Sommario: La predicazione cristiana può suscitare in chi l’ascolta reazioni violente? Il più delle volte oggi, tutto quello che suscita sono spesso solo sbadigli ed attacchi di sonno per la noia di dover udire banalità inconcludenti che, in ogni caso, non turbano nessuno. Non così la predicazione fedele dell’Evangelo animata dallo Spirito Santo. È quello che succede dopo la predicazione di Stefano la cui risposta esaminiamo quest’oggi nel testo biblico di Atti 7:54-60.
La predicazione cristiana può suscitare in chi l’ascolta reazioni violente? Il più delle volte oggi, tutto quello che suscita in certe chiese o pulpiti mediatici sono sbadigli ed attacchi di sonno per la noia di dover udire banalità inconcludenti che, in ogni caso, non turbano nessuno. Non così la predicazione fedele dell’Evangelo, quella davvero animata dallo Spirito Santo. Essa, infatti, è (e così deve necessariamente essere) “piuttosto scomoda”. Essa tanto scuote l’uditorio che, o produce conversione oppure furiose reazioni di rigetto. Esagero? No.
È indubbiamente una “rivoluzione” quella che produce la predicazione cristiana fedele. Il libro degli Atti degli Apostoli lo rileva esattamente, tant’è vero che una volta, in un certo luogo, degli avversari del movimento cristiano, opponendosi alla predicazione degli apostoli di Cristo, avevano gridato: “Quelli che hanno messo sottosopra il mondo sono venuti anche qua” (Atti 17:6). Luca, lo scrittore del libro degli Atti ed attento cronista degli avvenimenti che avevano interessato la diffusione della prima predicazione cristiana, mette in rilievo le grandi conversioni che aveva suscitato parlando non solo di quanto era avvenuto ad individui, ma anche a masse di persone che, toccate nel profondo del loro cuore, erano giunte a credere nel Signore e Salvatore Gesù Cristo diventandone discepoli.
Luca non riporta, però, soltanto di conversioni, ma anche delle reazioni violente che portano alla persecuzione omicida di molti cristiani stessi. Ne abbiamo il primo esempio con il caso di Stefano, valente diacono e predicatore della chiesa primitiva, della cui vicenda parla il testo che esaminiamo quest’oggi. Non leggeremo il suo discorso (che troviamo per esteso nel libro degli Atti, ma della reazione alla sua predicazione, quella fatta ad una “platea attenta”, non di fedeli, ma di avversari dell’Evangelo di Cristo. Stefano, infatti, non si era fatto minimamente intimidire dai suoi avversari, ma, aveva loro annunciato esplicitamente Cristo Gesù e, così facendo, li aveva attaccati con forza denunciandone la malvagità. Dopo il suo discorso, dunque, troviamo scritto in Atti, al capitolo 7, dal versetto 54, e poi ne consideremo il testo punto per punto.
“Essi, udendo queste cose, fremevano di rabbia in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra, e disse: «Ecco, io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell'uomo in piedi alla destra di Dio». Ma essi, gettando grida altissime, si turarono gli orecchi e si avventarono tutti insieme sopra di lui; e, cacciatolo fuori dalla città, lo lapidarono. I testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidarono Stefano che invocava Gesù e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi, messosi in ginocchio, gridò ad alta voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». E detto questo si addormentò. E Saulo approvava la sua uccisione” (Atti 7:54-60; 8:1a).
