una tessera d’identità e d’appartenenza, prima che una professione di verità.
Solo chi confessava lo stesso simbolo da Lione (Ireneo) a Cesarea (Eusebio) poteva dirsi «cattolico» e in «comunione» tra le Chiese. Pur mantenendo la particolarità linguistica dei simboli delle diverse Chiese, la struttura (trinitaria) di fondo del Credo era la medesima e sopportava varianti significative. In ogni caso, però, l’elemento «cattolico» dei linguaggi riguardava la dottrina oggettiva, persino con termini che potevano diventare dirimenti (homoousìa, natura, persona).
I linguaggi gestuali
Nei movimenti di riforma, invece, non solo quelli contemporanei, bensì anche quelli antichi, medievali e moderni, il linguaggio verbale o gestuale spesso vestiva a pennello la scelta (si pensi alla povertà per san Francesco o agli esercizi per sant’Ignazio) attorno alla quale si condensava la forma vitae del gruppo. Era un «punto di sintesi» che riconosceva il suo limite e lasciava spazio ad accenti diversi per altri gruppi.
Questo non ha escluso una sorta di concorrenza, neppure troppo nascosta, tra i movimenti religiosi della storia, talvolta con punti di fuga nei gruppi settari ed ereticali, sempre però temperata dalla complementarità riconosciuta al grembo della Chiesa, che custodiva l’elemento «cattolico». Forse un aspetto differenziale dei movimenti postconciliari è stato quello di collocarli sul fronte dell’universalità della Chiesa, entrando di fatto in rotta di collisione con le Chiese locali.
Sarebbe utile una ricerca che indagasse la seguente questione critica: i linguaggi utilizzati nei NMR mettono l’accento sull’elemento singolare del carisma (identità) rendendolo plastico a dire la fede cattolica (universalità)?
Forse, però, è soprattutto il vasto campo dei linguaggi gestuali (pratiche devozionali, modi di celebrare, forme dell’annuncio ecc.) che esercita il maggior fascino sia per rinforzare l’identità, sia per esprimere l’appartenenza a un movimento o aggregazione ecclesiale. Nella seconda metà del Novecento, e in questo avvio del terzo millennio, se ne son visti di tutti i colori.
Per elencarli c’è solo l’imbarazzo della scelta: pratiche mariane deviate, preghiere carismatiche, ritualità esoteriche, canti esclusivi del movimento, celebrazioni domenicali di gruppo, adorazioni con videomaker, messe di guarigione, veglie da happening, esercizi guidati dal guru, e via elencando, per non parlare di manomissioni delle preghiere della tradizione (l’Avemaria depurata dal «prega per noi peccatori» con un più innocentista «prega per noi figli tuoi»; oppure il rifiuto della Salve regina, perché non è più attuale dire «in questa valle di lacrime»); o, ancora, di posture corporee (seduti durante la consacrazione ecc.) e modi di salutarsi utili alla certificazione del gruppo.
Gli interventi culturali, caritativi, sociali
Non c’è chi non veda come questa dirompente ambivalenza delle pratiche devozionali e dei riti sacramentali, sempre più privatizzati e manipolabili, abbia rotto la bella e sobria «grammatica della preghiera liturgica cattolica» e abbia potuto saldarsi con l’azione manipolatrice di leader seduttivi e di comunità cosiddette creative, prestando il fianco a una vera decomposizione della pratica cristiana.
Tra tutte le forme rituali, segnalo la questione essenziale della messa domenicale. Mi domando: se sistematicamente la messa festiva viene celebrata e vissuta solo con il proprio gruppo o movimento, con una comunità di elezione o di adozione, come si può pensare nel lungo periodo d’appartenere semplicemente alla Chiesa cattolica? È un tema decisivo: essere cristiani non significa solo condividere un Credo, ma celebrare insieme il mistero santo dell’eucaristia, che non è mia, non è nostra, ma del Signore, e solo in questo modo crea la comunità dei suoi discepoli. Actuosa participatio non può voler dire particularis manipulatio!
