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La Voce Misteriosa
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La Voce Misteriosa

di Claudia Mauro, Giovanni Rispo, Luca Rossi,

Milena Cazzola, Miriam Rizzo

Copyright 2013

di Claudia Mauro, Giovanni Rispo, Luca Rossi,

Milena Cazzola, Miriam Rizzo


Sommario

Prefazione

Lui non è mai stato tuo

Secondo incontro

Gli autori


Prefazione

“La Voce Misteriosa” è un esperimento di improvvisazione letteraria a più mani. Gli autori si incontrano nel cyberspazio e scrivono la storia insieme. Ognuno fa la parte di uno o più personaggi e la narrazione viene portata avanti un po’ da tutti.

Può capitare che all’incontro successivo gli autori presenti non siano gli stessi. In questo caso, le sorti del personaggio vengono affidate a un nuovo autore o, sempre seguendo il principio dell’improvvisazione, il personaggio va incontro a una fine prematura oppure deve lasciare di colpo la scena.

Spesso ci si chiede se sia opportuno avere una trama di base. In realtà, ogni evoluzione della storia prende spunto da quanto è stato scritto immediatamente prima. L’autore reagisce a quanto i colleghi hanno appena scritto. Così, se anche qualcuno aveva qualcosa in mente prima di iniziare a scrivere, è probabile che questo venga completamente stravolto e che la storia si sviluppi su sentieri inaspettati.

Ci siamo divertiti moltissimo nelle serate in qui abbiamo avuto il piacere di scrivere insieme Ingannata e ci auguriamo che lo stesso divertimento accompagni il lettore nella scoperta di questo insolito esperimento.

Ingannata e nuovi esperimenti di improvvisazione letteraria sono in costante evoluzione. I lettori possono anche partecipare agli incontri seguendo il lavoro degli autori in diretta, facendo commenti o chiedendo di prendere parte alla stesura dell’opera. Informazioni sempre aggiornate sono disponibili all’indirizzo www.lucarossi369.com/search/label/improvvisazione_letteraria.

Buona lettura e buon divertimento!


Quest’opera è stata realizzata con il contributo di Selfpublishers United.

I SPU sono scrittori uniti nella promozione delle loro opere indipendenti.


“Lui non è mai stato tuo”

Nella notte scura, la pioggia e le urla del vento squassavano i muri della casa di Elena.

La donna, intenta a scrivere un racconto sul suo fidato PC, fu distratta da uno scricchiolio della porta dietro di sé.

Ancora questi tarli! Maledette porte di legno!

Si girò comunque per controllare. Sul muro opposto a quello del finestra vide stagliarsi la sagoma di un’ombra.

Sempre il solito gatto nero del vicino che si spiaccica al mio vetro!

Una voce sembrò nascere dal nulla al centro della stanza. Questa volta non si trattava del gatto!

Il sottofondo musicale che aleggiava nella stanza, le angoscianti note della colonna sonora del film Dracula, non l’aiuto a ritrovare la calma perduta.

Quando la voce parlò, la musica si interruppe di colpo.

Conosceva bene quel timbro vocale... troppo bene... fin dalle prime parole si sentì irrimediabilmente vittima dei ricordi... memorie ricolme di sensi di colpa, che non avevano mai smesso di suscitarle terrore persino nei sogni notturni.

“No! Non puoi essere ancora tu! Devi uscire da questa stanza, dalla mia vita, dalla mia mente e dai miei sogni!“

“No, non finché non mi darai quello che voglio!”

“Io non ho nulla di tuo!”

Elena non era sicura di udire proprio con le orecchie quella voce. Decise di telefonare a Lucilla, la sua vicina di casa, per chiederle aiuto e un po’ di conforto..

“Pronto Lucilla, devi venire da me subito! Ti prego, corri!”

L’amica al telefono apparve piuttosto perplessa: “Elena... insomma, hai visto che ore sono? È la quarta volta che mi chiami nel cuore della notte questo mese. Domani devo lavorare. Non posso chiamarti in mattinata?”

“Sei sempre la solita stronza... mai che tu ti faccia in quattro per me. Grazie e dormi bene!”

Siamo alle solite, pensò Lucilla, desiderosa di tornare a sprofondare con la testa nel cuscino. Prima cerca di farmi sentire in colpa e poi non mi parla per una settimana. “Arrivo... dammi cinque minuti.”

Nell’attesa, Elena rimase seduta al PC, troppo terrorizzata per muoversi. La voce sembrava averle dato una tregua. Lucilla finalmente arrivò e suonò il campanello.

“Sono nello studio!” urlò Elena, intenta a cercare sulle pagine gialle online un ulteriore aiuto.

“E come ci arrivo nello studio, se non mi apri la porta?” urlò di rimando Lucilla, sempre più indispettita.

“Con le solite chiavi che sono sotto il vaso dei crisantemi... come se tu non lo sapessi!”

“Guarda che non ci sono! Non è che le ha prese qualcuno?” Lucilla si pentì subito di aver formulato quell’ipotesi, che all’orecchio della sua amica paranoica poteva equivalere a una minaccia mortale!

Elena si precipitò giù dalle scale con la forza di un uragano, spalancò la porta senza degnare Lucilla di uno sguardo e si mise a frugare tra i vasi.

Dopo pochi secondi il pianerottolo era un campo di battaglia, completamente ricoperto di terra rosso sangue che brulicava di orrende bestie di vario genere.

Dovrebbe prendersi un po’ più cura delle sue povere piante, pensò Lucilla.

“Calmati... calmati, Elena! Lo sai che a volte sei un po’ sbadata. Non è che hai lasciato le chiavi alla donna delle pulizie e poi ti sei dimenticata di chiedergliele indietro?”

“Magari! Secondo te con i tempi che corrono mi posso permettere una domestica? Sono sicurissima di averle messe qui dentro... ma cosa ci fanno tutte queste bestiacce tra le mie piante! Persino le larve di mosca!”

Nella finestra della casa alla destra di quella di Elena, una luce gialla si accese. Un energumeno dalla barba incolta in mutande e canottiera si affacciò dal balconcino del secondo piano e guardò verso il basso. Non riuscendo a comprendere cosa stesse accadendo, decise di scendere. Indossò la tuta, scese le scale e trovò le donne intente nella ricerca di qualcosa che aveva preso lui, qualche ora prima.

“Vi rendete conto di che razza di ore sono?”

È arrivato l’uomo di Neanderthal, si limitò a pensare Lucilla. Per tutta risposta gli diede le spalle e continuò a cercare le chiavi, benché fosse sicura che la sua amica non le avesse lasciate lì.

“Forse siete sorde o cosa?” Aveva cominciato a spazientirsi.

“Senti... perché non ci lasci stare e te ne torni a dormire? Facciamo silenzio.. dai.. però ora vattene pure a casa,” gli rispose in malo modo Lucilla.

“Tornerei pure a letto, a fare quello che stavo facendo prima che mi interrompeste,” rispose con tono sarcastico.

Probabilmente una sega, ipotizzò Lucilla.

“Ma ho paura che fino a quando questa faccenda non sarà risolta non chiuderò occhio.” Lesbiche del cazzo, pensò tra sé e sé.

Chi l'avrebbe mai detto che il nuovo vicino, pur sembrando un orso in letargo, fosse così rude e intrigante! pensò Elena. Per un attimo interruppe la sua ricerca per guardare meglio quel bel culo fasciato dalla tuta grigia e la canottiera sporca di vernice rossa.

“La volete smettere di ciarlare? Anche tu, muovi le mani e aiutaci.”

Elena guardò l’orso, mordendosi il labbro inferiore.

Lucilla notò lo sguardo dell’amica. Ma dovevo proprio trovarmi un’amica paranoica, ipocondriaca e leggermente troia?!

“Che cazzo state cercando?”

“Stiamo cercando le mie chiavi di casa. Sono sicurissima di averle messe qui, come sempre... e tu non mi guardare con quella faccia da saccente della serie sei sempre la solita rincoglionita!

“Magari le ha prese un fantasma,” ghignò l’uomo.

“Molto divertente,” commentò Lucilla.

“Ah, ragazze,” disse con tono ironico prima di abbandonarsi a una chiassosa risata, “prima di aprire la macelleria, lavoravo con un mio amico presso Ghost Hunting Agency. Non avete idea di quanti oggetti sparissero nelle case infestate dai fantasmi!”

“Ma guarda, capiti a pennello!” rispose Lucilla. “La mia amica è proprio convinta di sentire strane voci nel suo studio. Perché non ci dai una mano a cacciarle via, così finalmente ce ne torniamo tutti a dormire?”

“Oh, io non posso! Se volete vi faccio venire il mio amico! Lui sì che se ne intende. Vi farà un buon prezzo!”

“E tu, nell’agenzia cosa facevi, l’usciere?” lo provocò Lucilla.

“No, veramente mi occupavo dei macchinari. Facevo un lavoro manuale, adatto alla mia stazza. Sono troppo grasso e vecchio per correre dietro ai fantasmi. Il mio amico... lui sì che ha un fisico da favola!”

"Allora potreste aiutarci!" Elena si aggrappò al braccio dell'orso come una cozza appiccicata allo scoglio.

Il vicino di casa estrasse il cellulare dalla tasca e cercò il numero dell’amico. “Ciao Tony, coglione del cazzo. Come stai?”

“Oh, ma che cazzo vuoi? Ma hai visto che ore sono, coglione?” rispose Tony.

“Gentilissimo, come al solito! Senti, ho una mia vicina di casa che ha un problemino che dovresti risolvere.”

“Te la sei scopata?”

L’energumeno sorrise. “Ok, allora arriverai subito?”

“Uhm... almeno ha la coscia lunga?”

“Non credo che sia una cosa lunga, ma giudicherai tu stesso.”

Elena guardava l'amica e l'orso sbadigliare come delle foche spiaggiate. Ma sono l'unica a soffrire d'insonnia?

“Elena, ma sei sicura?” le chiese Lucilla sottovoce, con tono implorante. Non era per nulla convinta dell’aiuto che la Ghost Hunting Agency potesse offrir loro. “Senti, magari mi fermo io a dormire da te e poi domani ci pensiamo.” E magari chiamiamo gente seria!

“Sicurissima, sono certa che sia la soluzione migliore!” disse rispose Elena, annuendo con il viso come per convincere sia sé stessa che l’amica.

L’uomo posò il cellulare nella tasca e sorrise, pensando al gruzzolo che lui e Tony si sarebbero tirati su con quel lavoretto. “Tutto apposto. Sta arrivando. Io me ne vado a letto. Domattina devo macellare un vitello!”

Meno male. E almeno questo ce lo siamo tolti dalle scatole, pensò Lucilla.

Elena si accorse di un’impronta di vernice rossa vicino al vaso di crisantemi che non aveva notato prima.

“Okay, entriamo, dai!” Lucilla spronò l’amica e riluttante seguì l’amica all’interno dell’appartamento.

“Ti và un caffè, mentre aspettiamo questo Tony?”

Elena le rivolse un’occhiataccia.

“Perché mi guardi come se avessi bestemmiato? Ho solo  detto caffè! Non ho parlato di acidi o funghi allucinogeni.”

Accese la macchina del caffè.

“Senti Elena, ma sei sicura di voler fare entrare l’amico di quell’essere a casa tua?”

“Ad essere sincera, sono un po’ perplessa. Hai notato anche tu quell’impronta vicino al vaso?”

Elena lasciò stare il caffè e decise di fare per entrambe una bella camomilla.

“Eh? Che impronta?”

“Vicino al vaso di crisantemi, dove tengo le chiavi, ho visto un’impronta di vernice rossa, lo stesso colore che era su quella schifezza di canottiera dell’orso.”

“Senti, ma perché tieni un vaso di crisantemi davanti a casa? Non ti sembrano un po’ lugubri?”

“Assolutamente no! Nella cultura orientale è un fiore positivo. Lo chiamano il fiore d’oro.”

Elena aveva sempre avuto gusti molto fuori dal comune per tantissime cose; solitamente la consideravano una tipa eccentrica e strampalata... la tipica artista.

“Se lo dici tu,” rispose Lucilla. Ora anche i giapponesi! “Senti, mentre aspettiamo, vuoi che andiamo insieme a dare un’occhiata allo studio, così ci sinceriamo che non ci sia nessuna presenza strana. Magari poi beviamo la tisanina e andiamo a nanna, così domani evito di farmi licenziare?”

“Okay, ma teniamo la luce accesa. Scusa un attimo, faccio uscire il gatto.

Messo il felino in libertà, le due donne avanzarono verso lo studio. Elena rimaneva continuamente qualche passo indietro e sembrava timorosa di perlustrare la sua stessa casa. Lucilla, spazientita, le prese per mano e la tirò di forza.

“Ahi,” protestò sommessamente. Lucilla non si arrese, continuò a tirare l’amica finché non entrarono finalmente nello studio. Arrivarono fino al centro del locale e rimasero in ascolto.

“Hai visto?” disse sottovoce l’amica a Elena. “Non c’è nessuna voce. Vuoi che provi a chiamarla?”

“Non credo sia una buona idea. Ascolta! Senti questo rumore fievole? Sembra qualcuno che russa!”

Cercarono nella penombra qualche segno o indizio, ma nulla sembrava fuori posto. Elena sbuffò, spazientita.

 Mentre l’amica era voltata, Lucilla le sfiorò il collo, facendo un lieve sibilo con i denti, subito seguito da un urlo di terrore. L’amica strillò sconvolta e le si avvinghiò addosso, quasi piantandole le unghie nella pelle dallo spavento. Lucilla sorrise soddisfatta, stringendo l’amica.

“Elena! Ero io! Hai visto che ti spaventi per qualsiasi cosa?”

“Bastarda! Fanculo! Vorrei vedere te cosa faresti se ti sentissi toccare una gamba da una mano gelida e umida.”

Lucilla rimase a bocca aperta.

“Elena,” disse, con un fil di voce. “Io non ti ho toccato la gamba. E non ho visto proprio niente o nessuno farlo!”

“Fidati, so quello che ho sentito. Guarda, ho la gamba ancora bagnata. Ma cos’è questa roba?”

Elena si passò una mano sul polpaccio e la guardò schifata. Era ricoperta di una sostanza appiccicosa e molliccia.

 Lucilla con la punta di un dito toccò quella sostanza. Ritrasse subito la mano. Un leggero tremito iniziò a scuotere la mano. “Cazzo, ho lasciato le sigarette nel mio appartamento. Ho bisogno di fumare. Non ne hai una qui? Ho proprio bisogno di fumare!”

“Lo sai che io fumo solo sigarette fatte a mano o sigari. Se non ricordo male, a te fanno schifo. Comunque, se vuoi te ne rollo una, così ti calmi.” Mentre Elena si avvicinava alla porta dello studio, le cadde sulla testa una massa gelatinosa, simile a quella che aveva sulla gamba.

D’istinto alzò lo sguardo al soffitto. Quello che vide la lasciò impietrita.

Come fosse un bassorilievo ancorato alla volta del soffitto, il corpo di una donna, formato da quella strana sostanza, sembrava osservarla, guardando in basso, proprio verso di lei.

Lucilla, impietrita, chiese sottovoce: “Elena, è uno scherzo, vero? Uno scherzo molto molto molto di cattivo gusto?”

“No, cazzo!” urlò Elena, esasperata. “Non so cosa o chi sia, ma è terrificante. Sembra che sia veramente una donna, non capisco come sia finita li.”