“Essi, udendo queste cose, fremevano di rabbia in cuor loro e digrignavano i denti contro di lui” (54). La tolleranza dell’establishment giudaico verso il movimento cristiano giunge al termine quando la sua predicazione l’establishment lo denuncia senza scrupoli (come qui fa Stefano). È così che il suo martirio dà inizio alla prima persecuzione contro i cristiani. Stefano, infatti, nel suo discorso, attacca il potere politico e religioso giudaico, non solo di quel tempo, ma indica la sua corruzione come una costante nella storia. Chi di volta in volta si insedia al potere, infatti, persino del popolo di Dio (lo vediamo a tutt’oggi) più spesso di quanto si creda, sono “le persone sbagliate”, arrivisti che non solo abusano del potere conseguito ma, nel caso del popolo di Dio, di fatto non servono la causa di Dio. Possono pretendere di farlo (e c’è chi ci crede) assumendo per sé stessi titoli roboanti come “sommi sacerdoti”. Questi leader, poi (politici o religiosi che siano) hanno la tendenza a sacralizzare sé stessi ed a mettersi al posto di Dio. Lo troviamo, per esempio, quando Gesù stesso, al suo “processo”, non aveva dato loro le risposte che si attendevano e: “...una delle guardie che gli stava vicino dette uno schiaffo a Gesù, dicendo: ‘Così rispondi al sommo sacerdote?’” (Giovanni 18:22).
Alle parole di Stefano, dice il testo, essi “fremevano di rabbia”. Quest’espressione, nell’originale greco[1] indica psicologicamente uno strappo interiore, una sorta di dissonanza cognitiva[2], il forte disagio psicologico chi chi vede messe in questione le proprie idee da argomentazioni sensate ma che “non può” accettare perché si scontrano contro i suoi pregiudizi e le sue idee radicate con le quali “sta bene”, come pure contro le sue ambizioni. Questo suscita una forte reazione tesa alla distruzione violenta di chi ha causato quel disturbo, quel disagio. Questa reazione violenza può essere repressa causando frustrazione, oppure esplode violentemente. La “seggiola” su cui siedono viene scossa con forza e rischiano di caderne: chi produce quelle scosse “deve” essere fermato e qui accade quando danno espressione a brutale antagonismo (ira violenta) come spontaneo ed irrazionale atto di violenza (che fra l’altro neppure era permesso dai dominatori romani). Ecco così che “digrignano i denti” come una belva che, sfidata, sta per fare a pezzi il suo avversario.
“...ma Stefano, pieno di Spirito Santo, fissati gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua destra” (55). Stefano, di cui lo Spirito Santo aveva pieno controllo, aveva avuto una visione di Gesù accanto a Dio in tutta la sua gloria. Questa visione della “sala del trono” in cielo è simile a quelle avute dai profeti Isaia, Ezechiele e Daniele, come pure quella avuta da Giovanni e riportata nel libro dell’Apocalisse.
È insolito che Stefano veda Gesù in piedi piuttosto che seduto (così nel testo originale[3]). Implica la sua attività di Profeta e Mediatore fra Dio e l’uomo, e come Testimone di ciò che avviene in terra, ma anche come Avvocato. Stefano confessava Cristo apertamente di fronte ad un tribunale umano in cui era stato portato sotto accusa e rivendica la verità della sua dichiarazione ed innocenza facendo appello ad un tribunale superiore, quello di Dio. Gesù è il suo avvocato accanto a Dio, Giudice supremo, così come afferma Giovanni “abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto”[4]. Gesù, in piedi, può anche significare l’accoglienza che Gesù dà a Stefano in cielo come onorato primo martire, indubbiamente, però, accoglie e difende Stefano.
I dirigenti religiosi e politici si ritenevano garanti della “verità ufficiale” alla quale a nessuno era lecito contrapporsi. Erano loro che si sentivano investiti del potere giudicante e di mediazione, e nessun altro poteva sfidarli. Anche oggi dirigenti di ogni genere e clero pretendono stabilire loro che cosa credere e che cosa pensare ed esigono quella sottomissione religiosa che sono abili nel giustificare. Impongono così la loro presunta autorità e con abili manipolazioni dell’opinione pubblica, riescono a farsi nominare.