Infine, un ambito d’appartenenza identitaria emblematico si trova negli interventi culturali, caritativi e sociali dei NMR. In tale ambito la missionarietà dei nuovi movimenti avrebbe di che esprimere la propria creatività e complementarità. Se l’origine del movimentismo postconciliare si colloca negli ambiti di vita, precisamente questi spazi, spesso disertati dalla pastorale ordinaria (scuola, università, professione, lavoro, carità, missione, pace, creato ecc.), sarebbero il terreno propizio per un’azione missionaria di respiro più ampio di quella praticata dalle Chiese locali.
Non è stato però il superamento di questi spazi da parte dei movimenti e delle nuove comunità che li ha sospinti a immaginare la loro esperienza come un’esperienza di Chiesa e di missione parallela e totalizzante? Anzi, si deve aggiungere un’ulteriore e più importante considerazione: è proprio nello spazio culturale, caritativo e civile che si gioca in buona parte la differente visione dei nuovi movimenti circa il rapporto Chiesa e mondo, oppure Vangelo e storia: più incarnazionista in alcuni, con la deriva del presenzialismo e del proselitismo nel mondo, più escatologica in altri, con la deriva di un’alienazione apocalittica e spiritualista dal mondo.
La differenza d’accentuazione (legittima) di un modo di presenza al mondo (incarnata o escatologica) può scivolare nella contrapposizione (conflittuale) al mondo (apocalittica o negazionista). Qui si accende la spia rossa della deriva settaria!
Terzo criterio:
il meccanismo di elezione o esclusione
Il terzo criterio per testare il piano inclinato di uno scivolamento elitario e separatista dei NMR va ricercato sul versante degli adepti di tali aggregazioni, o meglio nel meccanismo di reclutamento dei membri. Due dati sono impressionanti e angoscianti: il primo riguarda l’effetto domino dell’adesione dei partecipanti, che assume i tratti del contagio; l’altro rivela il meccanismo di reclutamento che fa sospettare una dinamica di plagio. Se il primo dato impressiona per i numeri delle vocazioni sacerdotali, consacrazioni religiose, adesioni dei simpatizzanti, il secondo dato sconvolge per la sua capacità di irretire nella trama d’appartenenza al gruppo. Il legame tessuto attorno al leader seducente è diventato tanto più inestricabile quanto più egli ha agito come un guru seduttore. Il fenomeno, visto dall’esterno, fa correre la mente al sommo poeta: «Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro/ dietro a lo sposo, sì la sposa piace».22
Dalla morte di san Francesco (1226) alla fine di san Luigi IX (1270), il primo re francescano, in Europa i figli del poverello di Assisi erano circa 30.000. Anche le cifre degli aderenti alle nuove comunità sono molto alte, sia numericamente, sia per diffusione geografica. Tuttavia, le vicende di quest’ultimo decennio o, forse meglio, ciò che è galleggiato negli ultimi anni, pone la domanda cruciale: i nuovi venuti sono andati solo dietro allo sposo, oppure sono riusciti ad amare anche la Sposa?
Fuor di metafora: com’è possibile che molti adepti siano rimasti vittime di abusi spirituali, manipolazioni, legami malsani, senza che questo significhi necessariamente mancanza di buona fede da parte degli aderenti? Anzi proprio a partire dalla certezza che moltissimi, se non tutti, abbiano aderito con entusiasmo e generosità, come si spiegano gli abusi e come si comprendono le vittime? Qual è il meccanismo nascosto, che produce sia l’appartenenza buona, sia la deriva malefica, che talvolta sembra inesorabile?
I tratti salienti degli adepti
Siamo qui al punto centrale per diagnosticare le derive settarie dei NMR, perché sovente viene attribuita al ministero pastorale la responsabilità d’aver sottovalutato la realtà, o peggio d’aver addirittura promosso connivenze complici. Le indagini da cui siamo partiti dedicano tutti espressamente uno o più capitoli a comprendere il fenomeno.23 Ciò che è importante non è solo descrivere i caratteri di debolezza e fragilità di alcuni membri delle aggregazioni, che favoriscono la loro manipolazione e trasformazione in vittime, ma il meccanismo propriamente settario d’elezione o esclusione, di predestinazione o riprovazione, di salvezza o dannazione, in cui gli adepti vengono coinvolti e alla fine travolti.