Facendosi coraggio prese la scala e salì fino a sfiorare il soffitto. Avvicinò l’orecchio a quell’ammasso di gelatina e sentì un leggero rantolo uscire dalla bocca della donna. Quell’essere spalancò di colpo gli occhi roteandoli a trecentosessanta gradi. Erano iniettati di sangue e dal dotto lacrimale sgorgò un liquido verdognolo putrescente. Elena perse l’equilibrio e crollò malamente sul pavimento, sotto lo sguardo attonito di Lucilla.

“Ahi, cazzo cazzo cazzo!” Elena imprecava dal dolore.

 Devo fumare. Devo trovare una cazzo di sigaretta, pensava intanto Lucilla. Ora!

Sentendosi in colpa, si avvicinò all’amica: “Oh Elena, mi dispiace! Ti sei fatta male?”

“Male? Ma che dici? Solitamente cerco di lussarmi la spalla una sera sì e una no! Alterno il tutto con esseri gelatinosi che rantolano sul mio soffitto! Usciamo immediatamente da questa casa e vediamo di dare un senso a tutto questo casino.” Elena si trascinò per il corridoio l’amica in piena crisi d’astinenza da nicotina.

“Ok, e se andassimo a dormire da me? Magari torniamo poi con calma nel tuo studio domani in compagnia di qualcuno.” Non dormiremo, lo so, ma almeno potrò divorarmi mezzo pacchetto di sigarette!

“Andiamo dove vuoi, basta che possa fare quanto prima una doccia: puzzo di cane bagnato e mi sento questa robaccia dappertutto!”

Uscirono di casa inciampando nel caos dei vasi sparpagliati sul pianerottolo.

Mentre attraversavano il vialetto, Lucilla chiese: “Scusa, ma avevi mai visto qualcosa di simile prima?”

“No, ma il viso di quell’essere sono sicura di averlo già visto da qualche parte.” Ripensando a un lontano ricordo che si affacciò nella sua mente, Elena rabbrividì.

“E la voce? Mi hai chiamato dicendo di aver sentito una voce? Cosa diceva?” chiese Lucilla, mentre pensava a dove aveva lasciato pacchetto e accendino, lieta che ormai ci fosse solo più una rampa di scale a separarla dal suo sollievo.

Elena si sforzò di ricordare le parole della voce. “No, non finché non mi darai quello che voglio!” disse in farsetto

Ecco cosa le aveva detto la voce! E ora purtroppo aveva capito cosa volesse.

Giunte di fronte alla porta ci casa, Lucilla mise le mani nelle tasche, sbiancando. Cercò ancora e ancora, ma non fu in grado di trovare la chiave: “Elena, devo aver lasciato le chiavi da te. O forse mi sono cadute mentre cercavamo le tue. Non le trovo, cazzo! Bisogna tornare a prenderle,” concluse, con la morte nel cuore all’idea di mettere troppi metri tra lei e il suo pacchetto di sigarette.

“No, guarda, hai lasciato la porta accostatata.” Elena non aveva ancora finito la frase che l’amica si era gettata dentro casa, catapultandosi sul mobile all’ingresso. Si accese una sigaretta, aspirando a pieni polmoni.

“Ne vuoi una?” chiese all’amica, rinfrancata e tornata padrona di sé stessa.

“Non fumerei quella merda neanche fosse l'ultima cosa al modo. Quando ti deciderai ad assaporare il buon tabacco puro, allora capirai qualcosa della vita!”.

Lucilla stava valutando con interesse la proposta dell’amica, quando un rumore sinistro proveniente dalla sua camera da letto la fece sobbalzare. In quel momento si rese conto che la porta di casa sua era rimasta aperta tutto quel tempo. Istintivamente, si avvicinò all’amica.

“Io vado a rinchiudermi in bagno, almeno faccio la doccia. Tu fa’ pure l’eroina  e vai a vedere che cazzo c’è nella tua camera... oppure...” Elena non ebbe neanche il tempo di finire la frase che nel corridoio una sagoma nera si stagliò nel bagliore della luna che filtrava dalla portafinestra.

“Elena, temo che tu non voglia afferrare il mio messaggio. Vorrei continuare a portartelo con le buone maniera. Sai quello che voglio. E il tempo sta scadendo,” sentenziò la stessa voce che la donna aveva udito nello studio.

Lucilla rimase perfettamente immobile, non osando neppure aspirare dal filtro, fermo a pochi centimetri dalla bocca.

“Allora?” domandò la voce, mentre un raggio lunare parve trapassare la sagoma nera proprio in corrispondenza del cuore.

“Io, io non ti ho rubato niente e tu lo sai. È mio, quello è mio, è l’unica cosa che mi rimane di lui. Non puoi portarmi via anche quello. Ti sei già presa lui, non ti basta?” Elena balbettava e urlava contro la voce.

Con una folata di vento gelido la sagoma divenne fumo nero e denso, oppiaceo. La voce le sfiorò l’orecchio sussurrandole le parole più dolorose che avesse mai udito.

“Lui non è mai stato tuo, tu non sei mai stata sua. Non contavi niente per lui, eri solo un tramite per il suo passaggio terreno. Lui appartiene alla notte e al dolore. Tu non sarai mai la sua luce!” In un attimo il fumo scomparve, lasciando solo polvere nera sul pavimento e un odore nauseabondo di fiori putrefatti. Ma Elena continuò a sentire la voce parlare, questa volta nella sua mente: “E, in ogni caso, o mi consegni quello che voglio, oppure mi prenderò qualcos’altro di tuo. Ad esempio, una tua amica...”

Elena d’istinto gettò a Lucilla uno sguardo terrorizzato, con il risultato di farla preoccupare ancora di più.


“Elena, di cosa stava parlando quell’essere? Non parlava, vero, del tuo ex ragazzo morto?”

  “Si, lui mi ha lasciato una parte di sé... l’unica cosa con cui avrebbe potuto vedere la luce... un suo occhio... il suo occhio sinistro... quello blu.”

Elena strinse le mani sul ciondolo in raku che portava da 10 anni al collo. Ogni volta che lo toccava si scottava la pelle, talmente era rovente.

Sentiva ancora il calore del fuoco che aveva forgiato quei colori iridescenti. I blu intensi erano dello stesso colore dell’occhio di lui.

Si fece forza e spingendo Lucilla verso il bagno cercò di calmarsi entrando nella sua doccia.

“Ti prego spegni, quella cazzo di merda che ti sati fumando!”

“Ehy, ma che modi sono?” protestò Lucilla, risentita. “E cosa dobbiamo fare in bagno?”

Mentre l’amica la trascinava, si premunì di afferrare pacchetto e accendino. Aveva provato come si vivono le situazioni eccezionali senza nicotina e non le era piaciuto affatto.

Quando imparerà a fumare qualcosa di decente sarà sempre troppo tardi. Elena scosse la testa inziando a spogliarsi, senza chiedere il permesso all’amica. Se aveva dei problemi a vederla nuda sarebbero stati cazzi suoi: non sopportava più quello schifo che aveva addosso. Puzzava da far paura.

“Io faccio la doccia tu fai quello che vuoi, ma ti consiglio di restare accanto a me.” Elena era preoccupata per le ultime parole della voce, anche se non sopportava più di tanto quella “ciminiera” d’amica le voleva comunque bene. Non avrebbe sopportato che le accadesse qualcosa.

Ma guarda questa! C’è una presenza che ci vuol far secche e lei viene a farsi la doccia. Lucilla osservava Elena perplessa. Con malignità notò qualche smagliatura e qualche chiletto in più che l’amica aveva messo su ultimamente.

Andò allo specchio, per osservare meglio quanto anche il suo viso fosse sbattuto. Quando notò un secondo volto oltre suo, divenne decisamente più pallida. Incapace di parlare e di chiedere aiuto all’amica, rimase impietrita a fissare quel volto che la terrorizzava.

“Ciao, Lucilla” disse mostrando un leggero sorriso sulle labbra. Quella ragazza voleva apparire più forte e coraggiosa di Elena, ma sarebbe stata un bersaglio fin troppo facile ed avrebbe ottenuto quello che voleva in poco tempo.

“Tu sai quello che voglio...Non vorrai farti male per  salvare una ragazza che sicuramente ti volterà le spalle alla prima occasione. Aspetta che dorma e rubale la collana. Dammela. E tutto sarà finito”

Le dita di Lucilla fremettero, alla febbrile ricerca della sua parziale consolazione.

“P-posso accendermi una s-sigaretta?” riuscì solo a chiedere a quel viso, animato da due pupille rosse che sembravano perforarle l’anima.

La voce annuì leggermente, l’espressione però un po’ più dura “Vai, ma non farmi perdere troppo tempo, e non cercare aiuto...io so dove sei...sempre!”

“Senti, anche se Elena non è che sappia vestirsi granché bene,” rispose Lucilla, aspirando profondamente a pieni polmoni “quella collana riesce a peggiorare il suo già pessimo look. Non è che posso dartela subito, mentre è nella doccia, e tu in cambio mi lasci tranquilla?”

“Entro l’alba quella collana dev’essere mia. Prendila come ti pare, tramortiscila, drogala, non m’importa, ma portami quella collana. Credimi se ti dico che è meglio per te fare ciò che ti dico”

“Ok, ma come te la porto? Mica posso infilarla nello specchio! O devo portala nel studio di Elena a quella cosa gelatinosa?”

“Ci sei andata vicino. Devi donarmi un po’ del tuo sangue. Devi disegnare un cerchio nello specchio e metterci la collana. In quel punto, grazie al tuo sangue, si aprirà un portale ed io riuscirò a prenderla. Appena l’ho afferrata tu dovrai pulire il tuo sangue.”

L’idea del sangue aveva subito gettato nello sconforto Lucilla. Ebbe la sensazione che Elena stesse per uscire dalla doccia e si affrettò a rispondere: “Senti, io ti darei volentieri quella collana. Non è che voglia contraddirti, ma io ho il terrore del sangue e non credo di riuscire a disegnare sullo specchio con il mio. Non c’è un altro modo?”

“Che lagna che sei, in confronto poche gocce di sangue valgono una vita. Comunque, dovrai trovare un’altra persona che ti dia il sangue, chiunque tranne che Elena. Potresti provare con l’ orso che abita vicino a voi, di sangue ne avrà dentro a quel corpo.”

“Ma mica posso ucciderlo? Hai visto quant’è grande? Non è che puoi pensarsi tu al sangue e magari io rubo la collana e te la porto?” Non è possibile che io stia parlando con l’ombra di un viso sullo specchio di casa mia. Lucilla si spense la sigaretta, ma subito ne estrasse un’altra dal pacchetto e se l’accese. Si sentì alla stregua di una tossica, ma questa volta poteva permetterselo.

“Proverò a trovare un modo, ma in caso contrario ti dovrò costringere con la forza. Cerca anche tu un piano B, ad esempio andare in ospedale e rubare una fialetta di sangue”

Lucilla sentì Elena chiudere l’acqua della doccia. Si voltò verso il box, facendo finta di niente. Con la coda dell’occhio osservò lo specchio. Il volto era scomparo. Che avesse immaginato tutto?

Elena sapeva come si comportava la voce con tutte le persone che le stavano vicino.

Avrebbe fatto di tutto per convincere Lucilla a prenderle la collana. Da tempo ormai aveva studiato la soluzione migliore per poter salvare quello che era suo.L'unica cosa che le restava di lui.

"Ancora con quelle cazzo di sigarette!" Elena usci dal vapore della doccia urlando contro Lucilla. Prese il pacchetto e l'accendino e li scaraventò fuori dalla finestra.

“No!!! Ma sei pazza?? Era il penultimo pacchetto che avessi a casa! Senti, Elena, non è che potresti dirmi qualcosina in più su quella collana di cui mi stavi parlando? Sai... non è che mi piaccia granché, tutto sommato. Mi dà una strana sensazione...”

Elena guardava Lucilla dal riflesso dello specchio come era sicura avesse già fatto la voce.

“Se tu fossi stata mai una volta nel mio laboratorio sapresti tutto di questa collana, non sono cose che si possono spiegare in due minuti. La prossima volta vieni e impari qualcosa di utile nella tua vita!” Elena era infastidita dalla voce mellifua di Lucilla.

“Se proprio devo dirti qualcosa” sospirò profondamente “ricordati che qualsiasi cosa ti possano chiedere di fare per prenderla sarà tutto inutile. E comunque non le basterà! Ricordalo”

“Prenederla? Ma cosa dici? Perché dovrei prenderti la collana,” le chiede Lucilla, con aria innocente.

“Non saprei, forse la conosco meglio di  te e so molto bene come si  comporta. Comunque ora sarà il caso di andare a dormire, tra poche ore dovrebbe venire Tony, se non sbaglio. Non vorrai farti vedere con delle brutte occhiaie da un uomo. Miss Perfettina!”

“Senti un po’! Ma se conosci così bene questa creatura, perché non mi hai detto nulla? Mi hai chiamato a casa tua perché avevi paura. Ora sembri il protagonista del codice Da Vinci. Se siete tanto in confidenza, non potete andare a fare due chiacchiere a casa tua e lasciarmi in pace?” protestò con veemenza Lucilla, che aveva la netta sensazione di essere stata raggirata dall’amica.

“Sentimi bene Lucilla, se ti ho chiamato prima non era per divertimento. La voce non è mai riuscita a penetrare nel mio studio, credo dipenda da quella creatura che è sul soffitto. Non chiedermi come possa essere finita lì perché non ne ho idea. Sono sicura che dovrò lasciare la casa. Non è più sicura per me e vorrei che tu venissi via con me. Domattina possiamo andare in un posto sicuro.Ti va?” Elena guardava l’amica in attesa di una sua risposta affermativa.

 “Sì, sì, va bene. Ora mi lasceresti in pace in bagno cinque minuti? Devo fare pipì.”

Attese che l’amica uscisse e si rivolse allo specchio: “Ehy, ci sei? Senti, non c’è cascata. Cosa devo fare? Non puoi prendertela con me se quella ti conosce così bene.” Si augurò vivamente che la voce venisse a darle qualche consiglio su come risolvere la faccenda. Non è che le importasse molto di una stupida collana ed era decisamente incline a chiudere la vicenda il prima possibile.

“Quella Elena sta mettendo a dura prova la mia pazienza. È ovvio che vi seguirò, per quanto lei cerchi di scappare, se entro tre giorni non avrò quella collana prenderò seri provvedimenti. Spero per lei e per te di non dover arrivare a tanto.”

Com’era comparso, il viso scomparve dallo specchio. Lucilla si sentì distrutta. Doveva tradire un’amica, anche se molto stronza. E stava parlando con uno specchio. E in più il suo amato pacchetto di sigarette era stato gettato giù dalla finestra. Si prese cura di sé stessa, riflettendo sulla brutta cera che avrebbe avuto l’indomani mattina. Sconsolata e incapace di trovare una soluzione ai propri problemi, uscì dal bagno e andò incontro all’amica, la fonte dei suoi problemi.

“Se smetti di fumare la tua pelle ne guadagna di salute, per non parlare dei tuoi polmoni! Invecchi male mia cara, non reggi più neanche le ore piccole figuriamoci un po’ l’alcool” Elena era seduta sul divano con un bicchiere di vino che aveva trovato in cucina. “Pessima qualità! Dopo tutto dovevo aspettarmelo visto cosa fumi” In qualche modo doveva far arrabbiare al massimo l’amica almeno avrebbe capito che non sarebbe stato facile eseguire gli ordini che le erano stati sicuramente impartiti.