Gesù di Nazareth non faceva parte dell’élite politico-religiosa e non avevano potuto neppure manipolarlo. “Doveva” essere eliminato! Vivo o morto che fosse, in terra o in cielo, il suo nome non doveva neppure essere nominato. Predicare le sue virtù e operare in suo nome continuava per loro ad essere “un’offesa capitale” che non poteva essere in alcun modo tollerata. Se il movimento cristiano non poteva essere incanalato e controllato al servizio dei “potenti”, doveva essere soppresso. Così ancora oggi e dovunque gerarchie religiose e politiche stabiliscono il loro potere.
“...e disse: «Ecco, io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell'uomo in piedi alla destra di Dio»” (56).
La verità non può essere soppressa. Stefano è “ostinato” e non si piega. Per lui il cielo è aperto e vede le cose come veramente stanno. Come tale egli la proclama.
Annunciando la sua visione, Stefano aveva mortalmente offeso il suo uditorio, che credeva che nessuno potesse condividere in cielo il trono, il luogo, la somma dignità di Dio. Questa frase è una variazione su “Il SIGNORE ha detto al mio Signore: «Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi»” (Salmo 110:1). Evidentemente quegli indegni capi religiosi si erano convenientemente dimenticati di quel testo e, in ogni caso, per loro, quel Gesù non avrebbe mai potuto, pensano, essere il loro Messia, non rispondendo egli alle loro aspettative. Avevano in mente tutt’altro, la loro privata “post-verità” come si dice oggi. Tutto il resto dev’essere censurato come “sconveniente” all’ideologia ufficiale. Ancora oggi preti e pastori ribelli che vedono le cose diversamente da quelle “autorizzate” devono essere emarginati ed allontanati, e poi discreditati, se persistono a predicare in quanto pericolosi “all’ordine costituito”
“Ma essi, gettando grida altissime, si turarono gli orecchi e si avventarono tutti insieme sopra di lui” (56). Essi non vogliono neppure sentire quella che per loro è “bestemmia” destabilizzante.
Stefano annuncia, nella sua visione e descrive Gesù come il biblico “Figlio dell’Uomo”[5]: era il titolo del Messia che implicava l’aspetto universale del suo legittimo dominio sull’umanità, quello indicato dal profeta Daniele[6]. È un titolo del quale Gesù stesso fa uso nei vangeli e lo stesso usato da lui quando aveva parlato di sé davanti al Sinedrio, non tanto tempo prima. Stefano confermava così “le pretese” di Gesù d’essere il Figlio dell’Uomo. L’accesso a Dio è garantito dall’opera di Gesù, non attraverso le cerimonie che avvenivano nel tempio, da sacerdoti e mediatori “autorizzati” come insegnavano i giudei “Infatti c'è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo” (1 Timoteo 2:5).
Si erano turate le orecchie per evitare di sentire ciò che consideravano somma bestemmia. È una reazione che richiama alla mente ciò che gli Islamici credono a proposito del dio in cui credono, in splendido e supremo isolamento, che non partecipa in alcun modo all’umanità e non ha figli. In quel tipo di monoteismo non c’è spazio per l’umanità (sia in senso fisico che figurato), ma solo della “misericordia” verso chi, a quella divinità e sistema, si sottomette senza condizioni. Quella sorta di monoteismo è il presupposto della tirannia politica, dove sia l’istituzione religiosa che lo stato è di tipo assolutista e non ammette alcuna “condivisione di poteri”.
Il Dio vero e vivente, però, ha assunto con Cristo ed in Cristo, l’umanità. Coloro che lo seguono in Cristo non sono più servi, ma amici. Gesù dice: “Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udito dal Padre mio” (Giovanni 15:5). “Non fatevi chiamare capo, maestro, padre”, dice poi Gesù, “perché siete tutti fratelli”[7]. La chiesa, ed anche lo stato, in questa prospettiva, non devono essere organizzazioni centralizzate, ma “leggere”, diffuse, associate in modo federativo, dove il potere delegato da Dio è condiviso. Questo, però non è conveniente per i centralisti e tiranni, quelli che si considerano l’élite “dei migliori”, di coloro che “che sanno” come fare gestione. Chi non è d’accordo “deve” essere eliminato.