In maniera forte, la giornalista francese parla di un ecosistema: «I fondatori non avrebbero potuto avere successo senza discepoli adoranti e profondamente soggiogati, che non hanno visto o non hanno voluto vedere, lasciandosi abusare in tutti i sensi del termine».24
Eccone i tratti salienti: l’attaccamento morboso a un narcisismo idealista per realizzare se stessi; la tendenza a diventare «specchi complici» perché illusi di partecipare a belle storie; l’esaltante sogno d’essere ammessi alla ristretta e privilegiata cerchia degli intimi del leader; il bisogno spasmodico di punti di riferimento autorevole, in un tempo d’evanescenza del padre; una certa ingenuità dei gruppi cattolici, con l’assenza di formazione intellettuale e spirito critico; fragilità affettive e vulnerabilità psicologica che accompagnano ogni periodo di crescita e trasformazione; un’enfasi sull’esperienza emotiva che trasforma il riferimento spirituale in legame affettivo, sottoponendo il fondatore a un sottile processo di idolatria.25
Il quadro psichico della vittima frequentemente manipolata va focalizzato meglio: si tratta di personalità generose e amabili; spontaneamente fiduciose al limite dell’ingenuità; carenti di fiducia in sé stesse; in ricerca di una relazione di sostegno; bisognose d’essere soccorse e protette; facilmente disponibili a essere criticate e rinunciatarie a un giudizio proprio. Soprattutto, però, dinanzi ai comportamenti violenti e sadici delle personalità narcisistiche la vittima si lascia quasi sottomettere masochisticamente, sopportando ogni tipo di violazione, di fronte all’imprevedibilità del comportamento perverso.
Essa all’inizio interpreta la violenza come segno d’amore, poi accetta le micro-umiliazioni quotidiane (silenzio, disprezzo, ricatti), in seguito subisce con vergona la violenza verbale (insulti), fino ad abituarsi a quella fisica perdendo ogni spirito critico (percosse, ferite, reclusioni). Si crea così una sorta di triangolo vittimario, tra carnefice, vittima e soccorritore.26 Ma ciò che più interessa è l’osservazione che il rapporto tra carnefice e vittima non accade in uno splendido isolamento, ma naviga nell’acqua inquinata di ciò che si potrebbe chiamare una «rete narcisista», con cui l’entourage del manipolatore assiste, approva e favorisce gli interventi della persona aggressiva e perversa.27
Tecniche di reclutamento
Di taglio diverso, ma non meno diagnosticamente rilevante, è la descrizione delle tecniche di reclutamento e di persuasione degli aderenti alle nuove comunità. Esse fanno leva sui metodi descritti dalla psicologia sociale, adattati al contatto con i movimenti: primo approccio del reclutatore; invito a un evento speciale o a un luogo meraviglioso; primo contatto col gruppo in cui far sentire amato e atteso il nuovo venuto; tecniche di persuasione per prolungare la relazione e favorire il ritorno.
Questi metodi comportano la specializzazione di persone esperte ed empatiche, istruite nel meccanismo di reclutamento, che insensibilmente entrano a costituire la rete di adescamento.28 Più ancora interessante è spostare la telecamera sul versante dei potenziali aderenti ai nuovi movimenti, soprattutto se giovani: bisogno di valorizzazione della persona perché si sente socialmente inadeguata; esigenza di un potere carismatico; necessità d’aumento dell’autostima; alleviamento di un dolore dovuto a una perdita; bisogno di dipendenza e di sostegno; ricerca di un nuovo sistema relazionale; vulnerabilità alle tecniche di manipolazione; famiglia disgregata e problematica.29
La deriva vittimaria poi s’aggrava con caratteristiche peculiari, quando la persona si trova in un sistema abusante: all’inizio la persona non s’accorge, anzi nega di trovarsi in una condizione di pericolo; essa non percepisce la sottomissione perché l’abuso spirituale si realizza progressivamente con l’assenso della vittima; la vittima è angosciata di dover far fronte a una situazione di rottura e distacco dal gruppo in cui si è sentita prima accolta e valorizzata; ciò genera una forte frattura nella stima di sé, deformata da una spiritualità costruita sul senso di vergogna, di colpa, di negazione di propri desideri immediati; ne segue un’immagine distorta di Dio, presentata dal leader e dal suo cerchio magico come autorità capricciosa, arbitraria, esigente e perfezionista, che fissa traguardi sempre più alti; ciò genera confusione tra istanze del capo (e della comunità) e volontà divina, soccombendo a un Dio del dovere colpevolizzante, piuttosto che della grazia incoraggiante; scarsità e povertà delle conoscenze bibliche e tradizionali, per personalizzare un sapere cristiano; destrutturazione relazionale sia nei confronti del leader che degli altri membri, con deprivazione della fiducia e aumento della vergogna, colpa e ansia; da ultimo, difficoltà ad ammettere l’abuso di potere spirituale e accondiscendenza alle altre forme di abuso (sessuale, relazionale, familiare, corporeo, economico).