Se smetti di bere e mangiare ne guadagnerà sicuramente il tuo culo, pensò Lucilla in risposta. Ma era troppo affranta per rispondere. Si limitò a un: “Io vado a letto.” E si avviò verso la camera da letto, augurandosi di non trovare appostata qualche strana creatura.

Sul suo comodino però trovò un pacchetto di sigarette ed un biglietto - Per te - la voce aveva deciso di mostrare almeno in parte la forza del suo potere, sperò che Lucilla non si lasciasse intimorire da quella stronza di Elena.

Elena dal canto suo restò in salotto, non aveva nessuna voglia di stare vicino all’amica e al suo odore di nicotina. Poi non avrebbe potuto dormire doveva studiare un piano per l’indomani. Prese un blocco e una penna dallo scrittoio di Lucilla, visto che aveva lasciato il suo iPad a casa. Cercando di riprendere confidenza con la penna che ormai usava veramente di rado, stilò una lista di cose da prendere e poi si prese il primo libro che le capitò tra le mani.

Almeno nella lettura l’amica aveva buon gusto.

Fumata un’ultima sigaretta e grata a chiunque le avesse lasciato quell’inaspettato regalo, Lucilla si lasciò scivolare in un sonno tormentato, ma senza sogni.

Le sembrò di essersi appena addormentata quando sentì il citofono strillare senza sosta. Aprì gli occhi. La luce filtrava dalle imposte. Sentendosi distrutta dentro e fuori, Lucilla si trascinò in corridoio e giunse fino al citofono, odiando profondamente chi stesse suonando con tale insistenza.

Con pochissima grazia, si espresse in un: “E chi cazzo è?”

“Signora sono il postino, ma chi crede che possa suonare tre volte!”

“Ah scusi, scusi. È che ho avuto una nottata così così. Raccomandata? Le apro subito.”

Lucilla aprì, sperando vivamente che non fosse un’altra cartella Equitalia. Ormai aveva l’impressione che l’agente di riscossione avesse ci avesse preso gusto a scriverle. Per fortuna non si trattava di nulla di grave. Liquidò il postino e andò in cerca dell’amica.

“Buongiorno, Elena!” disse, con una certa ironia.

“Buongiorno una sega! Non hai nemmeno un caffè decente in questa casa? Solo caffè liofilizzato e per giunta decaffeinato!” Elena la mattina era sempre insostenibile, finché non beveva un caffè almeno decente non riusciva mai a carburare al meglio.

“Senti andiamo nel mio appartamento, almeno riusciamo a fare una colazione decente e poi aspettiamo quel Tony. Comunque devo ancora capire dove siano finite le mie chiavi.” Elena era già sulla porta, non avendo dei vestiti puliti si era dovuta mettere una ridicola vestaglietta tutta fronzoli dell’amica.

Lucilla si preparò con cura in bagno. Mentre si stava vestendo di fronte alle grandi ante a specchio della sua camera da letto, sentì nuovamente suonare il citofono.

“Ely, puoi sentire tu chi è questa volta, per favore?” urlò all’indirizzo dell’amica.

Se mi chiama un’altra volta in quel modo idiota la strozzo! “Certamente Lucy, sarà un piacere farti da cameriera!” Elena prese il citofono, ma nessuno rispose, poi aprì la porta e sul pianerottolo trovò solo della polvere nera. Lei sapeva di chi erano quelle tracce. Dovevano andare via quanto prima.

“Lucilla dobbiamo muoverci, io vado nell’appartamento. Muoviti o ti lascio qui. Giuro morissi ora lo faccio e fanculo te, la voce e quell’idiota di Tony che non si è ancora fatto sentire.”

Il citofono suonò una terza volta. Lucilla guardò di sbieco l’amica: “Ma non sai neppure rispondere al citofono?” le disse. Ascoltò la voce proveniente dalla strada. “È per te. Finalmente è arrivato il tuo salvatore. Dice di scendere.”

Lucilla ed Elena si affrettarono a scendere per le scale. La padrona di casa fece attenzione a mettere nella borsetta le sigarette. Guardando la vestaglietta dell’amica, le venne da sorridere. Con tanti vestiti, era andata a scegliere proprio quello.

“Signorina Elena, buongiorno! Sono Tony, mi avete fatto chiamare per un intervento?”

Lucilla squadrò l’essere che aveva di fronte. Magro più di uno scheletro, con un pomo d’adamo che sembrava uscirgli dal collo e proiettarsi oltre la linea del mento, aveva i capelli chiaramente unti e chiaramente privati di uno shampoo da almeno una settimana. La t-shirt che indossava, puzzava. I jeans erano sporchi di grasso e unto. La testa era sormontata da un cappellino con il logo dell’agenzia.

Gettò un’occhiata furente all’amica.

“Tony, vero? piacere di conoscerti, la mia amica era in trepida attesa per il tuo arrivo. Vedi come si è messa tutta in tiro? Sai fa sempre così con tutti i nuovi uomini che conosce!” Elena strizzo l’occhio al tipo.

“Personalmente preferisco il tuo abito floreale, senza nulla togliere alla tua amica” e così dicendo  fece una faccia che voleva apparire affascinante.

“Dove sono i fantasmi?” chiese tornando “serio”.

“Se mi segui, andiamo nel mio appartamento... ma credevo che il tuo amico ti avesse già dato qualche indicazione o sbaglio?” Elena non era ancora molto convinta che quei due tizzi fossero veramente adatti a quella situazione. Era sicura che non avessero mai visto niente di quello che avrebbero trovato nel suo studio.

“Credo che il mio amico fosse parecchio adirato e ubriaco per dirmi i dettagli, ha solo detto va’ da quella che abita vicino a me perché ha problemi con gli spettri. Ed eccomi qui al vostro servizio.”

Accidenti, pensò Tony, quel cretino del suo amico non gli aveva detto nulla. E vista la sicurezza della bellezza col vestito floreale, forse davvero c’era un fantasma. Cercò di mantenere la calma mentre seguiva Elena lungo il corridoio principale. Quella casa, sebbene illuminata, era inquietante.

Una volta arrivati nello studio posò la sua valigetta a terra e cominciò ad estrarne strani attrezzi assemblandoli in modo poco convincente. Alla fine sembrava più un trespolo per uccelli che una macchina acchiappa fantasmi.

“Bene non ci resta che aspettare che il nostro fantasma si metta in mostra,” e così dicendo si sedette sulla sedia facendo come se fosse a casa sua.

Lucilla nel frattempo osservava sgomenta la forma gelatinosa appiccicata sul soffitto. “Scusi se mi intrometto, signor Tony. Ma non dovrebbe cercare di capire che cosa sia quella massa viscida attaccata sul soffitto?”

”Scusa di che parli? Non c’è nulla attaccato al soffitto. Signorina Lucilla, questo è un lavoro serio. Se lei ha le visioni ho il numero di un buon strizzacervelli per lei. Ora stai un po’ zitta per favore.”

Lucilla avvampò per il modo in cui era stata trattata. Si rivolse all’amica: “Ma tu non la vedi più?”

Elena era intenta a cercare tutte le cose che le servivano e non aveva dato ascolto al battibecco tra i due. Alzando gli occhi verso il soffitto vide molto bene la donna che era ancora intrappolata nella massa gelatinosa.

Lucilla notò lo sguardo dell’amica: “E perché lui non la vede?” le disse quasi sottovoce, puntandosi l’indice sulle tempie.

“Credo che sia lei a non farsi vedere da lui. Non capisco che genere di legame riesca a sentire tra noi due. Tu vedi la donna come senti la voce, e comunque credo che sia un benemerito truffatore. Guarda cosa ho trovato!” Elena si avvicinò all’amica e le mise in mano un piccolo oggetto di metallo con dei fili.

Intanto Tony stava per prendere sonno, tanto era comodo sulla sedia dello studio. Sentendo però che quelle due continuavano a blaterare si innervosì “Signorine, mi disturbate, sto cercando di entrare in contatto con gli spiriti che aleggiano in questo studio.” Poi qualcosa cadde dal soffitto e gli finì dritto in fronte. Con una mano si toccò e sentì qualcosa di schifoso e giallastro. “E questo...” alzò gli occhi e la vide, la donna intrappolata che rideva  e con le labbra diceva le parole “vieni qui.” Come svegliatosi da un sogno Tony si alzò di scatto facendo cadere la sedia e la sua “attrezzatura”

“Voi due siete pazze!! Avete bisogno di un’esorcista non di un acchiappafantasmi” e così dicendo si dileguò sbattendo tutte le porte che incrociava.

“Ecco come ti  dicevo, non è la persona che dice di essere e lei si è fatta volutamente vedere per mandarlo via. Comunque quella che ti ho dato prima è un microcamera.” Elena era ancora intenta a guardare la donna che le stava fissando.

“Elena, ti va di liberarmi da questa tortura?” chiese la donna con tono suadente.

“So benissimo cosa vuoi da me, e non è certo essere liberata. Non hai bisogno del mio aiuto.” Elena strinse a se la collana e il solito calore la pervase rendendola sicura nelle sue azioni.

La donna imprigionata rise debolmente. “Credi davvero mi interessi quello stupido occhio? Credi di sapere tutto, ma in realtà non sai nulla di ciò che voglio.”

Lucilla non potè più resistere: la fuga di Tony, il ritorno della voce, la massa gelatinosa che ora sembrava parlare come una qualsiasi donna, ma quell’inflessione che sembrava provenire da un altro mondo. Si accese nervosamente una sigaretta. “Sentite, visto che finalmente vi parlate, perché non vi dite tutto una volta per tutte e non cerchiamo di piantarla qui con questa storia una volta per tutte?” Tamburellò sul pavimento con i tacchi che le erano apparsi comunque adatti all’incontro con un ipotetico e affascinante acchiappafantasmi.

"Spengi subito quella cazzo di sigaretta, rovina i miei lavori. Siediti su  quella sedia e stai zitta.” Elena urlò all’amica con rabbia.

“E tu  brutta stronza vedi di scendere dal soffitto e parlami apertamente, visto che io non so nulla di quello che vuoi. Ne ho abbastanza le palle piene dei tuoi sotterfugi, sono anni che mi stai alle calcagna. Da quando lui ha scelto me invece di te. Non l’hai mai digerito questo vero?” Elena era su tutte le furie il dolore che sentiva dentro stava diventando insopportabile.

Lucilla aspirò profondamente un tiro di sigaretta ed espirò in direzione dell’amica. La guardò con insofferenza e insolenza. Si ricordò che non aveva detto al suo capo del fatto che non sarebbe andata al lavoro. “Ascoltami, genio del soprannaturale, non ti viene in mente che se è spiaccicata sul soffitto del tuo appartamento, forse è perché non può venire qui giù a fare due passi con te? E poi è proprio necessario invitarla a venire da noi quando lei non ne ha nessuna voglia?”

"Te la faccio ingoiare se non la butti subito!" Elena si avvicinò all'amica e le strappò la sigaretta dalla mano. "Stai zitta! Non capisci che se non scende di lì non ne veniamo fuori in nessun modo. Tutte e due logicamente.”

Lentamente, la donna si staccò dal soffitto e, con una grazia inimmaginabile, si mise davanti a loro. Era bellissima, aveva lunghi capelli ondulati, ed una piccola coroncina di fiori neri, il tutto accompagnato da una lunga tunica rovinata verso la fine.

“Sono qui, ma non perché me l’hai chiesto tu, Elena, lo faccio per la tua amica, che paziente ti sopporta giorno dopo giorno.” Si guardò intorno. “Io non sono la Voce, io sono colei che la voce tiene imprigionata qui, e credimi stare in tua presenza non è affatto piacevole. Per liberarmi devi distruggere la voce, e per distruggere la voce....” con un mano indicò la collana di Elena “..devi distruggere l’occhio. Solo così entrambe saremo libere” e così dicendo tornò leggiadra ad ancorarsi al soffitto.

Lucilla si spostò sotto alla donna. Le rivolse uno sguardo di gratitudine e sottovoce le disse: “Grazie!“

Poi, rivolgendosi all’amica: “Hai sentito cosa ha detto la nostra nuova amica? Per favore, Elena, possiamo distruggere questa maledetta collana e liberare la nostra amica e noi dalla presenza inquietante di quella voce?”

Elena aveva le lacrime che le solcavano il viso. Scosse la testa tenendo stretta la collana.

“Non capisci cosa mi chiedete di fare. Mi chiedete di ucciderlo nuovamente. Ma capisco che sia l’unico modo per liberare tutte noi, e forse anche lui.” Elena era affranta ma sapeva di avere un’altra possibilità.

“Ok, farò quello che mi chiedete, ma non qui. Non è il posto giusto non siamo al sicuro. Nel momento in cui distruggerò questa collana saremo nelle sue mani. La voce potrà fare di noi quello che vuole. Dobbiamo partire quanto prima.” Elena prese la borsa che aveva preparato e andò in camera per cambiarsi i vestiti, aggiungendo poche cose prese con fretta dal guardaroba. Si voltò verso l’amica attendendo di  essere seguita.

Lucilla guardò speranzosa il soffitto. Era rimasta profondamente colpita da quella donna: i bellissimi capelli, la tunica, l’espressione del viso, l’intensità degli occhi. L’aveva subito sentita affine a sé e, se era vero che era tenuta imprigionata, avrebbe fatto di tutto per liberarla. “Cosa ne pensi?” le chiese. Non si sarebbe mossa di lì finché anche lei non avrebbe dato il proprio assenso. Del resto, se si trovava proprio in quel luogo, doveva esserci una ragione. E non era sicuro che il piano di Elena di spostarsi da qualche altra parte fosse una buona idea.

“Lei vi troverà ovunque cerchiate di nascondervi. In questi anni è diventata potente, non c’è possibilità di fuga. Conosco un luogo però, nel quale la sua magia non può entrare e potrà servire a te, Elena, per rompere l’involucro che contiene l’occhio. Si tratta della cattedrale più grande di Roma, era lì che vivevo prima di essere intrappolata. Andate lì, scheggiate l’involucro, e tornate qui immediatamente. Vi aiuterò io a distrarla.”

"Perché sei stata imprigionata?" chiese Lucilla. “Che cosa vuole da te la voce?” Lucilla aveva l’impressione che la prigionia di quella creatura e la loro situazione fossero in qualche modo collegate.

“Io sono sua sorella. E lei non tollera che io sia più potente di lei. Grazie a quella collana lei può attingere ad un potere immenso, ed io verrei distrutta per sempre.”

“Tu non sai nulla di come si debba distruggere questa collana. Non conosci nemmeno perché esista...non puoi sapere dove sia il posto più sicuro dove andare!” Elena aveva il pianto che le si rompeva in gola, stava nuovamente rivivendo tutto come la prima volta. Si voltò verso l’amica e cercando un minimo di conforto allungò la mano.

Lucilla le diede la mano. Si avvicinò a lei e la abbracciò. “Lo so che questa collana è tutto ciò che ti è rimasta di lui. Ma devi lasciarlo andare. E se lei ci ha detto come dobbiamo comportarci, perché non provarci? È sua sorella. E credo che sia sincera e voglia aiutarci. So che non ti viene facile, ma per una volta prova ad avere fiducia anche negli altri.

“Ok, se ti fidi tanto di lei, andiamo” Elena sapeva benissimo che non sarebbe servito a niente tutto quello che aveva detto la donna, ma in quel momento le forze la stavano abbandonando e remissiva si avviò verso la porta di casa.

 Non serve che prenda altro...tanto non tornerò più in questa casa. Potrei anche lasciare la porta aperta per facilitare il lavoro a quei due stupidi tanto come entrano nello studio si cagano a dosso e scappano a gambe levate. Per un attimo sorrise, prese le chiavi dell’auto e si incamminò per le scale.