Ecco così il risultato: “...e, cacciatolo fuori dalla città, lo lapidarono. I testimoni i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo” (57).
La dichiarazione di Stefano non era altro che una bestemmia per il Sinedrio. Sapevano che quando aveva parlato di “Figlio dell’Uomo” intendeva Gesù. La lapidazione, nell’antico Israele, era la pena comminata per la bestemmia[8] e i membri del Sinedrio non esitano a farne uso. Nei tre processi riportati da Luca in Atti, il primo risulta in un’ammonizione, il secondo in una flagellazione e il terzo in una lapidazione[9]. Il Sinedrio abbandona così l’invito alla prudenza fatto loro precedentemente da Gamaliele[10]. Non avrebbero avuto l’autorità di eseguire una pena di morte e sicuramente nel giorno stesso e senza processo. Dato però che erano presenti testimoni del fatto per scagliare la prima pietra, come prescriveva la legge mosaica, la morte di Stefano assume per loro una certa “legalità” e la situazione precipita, come era successo per Gesù. Il messaggio di Stefano era servito come una sorta di catalizzatore per unire, contro i primi cristiani, Sadducei, Farisei e plebaglia.
“Lo lapidarono”: l’ironia della scena è che quella gente aveva fatto esattamente ciò che Stefano poco prima aveva detto nel suo discorso a proposito dei loro antenati giudei: “Quale dei profeti non perseguitarono i vostri padri? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti i traditori e gli uccisori” (52). Depongono, così, i loro mantelli per avere le braccia libere di scagliare pietre contro Stefano.
“E lapidarono Stefano che invocava Gesù e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito».“Poi, messosi in ginocchio, gridò ad alta voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». E detto questo si addormentò” (58,59).
Questa affermazione di Stefano: «Signore, non imputare loro questo peccato» rammenta quella fatta da Gesù stesso prima di morire inchiodato ad una croce: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Luca 23:34), come pure: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio» (Luca 23:46). Stefano muore come aveva fatto Gesù, pregando per i suoi aguzzini[11]. Stefano prega Gesù, mentre Gesù aveva pregato suo Padre. Fra Gesù e Stefano viene evidenziata la comunione di natura, di testimonianza, di sofferenze e, alla fine, la comunione di trionfo che appartiene ad ogni autentico discepolo di Gesù.
Si tratta di una comunione che trascende la morte stessa dell’attuale nostro corpo, Il corpo di Stefano infatti (dice il testo), non la sua anima, si “addormenta” in attesa della risurrezione[12]. Non è solo un modo di dire. Per il cristiano davvero la morte è “un sonno”, il sonno della morte. Non è l’annientamento della persona, ma un’attesa. Per questo il cristiano non la teme, ma la considera un’esperienza di passaggio verso una diversa dimensione dell’esistenza. Ecco così che, tutte quelle turbolenze e subbuglio terminano per Stefano in una strana pace. Egli “cade addormentato”. Per Stefano sopraggiunge quella pace che viene a colui che ha fatto la cosa giusta anche se quella cosa giusta lo uccide. La morte, per il cristiano, però, non è “l’ultima parola”.
La morte, però, non è l’ultima parola nemmeno per coloro che, eliminando Stefano e perseguitando la chiesa, credono di aver finalmente “risolto il problema”. Fra quei persecutori, però, spunta la figura di Saul, che più tardi sarà conosciuto come Paolo, l’apostolo di Cristo! Il giovane Saul, che allora poteva avere circa 30 anni aveva approvato quell’assassinio e ne era divenuto complice.“....ai piedi di un giovane, chiamato Saulo” (7:57b) “E Saulo approvava la sua uccisione” (Atti 8:1a).