Per fortuna questi tratti non sono tutti egualmente presenti, ma hanno come esito lo stato di prostrazione in cui si moltiplica in modo virale l’abuso di potere.30
Da eletti a predestinati
La fenomenologia della deriva settaria, della manipolazione della vittima e dell’abuso spirituale non basta, se non s’arriva a indicare la sua radice più profonda: è il meccanismo di elezione ed esclusione. Esso aleggia sovente non solo sullo sfondo dei NMR, ma anche nelle altre forme d’aggregazione sociale: per questo tutti devono interrogarsi sulle sue cause, sulla sua minaccia e sui suoi rimedi. Poiché si tratta di un «meccanismo», esso non funziona solo in modo binario (leader seduttivo-vittima di abuso), ma in modo ternario (leader, comunità, membro), con la triste possibilità di trasformarsi nella sua configurazione abusante (carnefice, cerchio magico, vittima).
La causa remota è quella di proporre un percorso di vita (professionale o religioso) come «singolare», secondo la logica dell’elezione o dell’esclusione. Per sé ogni cammino non può non presentarsi che come un percorso personale e personalizzante, come una vocazione o un carisma, e per questo anche «irrepetibile», ma ciò non può significare che, quando non si realizzi, comporti esclusione o ancor peggio perdita di sé.
A livello della storia personale ciò è abbastanza comprensibile, anche se oggi l’avverarsi della profezia dell’«uomo senza qualità» (Robert Musil) ci mette davanti a personalità liquide e vulnerabili. Tuttavia, a livello di associazioni, gruppi, movimenti e comunità (religiose ed ecclesiali), l’ideologia dell’«elezione» talvolta scade in una sottile interpretazione «predestinazionista», perché un percorso di vita comunitaria da «singolare» viene inteso e presentato come «l’unico». Non realizzare tale destino comune di vita corre il rischio di creare una minaccia per il proprio futuro: la coppia elezione-esclusione viene corrotta in salvezza-riprovazione o, peggio, predestinazione-dannazione.
Nelle storie delle vittime di abuso si nota per così dire una tragica catena di esclusioni, che diventa poi riprovazione e, persino, dannazione, non solo da parte del capo, ma anche dei membri del movimento-comunità. Chi si oppone o manifesta dubbi, domande, spirito critico, viene prima sottoposto alla minaccia e poi allo stillicidio di parole e gesti d’emarginazione e riprovazione, che sono il terreno propizio per la manipolazione del leader e per l’abuso della vittima: un vero e proprio ostracismo!
In questo meccanismo la comunità spesso si dispone a strati: la «cupola» che fa da cerchio magico e rinforza i gesti del fondatore/abusatore; gli «assidui» che più o meno inconsciamente trasmettono l’ambivalenza delle parole e gesti del meccanismo di elezione-esclusione («chi non è con noi, è contro di noi»); la «palude» che non s’accorge di quanto avviene, ma rinforza in modo incolpevole il meccanismo, anche se prima o poi sarà posta dinanzi alla scelta dell’appartenenza.
Mi sembra che sia decisivo chiarire il meccanismo con una serena e costruttiva critica a tutte le forme di unilaterale enfatizzazione dei cammini di vita cristiana. Basterebbe arrivare a dire: «È bello riconoscere sul volto della tua vocazione ciò che manca alla mia!». I movimenti e le comunità devono poter affermare: «È urgente riconoscere sul volto del vostro carisma ciò che non c’è nel nostro movimento!».