Lucilla guardò quella figura. Era davvero bellissima. Ora che ne aveva viste le vere sembianze non riusciva a staccarsi dal suo fascino magnetico. Avrebbe fatto quello che desiderava. A qualunque costo. Anche a costo della propria vita. O di quella di qualcun’altro.

“Buona fortuna mia dolce Lucilla, sei molto più importante di ciò che sembra.” E così dicendo chiuse gli occhi e parve addormentarsi.

“Si è addormentata,” osservò Lucilla, inquieta, ma soddisfatta per le parole della donna. … molto più importante di quel che sembri, aveva detto. In teoria, non le avrebbe fatto granché piacere sapere di essere invischiata in qualcosa di simile. Tuttavia... Tuttavia, nei confronti di Elena, era un bello smacco. Guardò di sbieco l’amica, immaginando che si stesse consumando nella gelosia. Una bella sigaretta! Era quello che ci voleva... qualche bella boccata da espirare in faccia all’amica!

“Lucilla devo aspettarti ancora per molto? Vuoi portarti dietro la tua nuova amichetta?” Elena attendeva impaziente.

Elena le passò davanti con la sigaretta stretta tra le dita ben alzata: “Non mi sembra abbia molta voglia di venire con noi. Forza... andiamo a liberarci di questa collanina, che prima poi dovremmo anche tornare al lavoro! Ah già... solo una di noi ha un lavoro!”

“Sai com’è, c’è chi si può permettere di vivere della propria arte! Dopo tutto non è semplice fare la segretaria sfigata, se non mi sbaglio?”

Sì, con i soldi di papà sono tutti dei bravi artisti, riflettè Lucilla, già su quel pianerottolo che le evocava pessimi ricordi. “Senti... tu la conosci la chiesa dove dobbiamo andare?”

“Non è una chiesa! Una Basilica è cosa ben più importante... vedi che sei proprio ignorate!”

Elena era tentata! Le mani le prudevano...

“Saputella... se proprio vuoi essere precisa, allora ha detto cattedrale!” rispose Lucilla, che scendeva le scale ancheggiando come se stesse andando a un sfilata,

Basta non la sopporto più ...Posso darle una spinta? Sai che goduria vederla rotolare giù per le scale! Già mi immagino la scena...grida rumori di ossa che si rompono e poi una bella pozza di sangue! SI!

Elena guardava l’amica mentre scendeva le scale e scuoteva la testa sempre più convinta delle sue cattive intenzioni.

Ma una vocina dentro la sua testa....

La vocina era stridula e sembrava le parlasse senza filtri, ogni parola giungeva direttamente nella sua testa. Vuoi davvero buttare dalle scale questa stronza?

Elena si soffermò sul pianerottolo, riflettendo attentamente. Dopo tutto Lucilla mi serve! Sarà anche la stronza più stronza di questo pianeta ma senza di lei come potrei passare i miei pomeriggi... una modella come lei non la ritrovo da nessuna parte. Ok niente volo dalle scale! Per questa volta.

“Eh sia ben chiaro! Il ciondoletto magico è tuo, quindi se proprio dobbiamo andare a Roma il Frecciarossa lo paghi tu, che da Milano a Roma è un bel salasso! Se vuoi io ti offro i biglietti della metro.”

Coscienza, coscienza mia, ti prego aiutami, non posso rimangiarmi le parole che ho appena detto!

“Lucilla, non serve andare in treno! Prendiamo la mia macchina.” Elena si avvicinò all’auto parcheggiata dentro il suo boxauto. Un clic e le portiere si aprirono, con grande stupore di Lucilla.

“Ehy, aspetta, mica posso partire così? Cinque minuti e sono da te.”

Lucilla tornò dopo ben più di cinque minuti con abiti nuovi, una bella borsetta e un trolley nel quale si era premunita di infilare altri tre cambi, due paia di scarpe, lo spazzolino, i trucchi, il set per le unghie e altri beni che riteneva necessari per quel tipo di viaggio. In borsetta, aveva infilato altri tre pacchetti delle sue adorate Marlboro. Guardò l’amica, immaginando, visto quanto già sembrava sciatta prima del viaggio, quanto lo sarebbe stata una volta a Roma sempre con gli stessi abiti.

Salì sorridendo in auto. “Ora possiamo andare! Posso fumare, vero, in auto?”

“Assolutamente NO! Se non vuoi fare tutto il viaggio sul tettino dell’auto, ti conviene dimenticarti le sigarette fino alla stazione di servizio... tra non so quanto chilometri!”

Che palle! Vedi ad aiutare questa culona cosa ne ottengo? Lucilla infilò la sigaretta nel pacchetto, calcolando mentalmente quanto ci sarebbe voluto prima di obbligare l’amica a fermarsi per fare pipì.

Il traffico per uscire da Milano era come al solito infernale. Una volta giunte sulla tangenziale si ritrovarono imbottigliate in una coda chilometrica. Lucilla si sentiva tutta appiccicaticcia e accaldata. “Ma questo bolide non è dotato d’aria condizionata?”

“Lucilla, sei sicura di non essere entrata in menopausa? Ti faccio presente che l’aria condizionata è accesa!” Elena guardò in viso l’amica.

Lucilla stava copiosamente sudando, il viso era completamente arrossato, e sulle braccia aveva delle strane macchie violacee.

“Lucilla, ti senti bene?” Elena cercò di accostare nella prima piazzola d’emergenza disponibile preoccupata per le condizioni dell’amica.

“Lucilla?”

Lucilla uscì dall’auto e si accese una sigaretta. “Sì, sì, sto bene. Avevo solo un po’ bisogno d’aria.” Scrutò le macchie viola sulle braccia. Le aveva notate poco prima, ma sperava che l’amica non le avesse viste.Ci mancava solo l’infezione vaginale!

“Senti... Elena... sei sicura di quello che stiamo facendo? Non dovremmo chiedere aiuto a qualcuno?”

Elena osservava le braccia dell’amica, aveva il timore che potesse essere stata infettata da qualcosa. Forse la sostanza gelatinosa che ricopriva quella donna nel suo studio poteva esserne la causa.

“Lucilla, io non ho la più pallida idea di come possiamo gestire questa situazione. Sono più preoccupata per te!”

Elena si avvicinò all’amica porgendole una bottiglietta d’acqua, non voleva che si disidratasse per quanto stava sudando.

 “Senti... quella voce,” disse Lucilla, “mi ha detto che avrei dovuto portarle il ciondolo. Non mi sento tanto bene. E se si stesse vendicando perché ho disobbedito? Però non capisco... non può prendersela direttamente con te? Cosa c’entro io?”

Elena ripensò alle parole della voce: “Lui non è mai stato tuo, tu non sei mai stata sua. Non contavi niente per lui, eri solo un tramite per il suo passaggio terreno. Lui appartiene alla notte e al dolore. Tu non sarai mai la sua luce!”

Elena non riusciva a capire perché quella voce si stesse accanendo sull’amica.

Ok, le aveva intimato di portarle il ciondolo entro l’alba, ma dopo tutto la voce sapeva benissimo che non le sarebbe bastato averlo.

Lucilla era in pericolo e lei non sapeva come aiutarla. Poi ripensò all’ultimo luogo dove era stata con lui. Forse raggiungere quel luogo poteva essere un’idea migliore. Andare a Roma forse non era necessario.

Risalì in auto intimando all’amica di salire velocemente.

“Lucilla, sali in auto subito. Abbiamo poco tempo a disposizione. Non possiamo attardarci oltre.”

Lucilla gettò a malincuore la sigaretta sull’asfalto e salì in auto.

“Elena, ho paura,” confessò Lucilla, che non era più così eccitata alla prospettiva di quel viaggetto nella capitale.

“Lucilla, non ti devi preoccupare. Credo di avere una soluzione migliore. Cerca di dormire un po’, così non pensi a fumare e ti rilassi.”

Lucilla avrebbe preferito fumare a rilassarsi a casa propria. Ad ogni modo, chiuse gli occhi e cercò di tranquillizzarsi con gli esercizi che le aveva suggerito il suo maestro di yoga.

Per loro fortuna il traffico stava defluendo, imboccarono l’autostrada verso Bologna.

Elena guidava come una folle senza badare ai limiti di velocità. Era convinta che dovessero raggiungere quel luogo prima del tramonto.

Quando arrivarono vicino Firenze, si dovette fermare perché Lucilla, doveva fumare e fare nuovamente pipì.

Lucilla aveva fame: “Ci fermiamo a mangiare qui all’autogrill? Ti va un’insalata?”

Sapeva che l’amica avrebbe preso ben più di un’insalata. Comunque aveva fame, era di cattivo umore e non aveva poi molta voglia di tornare in auto.

“Possiamo fermarci senza problemi anche per un’ora. Siamo vicine alla nostra destinazione. Puoi riposarti, mangiare, fumare quanto vuoi.” Elena era in trepidazione, sarebbe ripartita anche subito ma l’amica le sembrava che stesse sempre peggio e non voleva affaticarla più del dovuto.

“Ok, io vado un minuto in bagno.”

Lucilla corse in bagno, desiderosa di sciacquarsi il viso. Il viaggio sarebbe stato ancora lungo. Forse Elena non era una grande viaggiatrice, visto che non sapeva che tra Firenze e Roma la strada era piuttosto lunga.

In bagno, fece pipì, si lavò mani e viso ed estrasse dalla borsetta le sue cose per rifarsi il trucco. Quel viaggio non era assolutamente una cosa positiva per la sua cera. Si osservò bene, poi prese il mascara. Mentre si stava prendendo cura delle proprie ciglia, gli parve di vedere qualcosa nella specchio. No, non è possibile... pensò, con il cuore che le batteva forte. Ma quella stronza di Elena non c’è mai quando serve?

Rimise tutto velocemente nella borsetta e si girò per uscire.

“Quanta fretta!”

Non aveva dubbi. La voce era la sua.

“È passata da un bel po’ l’alba. Anzi, direi che siamo quasi più vicini al tramonto.”

“S-sì, l-lo so. De-devi, cioè, d-deve scusarmi, ma io non sono ancora riuscita a prendere il ciondolo!”

“Non è che non ti stai impegnando? Ti avevo detto entro l’alba!”

Lucilla fissava lo specchio. Questa volta la sagoma del viso si percepiva appena, come se stessi perdendo io consistenza.

“Lo so. Ma non è stato facile. Elena ha dormito con il ciondolo al collo. Devo aspettare il momento giusto.”

“Cara Lucilla... mi sembra che tu abbia cominciato a sentirti poco bene.” Lucilla si guardò istintivamente le braccia. “Hai ancora mezza giornata. Domattina dovrai offrirmi ciondolo e sangue. Altrimenti, quelle macchie ti daranno molti più problemi di un semplice prurito.”

“V-va bene!”

Lucilla in lacrime scappò fuori dal bagno. Cercò l’amica, che stava ordinando un panino e una Coca al bar. Ma questa pensa sempre a mangiare?! “Dammi subito quel cazzo di ciondolo!”

“Cosa ci vorresti fare?” Elena era sicura che la richiesta dell’amica fosse dettata solo da gli ordine che doveva nuovamente aver ricevuto dalla voce.

“Senti... non ne posso più. Ora non mi posso neanche più specchiare in pace. È qui. E vuole il ciondolo! Perché non vuoi darglielo? Cosa ti costa? Preferisci quello stupido ciondolo alla vita della tua migliore amica? Guarda!” Lucilla le mostrò le braccia con quelle brutte chiazze viola. “È opera sua! È arrabbiata perché non le ho dato il ciondolo. Io non ne posso più. Ora diamoglielo e torniamo tranquille a casa!”

Elena sapeva che il ciondolo da solo non serviva a niente. Poteva darlo benissimo all’amica.

Si voltò di spalle e alzando i capelli le disse:

“Non posso sciogliere il nodo da sola, aiutami per piacere. Poi puoi farne quello che vuoi, ma...” sospirò profondamente e proseguì “ma devi promettermi una sola cosa! Quando le avrai dato il ciondolo, mi seguirai senza fare storie. Niente domande, niente borbottii o altre fermate. “

Lucilla era perplessa: “Cosa vuol dire che non puoi sciogliere il nodo da sola?”

“La collana è troppo stretta per poterla far passare dalla testa. Non possiamo tagliare il cordino di canapa. Deve essere sciolto. Tutta la collana deve rimanere integra fino all’ultimo. Aiutami ti prego!”

Lucilla guardò la sua amica preoccupata. Aveva sempre quella collana al collo. Pensava si trattasse solo di cattivo gusto. Invece c’era una ragione.

Guardò disgustata i panini che l’amica aveva ordinato per il pranzo e chiese un’insalata.

Il pasto fu breve. Non avevano poi tanta voglia di parlare. Era come se non parlare di quello che stavano per fare le aiutasse a rilassarsi cinque minuti. Quando uscirono, Lucilla si accese una sigaretta. “Non dovremmo iniziare ad informarci di quale sia la cattedrale più grande di Roma? E dovremmo anche prenotare un albergo, visto che quando arriveremo sarà buio e non credo che tengano le chiese aperte a quell’ora!”

“Lucilla noi non stiamo andando a Roma!” Elena prese la mano dell’amica. “Toglimi la collana e portala a lei!”

“E dove staremmo andando?” le chiese Lucilla, sbigottita. Era stata trascinata fino a Firenze per scoprire che non sarebbero andati a Roma? Questa non gliela avrebbe fatta pagare!

“Sbrigati, ti ho detto che dobbiamo essere lì prima del tramonto. Ti sto portando nel luogo dove sono stata per l’ultima con lui. Dove lui mi ha consegnato questa collana.”

Lucilla squadrò l’amica: “Sei sicura che vuoi che ti tolga la collana? Hai fatto tanto per tenerla!”

“Lucilla, ti ho detto di toglierla. Vuoi darmi retta per una volta? Fallo subito!”

Lucilla sospirò. In fondo, voleva davvero bene a Elena. A volte pensava che fosse quasi come una sorella. Sentiva che avrebbe mai potuto vivere lontana da lei. Però odiava essere trattata in quel modo, come se l’altra ne sapesse molto di più e lei non fosse abbastanza degna di conoscere i suoi segreti.

Titubante e perplessa, portò le mani al collo dell’amica, che nel frattempo si era girata. Il nodo della collana si sciolse senza tanti problemi.Tante storie e poi è così facile da togliere.

Guardò il ciondolo, che non le parve essere nulla di speciale. “Senti, Elena... a dire il vero... dovrei portare allo specchio anche del... sangue. E, visto che io ho il terrore del sangue, non è che potresti pensarci tu?”

Senza pensarci due volte, Elena estrasse dalla sua borsa uno stiletto appogiando la lama sul polso, si voltò verso l’amica: “Quanto te ne serve?”

Lucilla la guardò inorridita: “E che ne so?!” le rispose, scandalizzata, voltando il viso dall’altra parte.

Elena non si perse d’animo. “Andiamo, portami da lei. Forse facciamo prima se siamo insieme. Tu le consegni la collana, mentre io le dò il mio sangue!”

Le due donne si avviarono verso il bagno, che fortunatamente era deserto.

Lucilla titubante porse il ciondolo verso lo specchio. Le sembrava un gesto un po’ strano. Con sua grande sorpresa, vide la zona dello specchio vicino al ciondolo diventare sempre più scura. Fu come se il materiale sparisse e si creasse un vuoto.

“Elena,” disse la voce, “finalmente hai deciso di sottometterti al mio volere!”