Paolo, però, diventerà l’eroe di Luca come colui che più di chiunque altro sarebbe stato strumentale nel diffondere l’Evangelo fra i pagani, così Stefano qui riceve l’onorevole riconoscimento come l’uomo che aveva visto per primo le ampie implicazioni della fede della chiesa cristiana ed aveva posto le fondamenta sulle quali sarebbe stata edificata la missione fra i pagani. L’approvazione da parte di Saulo /Paolo dell’assassinio di Stefano rivela il suo impegno nello sterminio dei discepoli di Gesù, quello che avrebbe poi compiuto con zelo.
Anche in Saulo si attua una “dissonanza cognitiva” che avrebbe avuto per esito sì la reazione violenta, ma soprattutto, più tardi, il ravvedimento e la conversione al Cristo, quello che gli avrebbe sovvertito tutte le sue prospettive, rivoluzionandogli la vita. Proprio quel Saulo diventerà il maggiore esempio di come opera la grazia di Dio che in Cristo interviene nel peccatore e lo trasforma, persino in quello che potrebbe considerarsi il peggiore fra i peccatori. Saulo /Paolo arriverà a dire: “...prima ero un bestemmiatore, un persecutore ed un violento; ma mi è stata fatta misericordia, perché lo feci ignorantemente nella mia incredulità” (1 Timoteo 1:10).
Che cosa sarebbe successo in Paolo? Ce lo spiega, in parte, la psicologia: subendo in lui una profonda crisi che verrà risolta solo dall’incontro con il Cristo risorto che “lo getta” a terra per farlo rialzare come una persona diversa. Questo produrrà nella sua vita un cambiamento nell'ambiente; una modificazione del comportamento e, soprattutto modiicando il proprio mondo cognitivo (ovvero il sistema delle proprie rappresentazioni cognitive e delle loro relazioni funzionali interne). La grazia di Dio trasformerà un avversario dell’Evangelo nel suo massimo promotore.
Concludendo, ci eravamo chiesti all’inizio: la predicazione cristiana può suscitare in chi l’ascolta reazioni violente? Certo, quando è autentica, quando si tratta del vero vangelo proclamato e vissuto nel Nuovo Testamento. Allora questa predicazione mette in crisi. Mette in crisi oppressivi religiosi e politici e soprattutto mette in crisi la persona che l’ascolta perché le scombina tutto il suo modo di vedere le cose ed il sistema nel quale è vissuto. Potrà farla reagire con rabbia, ma, grazie a Dio, portarla alla conversione. È successo, succede e succederà ancora. Anche l’indifferenza o la reazione rabbiosa all’Evangelo, però, non sarà l’ultima parola per coloro che Dio ha deciso dall’eternità di accordare loro la grazia della salvezza: irresistibilmente giungeranno a Cristo come loro Salvatore e Signore. ...e ringrazieranno il Signore perché Lui ha usato con loro una salutare violenza per vincere la loro folle ostinazione. Che così possa essere per tutti coloro che mi hanno seguito fin ora in questa riflessione.
Paolo Castellina, Domenica 14 maggio 2017
[1] διεπρίοντο da διαπρίω letteralmente significa “segati in due”, hanno uno strappo interiore dal fastidio, irritazione, contrarietà.
[3] “che stava in piedi alla destra di Dio”; è traduzione più esatta. Non seduto Matteo 26:64; Efesini 1:20, Ebrei 8:1; 10:12; Salmi 110:1; ma in piedi, in atto di porgere aiuto a quelli che soffrono per lui.
[4] “Figlioletti miei, vi scrivo queste cose affinché non pecchiate; e se pure qualcuno ha peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto” (1 Giovanni 2:1)
[5] Apocalisse c1:13; 14:14.
[6] Daniele 7:13-14.
[7] Matteo 23:8.
[8] Levitico 24:16; Deuteronomio 17:7
[9] Atti 4:17, 21; 5:40; 7:58-60.
[10] Atti 5:35-39.
[11] Luca 23:34, 46; cfr. 2 Cronache 24:22
[12] Cfr. 13:36; Giovanni 11:11; 1 Tessalonicesi 4:13, 15; ecc.