Come in modo lucidissimo scriveva J.A. Mohler: «Non vorremmo né congelare per un estremo individualismo né soffocare per un centralismo estremo (…) È necessario quindi che né il singolo, né ciascuno vogliano essere tutto; solo tutti possono essere tutto, e solo l’insieme può essere l’unità di tutti. Questo è l’eidos della Chiesa cattolica».31
Quarto criterio:
la visione dottrinale apocalittica
Il quarto criterio è il più difficile da maneggiare perché domanda di sottoporre ad analisi la visione dottrinale dei NMR. Si potrebbe dire in modo sintetico che si tratta di valutare la verità nel movimento e la verità del movimento: la prima riguarda la possibilità d’accertare la parresia nelle dinamiche interne al movimento o aggregazione ecclesiale, soprattutto per il suo leader e per il gruppo di aderenti, in particolare nel rapporto interno-esterno; la seconda riguarda i parametri di valutazione della dottrina proposta dal fondatore, quando egli con i suoi adepti propone la sua via cristiana come tendenzialmente totalizzante e lega il suo carisma a una visione dottrinale parziale.
Sul primo aspetto, la verità nel movimento, le questioni sono molto delicate. Da un lato, si osserva una forma di reticenza quando il leader si nasconde dietro una presunta verità «più alta e inaccessibile» dai tratti esoterici. In genere la riserva viene fatta valere col pretesto di custodire, con una sorta di disciplina dell’arcano, uno stadio spirituale più avanzato.
Ciò può accadere di fronte ai membri della comunità, che pongono domande critiche sulla coerenza dell’ethos del gruppo, sia per giustificare comportamenti sessuali abnormi (propri o altrui), sia per imporre limitazioni nei rapporti familiari, sia per intimare comportamenti ascetici arbitrari, sia, infine, per tacere di scelte economiche e di stili di vita lussuosi e ricercati (abitazioni, auto, vestiti, viaggi, vacanze ecc.) rispetto al costume comunitario.
Dall’altro lato, soprattutto nel momento della formazione dei nuovi venuti è difficile trovare l’armonia liberante tra apertura fiduciosa ai formatori e protezione dell’intimità delle persone. È proprio la mancata separazione tra foro interno e foro esterno che determina la differenza tra uno stile invasivo e manipolatore e uno stile di rispetto della libertà, che è il confine invalicabile della verità spirituale e del comportamento morale di una comunità o di un movimento. Soprattutto la tematica del segreto verso gli esterni (persino ecclesiastici) sulle dinamiche interne del gruppo, che sì è talvolta codificata in un «voto di carità» o in una «regola di riservatezza» circa l’appartenenza dei membri, per evitare presunti danni nell’ambito professionale o familiare, si è rivelata spesso, di fronte agli scandali, uno strumento diabolico di connivenza rispetto ad abusi e a comportamenti devianti, oppure un mezzo di potere nelle istituzioni ecclesiastiche e di promozione negli ambiti laici (scuola, università, sanità, economia ecc.).
Non è un caso raro che si possa venire a conoscenza anche dopo molti anni dell’appartenenza di un membro a un movimento o associazione, soprattutto quando ci si accorge della forte presenza e dell’occupazione di un’istituzione da parte del movimento, con criteri che non sono anzitutto quelli di merito, ma spesso solo – appunto – d’appartenenza.
Un comune giudizio storico
sul mondo e sulla Chiesa
Sul secondo aspetto, la verità del movimento, non esistono ricerche mirate su un tema tanto sensibile, quanto bisognoso di fine discernimento teologico e spirituale. In genere la proposta del carisma s’avvale di una produzione molto disomogenea (conferenze, relazioni, meditazioni, istruzioni spirituali, testi, video, percorsi teologici ecc.), non sempre accessibile a tutti, e spesso, quando ancora in presenza del fondatore, con tratti fortemente «oracolari».
Al passaggio della seconda generazione, poi, sopravviene la questione di ravvivare, sotto la cenere dei linguaggi ripetuti in modo schematico, il tizzone dello spirito carismatico dell’origine. È facilmente registrabile il pericolo di vendere formule e dello psittacismo dei membri, oppure della comunità a due velocità, divisa tra chi ha conosciuto il leader fondatore e chi deve ereditarne il lascito.