“Non ho tempo da perdere con te! Volevi del sangue? Ecco prendine quanto ne vuoi!” Elena non finì neanche la frase, che si ferì con lo stiletto.

La lama era talmente affilata, che non dovette affondare più di tanto nella carne.

Dalla pelle delicata del polso, un rivolo di sangue si riversò nel lavandino davanti a lei.

“Sul ciondolo! Il sangue dev’essere sul ciondolo,” disse la voce.

Il sangue scorreva sempre più velocemente, tanto da farle perdere un po’ di forze. Elena si voltò verso l’amica in cerca d’aiuto.

Lucilla prontamente la sorresse con una braccio. Portò il ciondolo verso l’imboccatura del cerchio oscuro. Lo inserì dentro. Vedendo che andava oltre dove sarebbe dovuto esserci la superficie dello specchio, strabuzzò gli occhi.

Sentì una forte attrazione trascinarle la mano. Cercò di resistere, ma la mano sembrò scivolare dentro. Si sentì sollevata. Con orrore, vide il corpo dell’amica farsi sempre più piccolo. No, non solo quello di Elena. Anche il suo. Era come... era come se entrambe fossero risucchiate in quel varco oscuro.

“Brave ragazze... venite da me.” La voce parve ridere. Lucilla guardò dietro di sé il bagno. Le apparve gigantesco. Poi tutto divenne scuro. Chiuse gli occhi terrorizzata. Sentì il pavimento sotto le suole. Per fortuna... è stata solo la mia immaginazione. Aprì gli occhi. Elena era ancora appoggiata al suo braccio. Ma qualcosa non quadrava. Il marmo sotto le sue scarpe era diventato pietra, piuttosto irregolare. Si guardò intorno. Anche le pareti del bagno ora erano in pietra. La finestra era stata sostituita da una piccola grata. A terra in un angolo c’era un po’ di paglia. Si girò. Al posto della porta, ora ce n’era una in ferro con uno spioncino. Quel luogo le ricordava tanto una cella, di quelle nelle quali venivano rinchiuse le streghe tanto tanto tempo prima.

Lucilla si guardava intorno, sbigottita. Si rese conto di essere completamente nuda. Allontandanandosi dal corpo dell’amica, notò che lo erano entrambe. Dove si trovavano? Cos’era quello strano luogo? E perché ciondolo e vestiti erano scomparsi? D’istinto si gettò contro la porta, cercando di abbassare la maniglia, che rimase immobile. Picchiò con forza sul legno. Urlò, chiedendo aiuto. Si voltò verso l’amica; con qualcosa doveva sfogarsi.

“E tu che cazzo fai lì impalata?”

Elena guardò l’amica, senza aver le forze per controbattere alle sue parole. Dal polso un rivolo di sangue continuava ad uscire indebolendola sempre di più. Cercò intorno a se qualcosa per tamponare la ferita. Non c’era altro che paglia, ne prese un ciuffo e lo premette con forza sulla ferita.

“Lucilla non so assolutamente dove siamo, non so cosa voglia da noi.”

 Dall’esterno della cella cominciarono ad arrivare degli strani rumori. Sembravano... passi. La porta della cella si aprì e apparve una bellissima donna dai lunghi capelli neri. La sua perfezione era terrificante. Porse alle due ragazze qualche straccio per vestirsi e delle bende per fermare l’afflusso di sangue di Elena.

“Verrò tra poco a portarvi qualcosa da mangiare. Quando sarete sistemate...noi tre dobbiamo fare una piccola chiacchierata.” e così dicendo chiuse la porta e le lasciò nuovamente sole.

Lucilla rimase pietrificata. Il fascino, il tono della voce, l’aura che emanava quella donna l’avevano profondamente colpita. Aveva d’impulso sentito il desiderio di gettarsi ad abbracciarla, pur non riuscendo muoversi, né a proferir parola. E quella voce... Era lei la voce dello specchio. E ora... lì.. di fronte a lei... Si voltò verso l’amica, che si stava fasciando il braccio: “L’hai vista?” le chiese, sospirando.

“Certo che l’ho vista!” Elena scosse la testa per quanto la sconcertasse l’amica. Certe volte si chiedeva se c’era o ci faceva.

“Come è possibile non riuscire a vedere una creatura del genere.” I brividi le percorsero la schiena facendolo riaffiorare ricordi terribili che sperava fossero svaniti dalla sua mente.

Lo spavento di Lucilla era stato mitigato da quell’inconsueta apparizione. Si sentiva sotto un particolare influsso e non aveva alcun desiderio di uscirne. Anche Elena le pareva scossa da quell’apparizione, sebbene in modo quasi opposto al suo. C’era qualcosa nella sua reazione...

“Elena, tu la conosci, non è vero?”

“Sì.” Non c’era molto da dire su quella donna. Le uniche parole che le venivano in mente per poterla descrivere erano: terrore e dolore.

A Lucilla dispiaceva vedere lo sguardo di sofferenza dell’amica, ma ora aveva bisogno di capirne di più: “Elena, guarda dove siamo! In una cella chissà dove! Siamo prigioniere! E tu continui a non dirmi nulla quello che è accaduto tra di voi. Io devo sapere!” le disse, esasperata dalla reticenza dell’amica.

Le lacrime iniziarono a scendere sul volto di Elena, nel momento in cui il ricordo di lui affiorava nella sua mente, d’istinto si toccò il collo in cerca della sua collana.

Lucilla si avvicinò e l’abbracciò. Si sentiva stranamente più forte, ora. “Elena, almeno sai perché siamo finite qui e cosa sia questo posto?”

Elena non riuscì a rispondere, perché altri passi, più veloci e indecisi, giungevano da lontano. Quando la porta si aprì, un’essere piccolo e malformato fece loro un sorriso, porgendo un vassoio di metallo.

“La mia padrona desidera che vi rimettiate in forze. Verrò a prendervi fra un’ora. Quindi cercate di mangiare e riposare un po’.” Senza ulteriori spiegazioni si avviò verso l’uscita, ma prima di chiudere definitivamente si voltò verso Lucilla “Siete stupenda Lucilla, sono certa che farà grandi cose.” e s’inchinò leggermente. Poi sparì.

Lucilla sorrise imbarazzata. Il complimento le aveva dato un certo piacere, ma quell’esserino era proprio un po’ bruttarello. “Elena, dove siamo finite? Lo sai o no?”

Elena era stanca e demoralizzata. Ancora una volta si sentì esclusa da quel mondo, dove un tempo aveva trovato l’amore.

“Non so dove siamo di preciso, non riconosco questo luogo. Ma credo che presto capiremo dove ci troviamo e sono sicura che per te sarà sicuramente una piacevole sorpresa. Ti sentirai una regina per come ti tratteranno.”

“Ely,” si spazientì Lucilla. Alzò la voce senza volerlo. “Cosa significa di preciso? Come fai a sapere queste cose? Io non voglio sentirmi una regina, voglio tornare a casa, andare al lavoro ed evitare di farmi licenziare. Perché non parli? Non credi che se sai qualcosa dovresti sforzarti di essere un pochino più precisa?” Lucilla proprio non riusciva a comprendere le reticenze dell’amica. Era stata svegliata nel cuore della notte, trascinata in un viaggio impossibile, risucchiata da uno specchio, minacciata da una voce... e l’unica sua teorica alleata se la tirava e faceva la misteriosa. Era intollerabile!

“Se tu mi avessi dato ascolto, se tu mi avessi seguito senza fare tante storie,” Elena sbuffò spazientita all’amica “ci troviamo in questo posto solo per colpa tua. Non posso e non voglio darti spiegazioni. Noi non dovevamo essere qui. Per il tuo lavoro, la tua casa, la tua vita non devi preoccuparti... in questo luogo il tempo si ferma, tutto il resto non esiste.” Elena chiuse gli occhi  e cercò  di recuperare quel poco di forze che aveva.

Lucilla avrebbe avuto voglia di tirare qualcosa in testa all’amica, ma in quel luogo non c’era altro che paglia e gli stracci che indossavano. Era troppo arrabbiata per rispondere. Si sedette in un angolo e attese. Una regina? Mi sentirò come una regina? Tra sé e sé le venne quasi da sorridere. Era come essere in una delle sua amate storie fantasy. Si guardò le dita: le sigarette! Non aveva fumato. E non ne aveva neppure sentito il desiderio. Questo era ancora più incredibile! Ma cosa stava succedendo?

Elena e Lucilla mangiarono in silenzio. L’ora a loro disposizione volò e, prima che se ne accorgessero, la porta si aprì per l’ennesima volta. L’omino basso  sorrise. “Volete seguirmi? La mia signora ha detto che se opponete resistenza dovrò legarvi, spero non sia necessario.” Si avviò senza controllare che le due lo seguissero. Cominciarono a salire una lunga scalinata, che a tratti si trasfomava in chiocciola, per poi tornare dritta. Le pareti mutarono solamente quando uscirono dalle segrete. Si trovavano in un palazzo, L’arredamento era in stile Settecentesco, con pavimenti in marmo, con arredamento riccamente decorato. L’omino si fermò davanti ad un portone con doppia anta. “Vi consiglio d’inchinarvi, la regina Zaffira detesta chi non le porta rispetto. Beh, voi principessa Lucilla non siete obbligata, vostra madre non vi punirebbe mai per non esservi inchinata al suo cospetto.”

Lucilla ebbe un lieve giramento di testa. Le venne da ridere, ma si trattenne, notando lo sguardo sempre più avvilito dell’amico. Mia madre? Una regina?

La madre di Lucilla era in realtà un avvocato arrembante del foro milanese, abituata a successi, contatti importanti, party, bei vestiti e vacanze di lusso. Dubitava che potesse trovarsi in quel luogo, visto che non è che avesse mai passato tanto tempo in compagnia della figlia.

“Elena,” sussurrò all’amica. “Cosa c’è? Perché sembri sul punto di scoppiare a piangere?”

Elena sapeva di non poterle rivolgere la parola. Se qualcosa le era rimasto in mente di quella realtà, erano proprio le regole su cui si basava.

Rimase in silenzio, sospirando. L’omino aprì le ante di un porta che sembrava troppo grande per lui. Erano finemente decorate con simboli e pannelli arricchiti da bassorilievi finemente lavorati. Ovunque c’erano simoboli e caratteri che non erano in grado di riconoscere.

La sala la lasciò senza fiato. L’oro era l’elemento dominante. Le pareti sembravano essere ricoperte del prezioso materiale, che talora si sviluppava in graziose volute, talora di arricciava in preziose composizioni. Il soffitto altissimo era decorato con scene epiche. Al centro della sala alte colonne reggevano un baldacchino che copriva il trono, anch’esso in oro massiccio e finemente lavorato.

Le guardie erano ordinatamente disposte lungo le pareti.

Al centro, comodamente seduta, c’era lei.

A Elena non era dato rivolgersi ai regnanti. Umilmente si inginocchiò sul freddo marmo della meravigliosa pavimentazione ad intarsio. Abbassò il capo e sospirò profondamente pensando a lui. Perché mi hai abbandonata?

Zaffira fece un cenno con la mano così che Elena potesse rialzarsi, poi si voltò verso Lucilla. “Figlia mia, benvenuta a casa. Abbiamo molte cose da dirci, ormai io non potrò regnare per molto tempo ancora ed è giunta l’ora che tu prenda il tuo posto. Ho voluto che facessi una vita normale, ma ora devi assumerti le tue responsabilità. Vieni,” indicò il trono al suo fianco. “Ora conoscerai il tuo promesso sposo.” Battè le mani e, da una porta dorata a lato dei troni, fece il suo ingresso lui. Lúg.

Nel momento in cui la porta si aprì Elena, percepì subito la sua presenza. Le mancò il respiro e le lacrime affiorarono nuovamente nei suoi occhi.

Cercò di alzare lo sguardo verso di lui senza alzare la testa. Riuscì solo ad intravedere la sua mano destra. Portava l’anello.

A Lucilla non piacque neppure un po’. Quell’uomo aveva una sguardo arrogante. Camminava come se tutto in quel luogo gli appartanesse, senza degnare i presenti di molte attenzioni. Quell’atteggiamento di superiorità le dava i nervi. Guardò l’amica, sempre più sul punto di scoppiare in lacrime. Si voltò vero la sua presunta madre. “Signora, credo che tutto questo sia uno spiacevole equivoco. Io ho sempre vissuto a Milano. Sono nata al San Giovanni. Conosco molto bene mia madre, benché non sia stata particolarmente materna. E non sono certa di aver mai incontrato quest’uomo in precedenza.” Rimase lì dov’era, senza salire fino a quel trono che era stata invitata ad occupare.

“Tesoro mio, Lúg è il principe del regno confinante al nostro. Siete promessi sposi  da quando siete nati. Avrete tempo per conoscervi meglio. Lúg è un ragazzo d’oro Lucilla, non farti problemi.” e sorrise dolcemente alla figlia, fulminando con lo sguardo Elena, che non toglieva gli occhi di dosso a Lúg.

Lucilla si sentiva profondamente combattuta. Tutto in quella donna emanava fascino, potere, bellezza. Avrebbe fatto di tutto per lei. Ma era anche la donna che aveva fatto soffrire la sua amica. E ora diceva di essere sua madre.

“Signora, come potrei essere sicura di quello che dici? Io non so nulla né di te, né del luogo dove ci troviamo. E’ molto... bello. Ma io ho sempre vissuto altrove.”

“Se non avessi tanta paura del sangue te lo mostrerei. Da quando hai messo piede a casa il tuo sangue è tornato quello di un tempo. Non rosso come quello degli umani, ma azzurro.” Si alzò dal trono, si fece portare uno stiletto, si avvicinò alla figlia e glielo porse “Vuoi controllare?”

Lucilla respirò profondamente, cercando di mantenere la calma. Notò di sfuggita l’occhio verde smeraldo dell’uomo, che guardavano intensamente la scena. Non voleva non dimostrarsi all’altezza. Con l’oggetto nella mano destra, premette sulla pelle, finché una goccia di sangue uscì. Era azzurro. Era... brillante.

Il cuore le battè forte. Si sentì mancare. Questo è solo un sogno, Lucilla. Sei ancora nella toilette dell’autogrill, si disse. Eppure tutto appariva così, reale.

Lúg si avvicinò a Lucilla. Le prese il braccio ferito e lo avvicinò alle labbra. Delicatamente le posò sulla pelle, assaporando quelle gocce di sangue: “Sarai una regina stupenda,“ disse, con voce bassa e suadente.

Lucilla ritrasse indispettita il braccio, gettando un’occhiata preoccupata all’amica, ancora a terra costernata. La raggiunse, l’aiutò ad alzarsi. “Elena... io...”

Elena non alzò la testa, non si mosse. Sussurrando invitò l’amica ad andare: “Vai non temere, io... io attendo qui il mio destino.”

La luce rifletteva i bagliori blu dell’anello di Lúg, sul marmo lucido accanto a Elena. Per un attimo senti il calore che emanava il suo corpo. Perché mi hai abbandonata? Elena non riusciva a darsi una risposta e tremava per la certezza che non ne avrebbe mai  ricevuta una.

Lúg fece un passo avanti. Si inchinò ai piedi di Lucilla, dando le spalle a Elena. Ancora una volta, le prese la mano, la sfiorò con le labbra e poi alzò la testa, guardando l’amata negli occhi.