Per quanto riguarda le visioni dottrinali che presiedono ai diversi movimenti è impossibile ora darne conto, se non al prezzo di inaccettabili semplificazioni.
Oso proporne una duplice tipologia polarizzata tra movimenti di carattere marcatamente escatologici e spiritualistici e movimenti più incarnazionisti e presenzialisti.
Temo però che sotto entrambe le visioni vi sia un comune orientamento «apocalittico», che disegna il rapporto tra interno ed esterno del movimento/gruppo/comunità con un giudizio storico sul mondo (e talvolta anche sulla Chiesa) che ha bisogno d’essere salvato dalla sua deriva culturale e morale.32
Il tratto di fondo è il medesimo: il mondo va male ed è alla deriva e la Chiesa (occidentale) è ormai stanca e sterile, e ha bisogno della linfa e dell’energia del (nostro) movimento per redimersi.
Su questo tratto comune, che s’esprime in un annuncio, una predicazione, una pratica cristiana e sociale unidirezionale, potenzialmente proselitistica, si staglia la polarizzazione sopra evocata, peraltro molto tradizionale, che si differenzia per il diverso modo d’interpretare il rapporto Vangelo-storia e Chiesa-mondo: l’uno tendenzialmente escatologico, che interpreta il mondo come perduto e che può essere salvato solo con un movimento alternativo («comunità creativa»), prima magari minoritario, con l’illusione che diventi maggioritario; l’altro fortemente incarnazionista, che immagina il mondo come l’arena frammentata e propizia per una reconquista cristiana, ottenuta mediante un cristianesimo della presenza, anche al prezzo di una concorrenza che contenda spazi, poteri e interventi con le altre forze culturali e sociali in campo.
Il primo corre il rischio di ritrarsi in uno spiritualismo disincarnato, per ricreare dalla radice la vita cristiana; il secondo cerca di giocarsi nello spazio mondano, con la neppure tacita presunzione non solo di poter salvare l’identità cristiana, ma di imporla ad altri. Naturalmente i due idealtipi non esistono allo stato puro, e forse in mezzo ci stanno tante variazioni quanti sono i movimenti carismatici attuali.
Resta comunque il fatto del comune giudizio storico, e della incapacità a comprendere il rapporto del Vangelo con il mondo nei termini di uno «scambio simbolico» tra seme e terreno, e lievito e pasta, dove entrambi concorrono a realizzare l’admirabile commercium tra i doni che il Signore ci dona e che noi gli offriamo e la sua presenza che egli ci dà in cambio!
Quinto criterio:
la proposta morale ambivalente
L’ultimo criterio è il più evanescente, perché il tema morale attiene alla sfera personale e per un’aggregazione si può parlare al massimo di un ethos comune. E, tuttavia, è inevitabile osservare che anche i movimenti hanno una proposta di morale personale e d’impegno sociale.
Due temi mi sembrano di grande momento: l’uno, interno al movimento, si riferisce all’etica del vivere comunitario, nella dialettica tra indicazioni e norme del leader (fondatore o attuale) e responsabilità degli aderenti; l’altro, che delinea la figura etica del movimento nel suo rapporto con la coscienza, la legge, la vita, la sessualità, la generazione, la socialità e la politica.
Per un verso, al fine di evitare la deriva settaria è necessario che i comportamenti interni al movimento ricevano una configurazione etica non sempre o esclusivamente dipendente dall’intervento orale del fondatore o del superiore, ma che i processi siano oggettivati negli Statuti e in un Regolamento. Sono utili anche istruzioni pastorali che trasmettano un ethos comunitario affidabile, aggiornabile a intervalli regolari. Occorre dare una spina dorsale istituzionale anche alla forma movimento, pena la sua caduta nello spontaneismo, di cui saranno vittime prima di tutto i suoi membri.
Mi ha sempre impressionato, nei fondatori antichi e moderni di comunità e di vita consacrata, la martellante distinzione tra la persona del fondatore e l’opera da lui creata. Era l’opera che bisognava amare, su cui investire le proprie forze e che si doveva servire, mentre la persona (del fondatore e degli associati) doveva scomparire, o, meglio, concepirsi come totalmente relativa alla forma pratica del carisma (i giovani, i poveri, i sofferenti, gli ultimi).