“Lucilla, ho atteso questo momento dal giorno della mia nascita. Come te, anche io ho dovuto vivere in altri mondi. Questo fa parte della nostra educazione, delle prove che ciascuno di noi, designati a regnare, dobbiamo superare. Sebbene promessi sposi, non siamo obbligati a diventarlo. E mai e poi mai ambirei a diventare lo sposo di una donna che non corrisponde i miei sentimenti. Ti amo da sempre. Ho vissuto ogni attimo della mia vita pensando al momento in cui mi sarei nuovamente trovato di fronte a te. Ti sono stato vicino. Ho vegliato sul tuo percorso, benché impossibilitato a rivolgerti anche solo un’unica parola nel rispetto delle nostre tradizioni. Te lo chiederò e la tua risposta per me sarà legge, come legge sarà qualsiasi altra parola da te proferita nel corso della nostra vita. Principessa Lucilla, vuoi diventare mia moglie?”

Nel sentire quelle parole Elena, sprofondò nel dolore. Lei aveva amato, desiderato, anelato sentirle uscire dalla sua bocca per tanto tempo. Il suo era stato solo un amore fasullo. Le tornarono in mente le parole della regina:

“Lui non è mai stato tuo, tu non sei mai stata sua. Non contavi niente per lui, eri solo un tramite per il suo passaggio terreno. Lui appartiene alla notte e al dolore. Tu non sarai mai la sua luce!”

Che stupida. Io avrei dato la vita per te e tu mi hai usata. Vorrei odiarti, ma sarebbe come uccidermi.

Ormai le lacrime non potevano più essere trattenute. Scivolarono sul suo viso inesorabilmente.

Lucilla si avvicinò all’amica per abbracciarla. Si voltò vero l’uomo, guardandolo con occhi carichi di astio e collera.

Andò dalla madre: “Regina...” Fece una pausa. Era davvero sua madre. Non sapeva come comportarsi. Si avvicinò a lei, chiuse gli occhi  e l’abbraccio. “Madre, se davvero sei mia madre, devi comprendere i miei sentimenti. Io non conosco quest’uomo e non sono in grado di dire se voglia o non voglia sposarlo. Perdonami.”

La regina ricambiò l’abbraccio accarezzandole dolcemente i capelli. “Lucilla, i tuoi ricordi riguardo Lúg sono stati rimossi, per permetterti di vivere senza pensieri. Potrai recuperarli questa sera, il nostro curatore ha in serbo un filtro che ti farà rimembrare ogni cosa, i tuoi sentimenti per lui sono veri. Me lo ricordo benissimo. Ora...veniamo a te Elena. Che cosa devo farne di te?”  chiuse gli occhi per pensare più tranquillamente. “Siccome sei stata vicina a mia figlia, non come avrei voluto visto il tuo orrendo carattere, non ti ucciderò. Sarà compito di Lucilla decidere che ne sarà di te. Tesoro mio” disse rivolgendosi alla figlia “Vuoi farla tornare a casa? Vuoi farle dimenticare tutto? Vuoi che diventi la tua dama di compagnia? Scegli amore mio, non ci sono limiti al tuo potere.”

Elena non riusciva a smettere di piangere. Aveva perso quello che credeva amore. Che senso aveva vivere? Meglio morire, che perdere i mie ricordi o vivere accanto a te Lucilla e vederti tutti i giorni tra le braccia di lui. Elena non riusciva nemmeno a pronunciare nei sui pensieri  il nome dell’amato.

“Madre, cosa ne sarà di tua sorella?” chiese Lucilla, incapace di togliersi dalla mente la donna imprigionata vista nello studio di Elena.,

“Hai conosciuto Luna? Sono sicura ti avrà parlato male di me. Tra le due, purtroppo la cattiva non sono io. Ma se a te ha fatto una buona impressione posso liberarla. Chiedi ciò che vuoi. Ma prima è meglio che tu beva l’infuso della memoria. Solo allora potrai prendere una decisione razionale. Quando ogni ricordo sarà al proprio posto.”

O quando avrò dimenticato quello che non devo ricordare. “Vorrei del tempo, madre. Vorrei rimanere un po’ da sola con Elena, se non ti dispiace.”

Zaffira chinò il capo e sorrise “So a cosa stai pensando, ma non preoccuparti, tu ricorderai tutti i tuoi anni sulla Terra, solo che ad essi si aggiungeranno gli anni che hai passato qui. Comunque certo, potete stare insieme quanto volete. Lox vi porterà fino alla tua stanza Lucilla, dove potrai lavarti e cambiarti. Anche Elena se lo desidera. Vi aspetto per la cena.” E così dicendo si alzò e uscì con tutte le guardie, o quasi, al seguito. Rimasero solo Elena, Lucilla, Lúg, Lox e qualche soldato.

Lox accompagnò le due donne negli appartamenti di Lucilla. Corridoi e sale che attraversavano erano riccamente decorati. Il mobilio sembrava creato da artisti di eccelsa bravura. L’omuncolo si fermò di fronte a una porta simile che consentiva l’accesso alla sala del trono. Aprì le ante, invitando la principessa ad entrare. Mentre Lucilla passava, l’omuncolo si profuse in un profondo inchino, voltandosi invece di schiena al passaggio di Elena.

Le due donne si fermarono sulla soglia dell’appartamento. Era enorme! Enormi vetrate lasciavano passare la luce solare, solo parzialmente irretita dal fine tendaggio. Si trovavano in un salottino, al quale si affacciava una mezza dozzina di porte, intarsiate e dorate.

“Vieni,” disse Lucilla a Elena. Richiuse la porta alle loro spalle. “Come ce ne andiamo di qua?” chiese all’amica, gurdandola fissa negli occhi.

Lo sguado di Elena sembrava parlare, le parole non dette affollavano la sua mente. Lucilla io non posso parlarti. Qui tutto ha occhi e orecchie. Non ti è possibile andare via. Questa è la tua vita, la tua vera vita. Io ho perso la mia, il mio amore e la mia anima per lui, ma tu saprai ricordare e potrai avere tutto. Elena si avvicinò ad una delle grandi vetrate perché i raggi del sole la potessero riscaldare.

Lucilla la raggiunse Elena. Il palazzo reale sembrava non avere mai fine. Si estendeva con diversi bracci in più direzione. Non aveva mura di difesa, segno che i pericoli non erano molti. Le pareti erano intonacate di un bel colore giallo. Ovunque si aprivano gigantesche vetrate. Dove gli edifici finivano, iniziava un parco immenso con prati curati, statue, laghetti, canali, ponticelli. La fuga non sembrava particolarmente semplice, da dove si trovavano.

Elena si allontanò leggermente da Lucilla, l’amica non riusciva ancora a rendersi conto della sua posizione. Lei ricordava tutte le punizioni che le erano già state inferte a suo tempo solo per essersi avvicinata troppo a Lúg e non voleva certo riprovare quell’esperienza.

Lucilla era preoccupata. Non aveva idea di come fuggire allo sposo. La sua nuova madre appariva troppo perfetta per essere vera. E la sua amica sembrava imbambolata. Esasperata, si mise a curiosare in giro. Avvicinatasi al focolare, le parve di vedere un volto tra le fiamme. Si avvicinò per guardare meglio. Il volto si delineò sempre meglio. Lucilla rimase a bocca aperta. La donna... era la donna dello studio.

“Lucilla, ma che stai facendo?” sussurrò il volto della donna. “Chi ti ha portato lì? Vi avevo detto esattamente dove andare e cosa fare!” alzò un po’ più la voce, e le fiamme divennero rosse e bollenti come lava, Lucilla dovette allontanarsi per non rimanere ustionata.

“Ci abbiamo provato, abbiamo fatto del nostro meglio. Poi mentre eravamo in viaggio, quella lì, prima di chiudersi nel silenzio tombale, ha detto che potevamo inserire il ciondolo in uno specchio. Quando l’abbiamo fatto ci siamo ritrovati qui. C’è una donna, dice di essere la regina e anche mia madre. E un uomo che vuole sposarmi. A quanto ho visto dovrebbe trattarsi di una vecchia conoscenza di Elena, ma lei ha deciso di diventare riservata per la prima volta in vita sua. E poi uno strano omuncolo... un palazzo. Come torniamo a casa?” Lucilla parlò tutto d’un fiato, quasi temesse che quelle fiamme, alle quali si era aggrappata la sua speranza, potessero bruciare quel bel volto.

“Le leggi del tuo palazzo impongono che chi non è di sangue reale non possa parlare con voi. Per questo Elena è zitta. Ma posso assicurarti che sa molte più cose di quelle che fa credere. Il problema è che non puoi uscire di lì, non finché mia sorella  è viva.” Sul volto di Luna si dipinse un’espressione maligna. “Uccidila Lucilla, uccidila e saremo tutti liberi.”

Esterrefatta, ma incapace di frenare la curiosità, Lucilla chiese: “Ucciderla? E come dovremmo fare?”

Elena non poteva evitare di ascoltare quella conversazione. Aveva paura per l’amica, non voleva che le accadesse niente di male. Pur certa di quella che sarebbe stata la sua punizione, parlò: “Lucilla non dare ascolto a Luna! Lei non ha poteri, lei non sarebbe capace di liberarti da tutto questo. Non puoi uccidere la regina, lei è veramente tua madre.” Dette quelle parole cadde in ginocchio in attesa di quello che le sarebbe capitato.

Lucilla si allontanò dal camino e con passo deciso raggiunse Elena. Era infuriata. Stringeva i pugni dalla collera. Mentre camminava non desiderava altro che prenderla a schiaffi. La raggiunse, si inginocchiò, le mise entrambe le mani sulle spalle e iniziò a scuoterla. “Mia madre?!” urlò. “Mia madre!?” ripeté a voce ancora più alta. “E quando pensavi di dirmelo? E tu mi stavi portando a Roma per distruggere mia madre?” le urlò a pochi centimetri dal viso.

“Non ero certa che lei fosse tua madre, fin tanto che non si è presentata...”

“Non eri certa?” la interruppe Lucilla. “Cosa significa che non eri certa?” Era fuori di sé dalla collera. “Quindi sapevi che poteva essere mia madre? E nonostante questo non ti è venuto in mente che potesse essere utile informarmi?”

“Io non sapevo a chi appartenesse la voce, la cosa che ho sempre saputo è che tutto ciò che mi legava a lui era fortemente connesso con la nostra amicizia. Non ho capito il legame che c’era tra te e tutti loro. Ma quando ho visto il volto della regina e ho ripensato alle sue parole tutto è stato chiaro. Tu sei la luce, la luce di Lúg.”

Lucilla avrebbe voluto urlare. Il volto nella fiamma, la sua amica, la sua ipotetica madre, il nuovo fidanzato. Le sembrava che la sua vita si fosse spezzata in mille frammenti e rimpiangeva la tranquilla quotidianeità fatta di locali alla moda, boutique, palestra, colleghi spiritosi.

“Almeno sai, ora che improvvisamente sei ridiventata ciarliera, come possiamo fare per andarcene di qua?”

“Non possiamo!” Elena era disperata. Avrebbe voluto morire, sparire, ma non le era possibile, ormai la sua vita dipendeva da decisioni altrui.

“E come fai a sapere che non possiamo?” Bisogna tirarle fuori le informazione una a una, come si scava nelle zampette di un aragosta per estrarne la polpa.

“Lucilla non insistere, io non posso spiegarti niente. Quando berrai il filtro del curatore capirai ogni cosa. Non chiedermi altro, non farmi più parlare. Ti prego la mia posizione, il mio ardire sono andati troppo oltre.”

Lucilla guardò sdegnata l’amica. L’aveva messa in una vicenda dai contorni impossibili da credere persino per uno scrittore di fantascienza e ora si tirava allegramente indietro. Distolse lo sguardo. Il fuoco la chiamava. “Come dovrei fare per uccidere la regina?” chiese, per la seconda volta, alzando la mano per indicare a Elena di tacere.

“Devi strapparle il cuore, ma non è tutto purtroppo. Non ho fatto a meno di non notare che dopo di lei saresti tu la sovrana, e ciò implica che tu rimanga qui, a meno che...” gli occhi di Luna emanavano odio puro.

“A meno che?” chiese Lucilla, ansiosa.

“A meno che tu non uccida anche Lúg. Solo così tu non avresti altri legami col posto, potrei regnare io e tu torneresti alla tua vita di sempre.”

Con un certo imbarazzo, Lucilla chiese ancora: “Lei è... mia madre? Tu sei mia zia?”

“Si nipotina mia, e se eliminerai mia sorella e quel principe da quattro soldi entrambe avremo ciò che più desideriamo.”

“Perché non me l’hai detto nello studio di Elena?”

“Se te l’avessi detto mi avresti ascoltata? Direi di no, sapevo già che Elena aveva altri programmi in mente, la sua diffidenza mi ha portato fortuna.”

Un altro dubbio, un altro dilemma. Avrebbe dovuto credere alle parole di sua zia? Rosa dall’incertezza, Lucilla decise di fare quello che nella maggior parte dei casi riusciva a sollevarla: tuffarsi nell’armadio. Questa volta era certa che avrebbe trovato qualcosa di davvero sbalorditivo.

Lúg, no! Non permetterò che sia ucciso. Elena sapeva di amarlo più della sua vita, come avrebbe potuto fargli capire il pericolo che incombeva sulla sua vita?

Non capisco perché tu, non mi abbia degnata di uno sguardo. Cosa c’è di diverso in te, Lúg?

Elena era perplessa, intimorita da tutto quello che stava accadendo, era una di quelle rarissime volte in cui lo sconforto le opprimeva la mente senza farla reagire. Guardò fuori dalla grande finestra, come per cercare qualche risposta. Gli occhi velati di lacrime le impedivano di vedere bene, ma le parve di scorgere una sagoma scura nel grande parco.

Lucilla, raggiante, chiamò l’amica. Il suo cuore non era in grado di sopportare una simile bellezza senza il supporto dell’amica. “Elena, ti prego, vieni qui, mi tremano le gambe!”

Nel sentire la voce squillante dell’amica, Elena si voltò per risponderle in malo modo. “Ma vai...“ si bloccò immediatamente ricordando dove si trovavano e il suo ruolo.

“Sono subito da te.” Si avviò verso il guardaroba, che non era altro che una maestosa stanza stracolma di abiti e scarpe.

Per un attimo si voltò verso il parco, quella sagoma era ancora immobile, e guardava verso di lei.

Lucilla guardava di fronte a sé in estasi, incapace di proferire parola. Forse gli abiti dentro il locale che si era aperto oltre le ante dell’armadio non erano all’ultima moda, ma in compenso erano tra i più belli che avesse mai visto. Sembravano essercene di ogni colore: bianco, porpora, azzurro, verde, viola, giallo, arancio. Erano in genere lunghissimi, alcuni evidentemente a strascico, con ricche decorazioni, persino in argento e oro. Ricamate su di essi c’erano forme di ogni tipo: simboli, lettere di un alfabeto a lei sconosciuto, forme, raffigurazioni. Ovunque c’erano poi accessori come sciarpe, scialli, corpetti e molto altro. Lucilla trovò finalmente la forza di entrare. Quando passò le mani su quei capi, la delicatezza dei tessuti le diede un brivido che dai polpastrelli si irradiò per l’intero corpo.

“Vieni,” disse rivolta a Elena, “dobbiamo trovare qualcosa anche per te.” Per la prima volta Elena avrà un abito decente, sorrise tra sé e sé Lucilla.

“Lucilla, io non  posso mettere questi abiti. Ti devi mettere in testa che non sono una tua pari e mai lo potrò essere. Io non ho voglia di provare sulla mia pelle le punizioni che sanno impartire in questo mondo.” Elena sospirò profondamente cercando di aiutare l’amica a vestirsi, sapeva benissimo che sarebbero rimaste per delle ore tra quel mucchio di abiti, che per lei non erano altro che uno spreco inutile di stoffe meravigliose.

“Elena,” la rimproverò l’amica, che ora preferiva dedicarsi al superfluo e dimenticare tutti i problemi nei quali si trovava invischiata, “la regina ha detto che posso fare di te chi voglio e io desidero che tu sia la mia dama di compagnia. E davvero non gradirei che tu vada in giro così,” e neppure con gli abiti che vesti normalmente, aggiunse mentalmente. Lucilla si augurò che tra i vestiti dell’armadio ve ne fosse qualcuno in grado di adattarsi alle forme morbide dell’amica.

Quando finalmente giunse a un vestito con un’ampia gonna di un bel bordeaux, con davanti un immenso spacco dominato dal rosa, le maniche ampie che terminavano con uno splendido ricamo in pizzo e un ampia scollatura, Lucilla capì che non le occorreva cercare altro. Ecco il suo vestito. Forse fare la principessa non sarebbe stato così male...

Aiutata dall’amica, indossò lo splendido abito, al quale abbinò uno splendido paio di scarpe bianche con il tacco basso. Fu poi la volta di Elena, che protestò invano quando Lucilla scelse per lei uno sfarzoso abito verde smeraldo con ricami in oro.

Trionfante, Lucilla uscì dall’immenso guardaroba e andò ad ammirare allo specchio il proprio capolavoro, mentre Elena la seguiva con movimenti goffi e a disagio.

Mentre si specchiava, con la coda dell’occhio non riuscì ad evitare di gettare uno sguardo alle fiamme, che sembravano nuovamente volersi rivolgere a lei.

“Stai bene con quel vestito nipotina mia” Luna apparve all’improvviso, mantenendo sempre quel suo sorriso maligno, “ti stai abituando alla tua futura vita da principessa? Non volevi andartene da qui?”

Lucilla le rispose a disagio: “Sì, certo, voglio tornare a casa mia. Ma non c’è nulla di male se scopro un po’ di più di questa vita. In fondo se siamo qui ci sarà un motivo!”

“Certo, goditi questa vita quanto vuoi! Ma devi arrivare al punto!” il fuoco si tinse di un rosso così intenso che pareva sangue. “Non ti conviene perderti in fronzoli, altrimenti sarà più dura per te uccidere tua madre e Lùg. Perché tu li ucciderai vero?”

“Ma se è davvero mia madre, perché la devo uccidere? Non potremmo affrontare i problemi che avete avuto tutte assieme?”

“No, non possiamo! Uccidila Lucilla! Che t’importa se è tua madre? Ti ha abbandonata. Il minimo che tu possa fare è ammazzare quei due e dare a me tutto il potere. Tu poi tornerai alla tua solita vita da umana.”

Cercò di fare un sorriso dolce che anche ad un cieco sarebbe parso finto. Il rossore delle fiamme non accennò ad attenuarsi, anzi il caldo che producevano si faceva sempre più intenso. L’insieme assomigliava...all’inferno.

Lucilla le rispose con rabbia: “Io non ho mai ucciso nessuno. E non vedo perché dovrei iniziare proprio dalla mia presunta madre!” La sola idea di spegnere un’altra vita la faceva inorridire. L’immagine di strappare addirittura un cuore dal petto in cui batteva la lasciava atterrita.

“O lo fai tu oppure dovrò ricorrere alle maniere forti. Da quando ve ne siete andate, il potere dell’occhio non mi impedisce più di rimanere senza poteri. Ho imparato giusto due cosette. Una di queste è che essendo tua zia potrei accidentalmente possedere il tuo corpo per compiere ciò che devi fare tu.” Si fermò un attimo a fissare l’espressione della nipote “O li uccidi tu, o lo farò io attraverso di te. Sono debole, ma potrei creare una connessione che duri il tempo per ucciderli tutti. Ah sì, ovviamente poi ucciderò anche te, visto che non hai fatto il tuo dovere.”

Fuga o inganno? Lucilla fu fortemente tentata dalla prima opzione, ma se quello che Luna stava dicendo era vera, avrebbe potuto metterlo in atto in qualsiasi momento. Dunque, meglio l’inganno: “Oh, scusami, zia Luna. Hai ragione. Ti chiedo scusa. Il mio unico desiderio è tornare alla mia vita. Se faccio quanto mi chiedi mi lascerai tornare a casa insieme ad Elena?”

Il fuoco tornò di un colore aranciato e l’intensità del calore diminuì all’istante. Luna si era tranquillizzata.

“Certo mia dolce nipotina, tu fai quello che ti dico e io non farò del male né a te né alla tua amica. C’è un’ultima cosa che devo dirti.” La fissò in attesa di una risposta.

“Certo, dimmi zia,” le disse Lucilla candidamente.

“Devi rinunciare alla tua immortalità.” gli occhi di Luna la studiarono attenti, in cerca di un segnale di incertezza o debolezza.

Lucilla ammutolì, incapace di proferir parola. Dopo qualche secondo di smarrimento farfugliò: “Io sarei immortale? Cioè... non posso morire?”

“Non so tu cosa intenda per immortale, ma da me significa proprio che non puoi morire. Ora l’immortalità si è attivata proprio quando quella dolce della mia sorellina ti ha portato nel suo mondo, e ora tu per tornare nel tuo devi rinunciarci.”

Lucilla era sovrastata dalla mole di informazioni ricevuta nelle ultime ore. Cercò lo sguardo dell’amica, che sembrava imbambolata nel guardare fuori dalla finestra.

“E, solo per informazione, nel caso rimarrei sempre giovane? Sempre a quest’età?” Lucilla non riusciva a crederci: niente rughe, niente seni e glutei cadenti, cellullite, capelli bianchi... Era possibile realizzare un sogno tanto bello?

“Ovviamente, solitamente si invecchia fino alla maggiore età, tu però sei rimasta mortale, quindi ora rimarrai tale. Ma non devi preoccuparti, non sarà per molto. Prima che tu possa chiedermelo sì, hai un punto debole, e quindi dire che sei totalmente immortale è errato.”

Lucilla guardò corrucciata il volto tra le fiamme. Giovane e bella... sarebbe stata troppo bello. Non poteva essere vero. Il suo viso si rabbuiò.

“Su dai, non fare il broncio Lucilla. Non avrai il tempo per abituarti all’immortalità. Sta arrivando qualcuno. Noi ci sentiremo presto.”

Qualcuno bussò alla porta proprio quando il fuoco si spense del tutto. Lucilla aprì e si trovò davanti il nano, che fece un leggero inchino.

“La cena sarà servita tra quindici minuti, altezza. Vostra madre vi attende. Ha detto che potete anche portare la signorina Elena, sa quanto è importante per voi.”

“Con piacere,” rispose cortesemente Lucilla. “Siamo già pronte. Potete accompagnarci nella sala da pranzo?”

Il nano chinò nuovamente il capo “Con estremo piacere.” Fece un cenno alla porta “Prego, dopo di voi.”

Lucilla prese per mano l’amica e uscì dalla camera da letto. “E ora, che facciamo?” le chiese sottovoce. Aveva la sgradevole sensazione che la presenza di Luna aleggiasse nell’aria. “Abbiamo due problemi. Io non voglio uccidere la mia presunta madre. E tu vuoi riprenderti il tuo fidanzato.”

Elena aveva ascoltato ogni singola parola di Luna e non era sicura che le sue richieste fossero così limpide. Sentiva in cuor suo che anche la vita dell’amica era in pericolo. Lúg, il suo amato Lúg non era altro che una sua illusione, lui l’aveva usata per poter arrivare a Lucilla. Tutta quella storia era ingarbugliata al punto tale da farle scoppiare la testa. Rallentò il passo, cercando di attirare l’attenzione di Llucilla: “Lucilla io non posso venire a cena con voi. Non mi sento bene e sarei solo di cattiva compagnia, ti prego lasciami andare nel parco, ho bisogno di respirare aria fresca e schiarirmi le idee.“ Guardò l’amica implorandola con gli occhi. “Forse riesco a farmi venire in mente una soluzione, per poterti liberare da questo caos. Ti prego, lasciami andare.“

Lucilla parve sorpresa: “Mi stai chiedendo di andare dalla regina di questo regno e, per quanto ne sappiamo, di questo mondo, nonché padrona del castello, e di dirle che la mia amica ha preferito mancarle di rispetto assentandosi da una cena reale per vagabondare da sola nel parco? Elena, io non ho grande esperienza di cerimonie reali e non ho idea di quali sia le convenzioni da queste parti, ma non ti sembra un po’ troppo?”

Elena sbuffò spazientita. “Ok, andiamo!” Stronza! La solita stronza principessina dei miei stivali. Mai che possa pensare a chi le sta vicino. Con il mal di testa che ho, non riuscirò a mangiare niente, e quello che mi obbligheranno a mangiare lo vomiterò tutto,”

Elena seguì l’amica borbottando tra sé e sé.

Lucilla si rivolse al loro accompagnatore, che camminava impettito, non dando segni di aver udito la loro conversazioni. “Sarebbe possibile chiedere alla regina un breve colloquio privato prima che inizi la cena?”

“Non credo, altezza. La regina ha espressamente ordinato che si ceni, credo che non avrà problemi a parlare con voi in privato dopo cena.”

Fin dove poteva arrivare il suo potere? Lucilla lo avrebbe sperimentato presto. “Prima che si entri in sala, ti ordino di dire a mia madre che sua figlia ha urgente necessità di conferire con lei in privato.” Lucilla si sforzò di parlare con un tono fermo che non ammettesse replicò. Le sue parole stupirono lei stessa.

Il nano, intimorito fece un inchino veloce. “Vado subito, altezza. Voi rimanete qui per favore” Detto questo sparì di corsa dietro l’angolo.

Lucilla osservò preoccupata Elena. Le sembrava assente. Preferiva la vecchia Elena, quella molto stronza che le dava sui nervi. Questa versione, tutta dolore e rimorsi, le faceva stringere il cuore. Non riusciva a credere che potesse sentirsi tanto male per l’uomo meno attraente e dai modi meno gentili che lei avesse mai visto. “Elena, le diciamo tutto. Sei d’accordo?”

“Lucilla, forse dobbiamo chiarici bene le idee prima di parlare con la regina. Tu devi capire cosa vuole Lúg, quale sarà il tuo ruolo in questo mondo. La regina non mi sembrava molto contenta nel sapere che sua sorella sia in contatto con te. Sicuramente andrà su tutte le furie nel sentire quello che Luna ti ha detto di fare, non credi?“

Lucilla la guardò perplessa: “Ma Elena, se non chiediamo aiuto a lei, a chi possiamo rivolgerci? Non credi che si infurierebbe se non glielo dicessimo?”

“Si infurierà comunque. Lucilla, nessuno può rimanere impassibile sapendo che la vogliono uccidere.“

“Ma non può arrabbiarsi con noi! Noi gliene stiamo per parlare subito dopo averlo appreso!! Cos’altro potremmo fare? Hai sentito Luna! Potrebbe impossessarsi di me. E allora sarebbe troppo tardi!”

“Fai come vuoi, tanto sei la solita zuccona.Quando ti fissi su una cosa non ti smuove nessuno. E se la regina ti rinchiudesse in qualche segreta per tenerti alla larga da lei e dalla sua corte? O se ordinasse di ucciderti, convita che Luna si sia già impossessata del tuo corpo? Rifletti Lucilla, forse c’è un’altra soluzione. Ti prego pazienta e cerca di capire quell oche sarà il tuo futuro. Forse la soluzione è proprio in quello che dovrai fare dopo che sarai diventata la sposa di Lúg.”

Elena si accorse il quel momento che pronunciare quel nome non le dava più tanto dolore. Ma dentro di se iniziava a sentire una pace inconsueta. Strano, mi sento come in sintonia con una presenza ma non riesco a capire chi e che cosa sia.

Elena si voltò verso la grande finestra che dava sul parco che circondava il palazzo e vide nuovamente quella sagoma nera di poco prima.

Ha ragione, pensò Lucilla. Ha senz’altro ragione. Eppure qualcosa la induceva a pensare che avrebbe dovuto fidarsi della regina, che fosse sua madre o meno. Qualcosa in lei la rapiva e la affascinava a tal punto da farle sentire che fosse giusto essere dalla sua parte. D’altronde, chi meglio della regina poteva conoscere sua sorella. Doveva fidarsi... dovevano scegliere da che parte stare. Lucilla prese la sua decisione, sospirando profondamente.

In quel momento ricomparve il nano. Doveva aver corso parecchio, perché aveva il fiatone.

“Altezza, la regina ha acconsentito di vedervi  prima di cena, ma vuole parlare solo ed esclusivamente con voi.”

Il nano chiamò una guardia per scortare Elena direttamente alla sala da pranzo, quindi condusse Lucilla in un piccolo studiolo nel quale la regina la attendeva.

“Entra pure” disse la regina dopo che la ragazza ebbe bussato dei piccoli colpi incerti nel legno del grande portone.

Lucilla entrò, facendosi forza e respirando profondamente. Il magnetismo di quella donna continuava ad esercitare su di lei un influsso così profondo da scuoterla interiormente. Si rese conto di aver il cuore che batteva forte nel tempo. Attese che la regina le concedesse di poter parlare.

“Vieni tesoro, siediti vicino a me.” La regina appoggiò la mano sul morbido divano ricoperto di lucente seta verde smeraldo. “Dimmi cosa ti turba; lo leggo nei tuoi occhi: qualcosa non va.”

Lucilla sospirò ancora una volta. Alzò lo sguardo per guardare la regina negli occhi. Voleva che lei si rendesse conto della sincerità delle proprie parole. “Maestà, io sono qui... per ucciderti. Sono confusa. C’è un presenza che tormenta me e la mia amica Elena da quando abbiamo lasciato il nostro mondo. Ora, continua a comparire in luoghi molto strani. Mentre eravamo nella nostra camera è apparsa tra le fiamme. Io... non so cosa stia succedendo. Lei dice di essere tua sorella. E dice che devo ucciderti e che se non lo faccio ha la capacità di impossessarsi del mio corpo e di compiere lei quest’orribile delitto. Secondo la mia amica non avrei dovuto nulla. Ma ho paura. Ho paura che ciò che quell’essere ha minacciato possa avversarsi in ogni momento. E io non voglio farlo.” Lucilla aveva parlato tutto d’un fiato, pregando di aver tempo sufficiente per concludere la frase. Quando arrivò al termine del discorso, sentì di essersi liberata di un peso. Ora non sarebbe più dipeso tutto da lei.

“Oh, tesoro. Io so tutto. Mi domandavo quando saresti venuta da me a parlarne. Purtroppo ciò che dici è vero: tua zia si sta rafforzando, ha aumentato il suo potere prendendo un po’ alla volta energia da te. Sapevo che la tua amica ti chiamava spesso, ho provato a impedire che tu andassi da lei, ma a quanto pare è stato inutile.” Prese dal tavolino  di fianco al divano una bottiglietta contenente un liquido trasparente “Dopo che avrai bevuto questo potrai prendere una decisione sensata. Non ti fermerò se vorrai uccidermi, almeno saprai che cosa perderai. Lì dentro sono racchiusi tutti i tuoi ricordi, nessuno escluso.” Due lacrime rigavano il volto della regina, così apparentemente fredda e sicura. In realtà la sua fragilità era devastante. La sorella le aveva reso la vita un inferno, il solo pensiero di vederla ancora vicino a lei o a sua figlia la fece rabbrividire.