Un ethos può essere convocato solo attorno a una passione spirituale ed etica comune, che è capace di diventare vocazione personale e comunitaria. Questa è una lezione indimenticabile, che si deve concretizzare anche nelle nuove aggregazioni e nei loro processi di consolidamento del carisma. In mancanza di questo, l’arbitrio spirituale e l’etica individualista avranno la meglio su ogni richiamo al «noi ecclesiale» del carisma, che così rimarrà retorico e velleitario.
Per l’altro verso, amo pensare che anche la proposta etica, personale, ecclesiale e sociale dei diversi movimenti e delle nuove comunità ricalchi gli orientamenti che abbiamo delineato a livello della dottrina. Se lo sfondo è quello apocalittico che interpreta il tempo presente come crisi di sistema, temo che l’orientamento morale possa cadere in forme idealizzanti, sia alternative (escatologisti), sia combattive (incarnazionisti), con tutte le sfumature intermedie, senza fare l’esperienza della realtà e del limite che possiamo e dobbiamo condividere con gli uomini d’oggi.
Noi non siamo i migliori, ma lo possiamo diventare non a lato o contro gli altri, bensì condividendo il destino comune nello scambio virtuoso tra buone esperienze di vita, per le quali è un vantaggio avere una comunità o un gruppo stimolante, e condivisione della vita degli uomini del nostro tempo, con i quali possiamo tentare di dire e donare il cristiano, generando sempre più umano in noi e con loro. Incarnazione e trascendenza sono due poli tra cui non si deve scegliere, ma con cui si può vivere un’etica della condivisione e della testimonianza. Senza mai disgiungerle!
Per prevenire…
Il presente testo può sembrare amaro e drammatico, ma non è nulla – bisogna riconoscerlo – a confronto con le derive devianti e gli abusi spirituali che hanno messo a repentaglio in questi anni la nostra fede e la fiducia di molti. Ho scritto queste note non tanto per denunciare la deriva settaria di gruppi e movimenti. Questo vale anche per ogni altra configurazione aggregativa, comprese associazioni, parrocchie e oratori. Il timore della deriva è abbastanza evidente e preoccupa tutti, ma l’ho fatto per riconoscerla e prevenirla. Se sarà stato come il collirio per vedere meglio, il bisturi per togliere qualche ascesso e il lenimento per curarla e prevenirla, ne sarò contento.
Per terminare vorrei trascrivere il testo limpido e amorevole che il card. Carlo Maria Martini pronunciò nell’aula del Sinodo sui laici il 13 ottobre 1987 e che suscitò grande eco sulla stampa: «In quello che oggi, forse con troppa facilità, si chiama carisma di un movimento o di un gruppo, occorre distinguere almeno quattro cose: le persone che compongono il gruppo, spesso generose e sacrificate; il germe ideale che ne sostiene l’azione, per lo più valido; l’ideologia o il sistema dottrinale che viene sviluppandosi attorno all’intuizione di fondo; e infine la prassi concreta: pastorale, formativa, liturgica, talora anche sociale, economica e civile. Il discernimento dovrà tenere presente tutti questi aspetti, e non limitarsi alle intenzioni e alla bontà soggettiva delle persone, e verificare, ad esempio, se la prassi dà segni di esclusivismo, oppure è volentieri aperta alle imprese comuni; se realizza in pratica i valori evangelici dell’umiltà e della povertà, o se si lascia tentare da logiche di potere».33 Dopo tanti anni siamo ancora qui con la speranza di non rinunciare a un discernimento, necessario e salutare per tutta la Chiesa che amiamo.
✠ Franco Giulio Brambilla
1 C. Hoyeau, Il tradimento dei padri. Manipolazione e abuso nei fondatori di nuove comunità, Queriniana, Brescia 2023 (ed. or. La trahison des pères. Emprise et abus des fondateurs de communautés nouvelles, Bayard, Montrouge 2021).
2 P. Ide, Manipulateurs. Les personnalités narcissiques. Détecter, comprendre, agir, Éditions Emmanuel, Paris 2016.
3 G. Ronzoni, Le sètte «sorelle». Modalità settarie di appartenenza a gruppi, comunità e movimenti ecclesiali?, Messaggero, Padova 2016; Id., L’abuso spirituale. Riconoscerlo per prevenirlo, Messaggero, Padova 2023.
4 Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti al Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali (Roma, 27-29 maggio 1998), 27.5.1998, n. 2; Regno-doc. 13,1998,398.
5 J. Ratzinger, «I movimenti ecclesiali e la loro collocazione teologica», in Pontificium consilium pro laicis, I movimenti nella Chiesa. Atti del Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali Roma, 27-29 maggio 1998, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 1999, 23-51; Regno-doc. 13,1998,399.
6 Ivi, 43; Regno-doc. 13,1998,406.
7 Ivi, 46. L’espressione conclude l’argomentazione che riporto per esteso (45-46): «Nemmeno lo stesso ministero petrino sarebbe rettamente inteso e sarebbe travisato in una mostruosa figura anomala, qualora si addossasse soltanto al suo detentore il compito di realizzare la dimensione universale della successione apostolica. Nella Chiesa devono sempre aversi anche servizi e missioni che non siano di natura puramente locale, ma siano funzionali al mandato che investe la realtà ecclesiale complessiva e alla propagazione del Vangelo», vale a dire la dimensione universale della Chiesa; Regno-doc. 13,1998,405.
8 Hoyeau, Il tradimento dei padri, 96-100.
9 American Psychiatric Association, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th ed., American Psychiatric Publishing, Arlington (VA) 2013; ed. it. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Raffaello Cortina, Milano 2014.
10 Ide, Manipulateurs. Les personnalités narcissiques, 23-43.
11 Ivi, 30-32.
12 Citata ivi, 32s.
13 Ivi, 43.
14 Ronzoni, L’abuso spirituale, 21-25.
15 Citato ivi, 30.
16 B. De Dinechin, X. Léger, Abus spirituels et dérives sectaires dans l’Église: comment s’en prémunir?, Mediaspaul, Paris 2019, citati in Ronzoni, L’abuso spirituale, 34-38.
17 Ronzoni, L’abuso spirituale, 73-88.
18 Ivi, 61-70.
19 Sintesi ivi, 42-59.
20 Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, Le associazioni di fedeli, decreto che disciplina l’esercizio del governo nelle associazioni internazionali di fedeli, private e pubbliche, e negli altri enti con personalità giuridica soggetti alla vigilanza diretta del medesimo dicastero, 11.6.2021, art. 2, § 4; Regno-doc 13,2021,404.
21 Codice di diritto canonico can. 630.
22 Dante, Paradiso, XI, 83-84.
23 Cf. Hoyeau, «Specchi complici», in Il tradimento dei padri, 139-168; Ide, «Du côté de la victime» e «Le réseau narcissique», in Manipulateurs. Les personnalités narcissiques, 89-99; Ronzoni, «Il reclutamento e le motivazioni di chi aderisce», in Le sètte «sorelle», 57-74; Id., «Le vittime», in L’abuso spirituale, 61-71.
24 Hoyeau, Il tradimento dei padri, 139.
25 Ivi, 140-168.
26 Ide, Manipulateurs. Les personnalités narcissiques, 89-92.
27 Ivi, 92-99.
28 Ronzoni, Le sètte «sorelle», 60-63.
29 Ivi, 63-74.
30 Ronzoni, L’abuso spirituale, 61-71.
31 La citazione proviene da J.A. Möhler, Symbolik oder Darstellung der dogmatischen Gegensätze der Katholiken und Protestanten nach ihren öffentlichen Bekenntnisschriften, vol. 2.: Zum Verständnis der Symbolik, introduzione e commento di J.R. Geiselmann, Hegner, Köln-Olten 1961, 698.
32 Cf. Hoyeau, «Salvare la Chiesa», in Il tradimento dei padri, 51-94.
33 L’intervento si trova per intero in G. Caprile, Il Sinodo dei vescovi. Settima assemblea generale ordinaria (1-30 ottobre 1987), Civiltà cattolica, Roma 1989, 318-321, qui 320; Regno-doc. 21,1987,666.