Lucilla prese in mano la bottiglietta. Voleva abbandonarsi al volere di quella donna, ma aveva sempre diffidato degli estranei. E, nonostante l’indubbio influsso e potere che lei esercitava, per lei continuava a rimanere un’estranea. Si portò la bottiglietta alle labbra. “Ma... come faremo per fermare mia zia?”

“È da quando sei arrivata qui che sto studiando un piano per riuscire a eliminarla definitivamente. Non è facile, i tomi presenti nella libreria reale sono centinaia, io ne ho letti solamente una decina. Lùg mi sta aiutando, teme anche lui per la tua vita.”

“Per la mia vita? A quanto pare, è la tua a essere in pericolo... Maestà.”

“Puoi chiamarmi anche madre se vuoi o per nome. Sei mia figlia, non una sconosciuta. Purtroppo la mia vita e quella di Lùg dipendono da te. Conoscendo mia sorella non risparmierà nemmeno la tua vita e quella della tua amica. So che vuole che rinunci alla tua immortalità. Il fatto è che lei è già immortale, quindi lo fa solo per potersi assicurare la tua fine.”

“Lei è... immortale?” chise Lucilla sorpresa. “Questo significa che non smetterà mai di rappresentare un pericolo?” Lucilla sentiva nuovamente un terribile desiderio di tornare al suo mondo, lontana da tutti quei problemi che le sembravano insormontabili. Le mancava il supporto di Elena in quel momento. Nonostante il carattere orrendo, riusciva comunque a essere un valido supporto.

Guardò il liquido trasparente che teneva in mano. Lasciandosi guidare dall’istinto lo bevve tutto d’un fiato. Ricordi di ogni tipo le affollarono la mente. Le scene di un film mandato avanti ad incredibile velocità le passarono davanti agli occhi. “Elena...” sospirò, perdendo conoscenza.

Elena aveva sentito l’amica parlare con la madre. Era uscita dalla sala da pranzo adducendo l’esigenza di recarsi ai servizi, era tornata al punto in cui si era separata dall’amica e avevo seguito la direzione che questa aveva preso. Fortunatamente, quasi subito aveva sentito la voce dell’amica e della regina provenire da dietro una porta. Temeva per Lucilla, per la vita di quell’amica odiosa di cui non avrebbe più potuto fare a meno.

Lucilla la completava, in qualche modo era una parte di lei. Non sapeva il perché di quel legame che sentiva, ma non poteva certo perderla.

Come sentì sussurrare il suo nome, entrò nello studio sbattendo la pesante porta e corse in direzione dell’amica che si era accasciata a terra.

“Lucilla, Lucila!“ La scosse per le spalle, noncurante delle persone che si stavano avvicinando minacciose a lei.

Istintivamente la prese tra le braccia, stringendola forte a sé.

“Elena, non preoccuparti. È l’effetto del liquido che ha bevuto. In questo momento sta recuperando tutti i suoi ricordi. Si sveglierà tra meno di un’ora. Se vuoi puoi aspettare qui vicino a me,” disse gentilmente la regina. Subito dopo cambiò espressione e si rivolse alle altre persone presenti “Portate qui una branda, e andatevene subito.”

Elena si voltò verso la regina, senza lasciare l’amica.

“In questo regno , nessuno è mai stato gentile con me. Mi avete usata tutti, perché? Cosa ho fatto di male da meritarmi il dolore che ho provato nel veder morire quello che credevo fosse il mio amore eterno?”

“Non siamo nella sede giusta per parlarne, ma presto lo faremo. Sempre che mia figlia non decida di ucciderci. Sappi solo che siamo stati costretti a trattarti così. Non dovevamo far capire a mia sorella che volevamo creare dei legami con te e Lucilla.”

“Ma, Luna è riuscita a trovarmi. Non sai per quante notti si è manifestata nel mio studio. La sua voce è riuscita a terrorizzarmi, a rendermi debole. Le sue parole sono state pugnali che trafiggevano il cuore. Tutti voi avete reso la mia vita un inferno. Vi odio profondamente.” Le lacrime le rigavano il volto, scendevano senza tregua, bagnando i capelli di Lucilla, che era sempre tra le sue braccia inerme.

“Se noi non ti avessimo fatto passare quell’inferno, come lo chiami tu, a quest’ora saresti dentro una bara. Ci odi? Benissimo, fallo pure, ma io non mi sento in colpa per avervi mantenute in vita. Cosa credi? Che non sia stata tentata di prendermi mia figlia? Non potevo, altrimenti sarebbe stata troppo debole e la possessione da parte di mia sorella l’avrebbe distrutta.” La regina si coprì il viso  con le mani, era esausta.

Elena aveva una sola certezza: odiava Lúg, colui che l’aveva illusa e usata. Lei non aveva ricordi della sua vita prima che si incontrassero. Senza sapere quale ne fosse la causa, la sua vita reale si era fusa con quello strano mondo. Era lì che aveva conosciuto Lúg. Gli unici ricordi vividi nella sua mente erano le interminabili giornate passate nel suo studio. Lei dipingeva o scolpiva e lui immobile le faceva da modello.

Ma come si erano incontrati? Buio... vuoto assoluto... nessun ricordo... era come se lui fosse sempre stato accanto a lei.

“A che stai pensando Elena? Qui puoi parlarmi di tutto, nessuno ci sentirà. Ho fatto un incantesimo di insonorizzazione nella stanza,” la interruppe la regina, dopo che i servitori ebbero portato la branda per Lucilla.

“Non riesco a togliermi dalla mente, le dure parole di Luna: “Lui non è mai stato tuo, tu non sei mai stata sua. Non contavi niente per lui, eri solo un tramite per il suo passaggio terreno. Lui appartiene alla notte e al dolore. Tu non sarai mai la sua luce!” Elena sospirò guardando la regina negli occhi.

Due colpi leggeri batterono sulla porta, da dietro la quale si udì la voce di Lùg. “Maesta...”

Con uno schiocco di dita Zaffira interruppe l’incantesimo.

“Entra pure, Lùg.”

“Oh,” esclamò l’uomo, sorpreso nel vedere Elena a colloquio con la regina e Lucilla distesa su una branda vicino a loro. “Mi chiedevo che cosa vi facesse attardare tanto a lungo.”

“Scusaci Lùg, Lucilla si è decisa a parlare...e a bere l’infuso contenente i suoi ricordi. Stiamo aspettando che si risvegli, ma cosa più importante sto aspettando una sua decisione. Spero davvero che mia sorella non le abbia infettato il cuore con il suo odio.”

Lùg esitante si avvicinò al corpo di Lucilla. Le guardò il bel viso, posandole una mano sulla guancia. La ragazza sembrava dormire un sonno tranquillo. Si inginocchiò, sfiorandole le labbra con le proprie. Una lacrima gli rigò la guancia, cadendo sulle labbra di Lucilla. L’aveva aspettata tanto a lungo... Era dovuto rimanere lontano da lei per un tempo che gli sembrava eterno. E ora lei era lì, davanti a lui, placidamente addormentata. Ancora con gli occhi umidi si rialzò. Non voleva essere scortese con la sovrana. “Perdonatemi...” le disse, asciugandosi gli occhi.

Elena aveva osservato ogni singolo movimento di quell’uomo che un tempo l’aveva guardata come in quel momento aveva fatto con Lucilla.

In cuor suo sperò di aver frainteso, che tutto quello che avevano vissuto fosse stato solo frutto della suaimmaginazione. Il dolore dell’illusione sarebbe stato sicuramente meno profondo.

 “Non chiedere perdono, Lùg. Noi sappiamo quanto tempo hai atteso questo momento. Se tutto va bene sarete i nuovi regnanti di questo mondo, lasciandomi un po’ di pace... pace che avrò solamente se mia sorella morirà. Hai trovato qualcosa di nuovo in biblioteca?”

“Maestà, temo che, attingendo ai serbatoi delle forze oscure, la potenza di vostra sorella sia aumentata a dismisura. Riesce a manifestarsi con sempre maggior frequenza dove meglio crede. Non passerà molto tempo prima che ricoquisti anche un corpo fisico. E  a quel punto temo che sarà molto più potente di tutti noi. A meno che...”

“Continua Lùg, ti prego...sono disposta a tutto pur di eliminarla definitivamente. Sta ricattando Lucilla, vuole possederla per ucciderci. Le ha perfino chiesto di rinunciare alla sua immortalità. Deve esserci un modo per ucciderla! Forse lo stesso che serve per uccidere noi due.”

“Non è un caso che abbia cercato di corrompere Lucilla. Credo che lei sia l’unica che possa affrontare Luna sullo stesso piano magico. Ma, se lo facesse, correrebbe un grave rischio. Potrebbe... perdere la vita. Vostro marito, Maestà, in punto di morte ha lasciato tutte le proprie conoscenze magiche alla principessa, che non ne ha mai avuto memoria, fino ad ora. Ma, Mestà, vi scongiuro, non lasciate che Lucilla affronti Luna. Continuerò a cercare. Riuniremo tutti i maghi del regno. Dev’esserci un altro modo!”

“Lo spero, Lùg. Ma, se non ci fosse? Io credo, anzi sono convinta, che Lucilla ce la farà. È più forte di quanto pensi. Non ha ceduto a Luna, e poteva farlo fin da subito.”

“Maestà, siete disposta a permettere che vostra figlia rischi la vita? Potremmo lasciarla tornare al suo mondo, aiutarla a nascondersi nuovamente, privarla ancora una volta dei ricordi, in modo che se ne stia al sicuro, che nessuno possa ritrovarla.”

“Questa è una decisione che deve prendere Lucilla. È adulta Lùg, non la costringerò a far nulla che lei non voglia fare. Mia sorella la troverà ovunque lei vada. Il problema di ora è: che ne sarà di noi? Ci ucciderà e darà a Luna ciò che vuole? Leggevo nel suo cuore una forte indecisione. Mi sono sentita morire.”

“Lucilla, ha un pessimo carattere, ma il suo cuore è buono. Brontola, ma non farebbe male a un mosca. Se mai dovesse compiere un’azione negativa, non sarebbe certo dettata dal suo cuore. Vi siete serviti di me fino a ora, potete continuare a farlo. Se il mio corpo, la mia mente, possono salvare Lucilla, il mio sacrificio non sarà vano. Darei qualsiasi cosa per lei, persino i miei occhi e le mie mani“.

Per un attimo Elena immaginò come sarebbe stata la sua vita se non avesse più potuto vedere un colore, o se le sue mani non avessero più potuto realizzare una scultura. Meglio la morte, ma per Lucilla, avrebbe fatto quello e altro.

Attese in silenzio.

Lùg rivolse a Elena uno sguardo benevolo. Non aveva ancora avuto la possibilità di chiarirsi con lei. Era dispiaciuto. Non aveva idea di che tipo di sentimenti la ragazza nutrisse per lui, ma sapeva che lei gli era particolarmente cara. Sentiva per lei un affetto fraterno, sentimento che in quel momento non riusciva a manifestare di fronte agli sguardi di disperazione della donna.

“Elena, sei molto gentile. È apprezzabile che tu sia disposta a tanto per Lucilla. Ma temo che le capacità che servono per affrontare Luna vadano ben al di là di quelle di ciascuno dei presenti, con rispetto parlando, Maestà.”

“Certo, concordo con te Lùg. Elena, cara. Purtroppo nemmeno con un incantesimo riusciremmo a metterti al posto di mia figlia. Luna ha cercato lei, perché conosce il suo potenziale. Ha usato te per attirarla e nutrirsi della sua forza. So quanto le vuoi bene, e questo ti fa onore.”

Sapeva chi fosse. Sentiva un’energia vitale scuoterle le vene. Era come una marcia inarrestabile. Avvertiva i battiti del suo stesso cuore. Percepiva una nuova padronanza di ogni parte del suo corpo. Aveva la netta sensazione di poter avvertire il sangue scorrere nelle vene. Sorrise nell’udire gli ultimi scambi di parole vicino a lei. Elena, la cara, buona Elena. Aprì gli occhi. Il mondo che le apparve di fronte era un altro. Non vedeva più le persone vicino a lei. Vedeva attraverso di loro. Ne udiva i pensieri intimi, le sensazioni reconditi. Respirava i flussi vitali che fluttuavano tra di loro. Osservò le loro auree: azzurra quella di Lug, arancione quella di Elena e purpurea quella della regina.

Sua madre! Lei era sua madre. I suoi ricordi, dapprima così annebbiati da non farle ricordare neppure chi fosse, ora si spingevano fino alla sua nascita, fin ai mesi di attesa nell’utero materno. Aveva ricordi vividi di ogni attimo della propria vita. E sapeva... sapeva che tutti loro stavano per morire... che il pericolo che incombeva su di loro era superiore a qualsiasi cosa potessero immaginare.

 

 

 

  


Gli autori

Giovanni Rispo

Giovanni Rispo nasce nel 1989 in un paese in provincia di Napoli, ma trascorre la sua infanzia in Carinaro (CE). A sei anni comincia a studiare danza, a tredici recitazione e a undici tenta la via della scrittura. Nel 2008 cerca di produrre un cortometraggio, "Con la morte nel cuore", che trasformerà poi in un racconto pubblicato a febbraio 2012. A novembre sarà la volta di Vendicami, secondo capitolo di quella saga cominciata qualche mese prima, Madame Belard Saga. Attualmente è laureando in Conservazione dei beni demo-etno-antropologici della musica e dello spettacolo.


Luca Rossi

Ricerca, scienza, fantascienza ed alta tecnologia sono i mondi che Luca Rossi vive e trasferisce nelle proprie opere letterarie.

Crede nel Web come mezzo in grado di avvicinare gli individui e rendere il mondo un luogo più aperto, giusto e democratico.

Ha pubblicato nel 2013 Energie della Galassia, raccolta di racconti ambientati in un universo che vede mosso non solo dalle leggi della fisica, ma da quelle altrettanto vere dell'eros, della passione, del desiderio e dello spirito.

È nato a Torino il 15 aprile 1977. Gli piace andare in bicicletta, passeggiare nella natura e dedicare la maggior parte del tempo libero alla famiglia.

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Milena Cazzola

Milena Cazzola è un appassionata lettrice grazie ai libri di Gianni Rodari con cui a sognato da bambina,

Per merito della prof. d' italiano delle superiori ha imparato a conoscere la bellezza della scrittura senza mai fare un tedioso tema.

"Vi prego di perdonare fin d' adesso i miei errori/orrori di scrittura, a mia discolpa posso solo dire di essere una "scrittrice" neofita con delle crisi di disgrafia che si lascia trasportare dalle parole senza le briglie delle norme redazionali!" E' il "messaggio nella bottiglia" di Milena che si diverte a scrivere senza remore.

Spera di poter pubblicare quanto prima il suo 1° romanzo, in attesa di questo grande "evento" (almeno per lei) si diletta con questa nuova esperienza in compagnia di "colleghi" stimolanti e sta terminando il suo 2° romanzo.

Come diceva Bertrand Russel: “Esistono due motivi per leggere un libro: uno, perché vi piace, e l’altro che potrete vantarvi di averlo letto”!

Buon libro a tutti ! ;)

mymail@mmmyebook.com

Miriam Rizzo

Miriam Rizzo è nata il 12 giugno 1992 a Camposampiero in provincia di Padova. Era convinta che il settore alberghiero e, più nel dettaglio, il settore bar, fossero il suo futuro. L’arrivo di un figlio le stravolge la vita in maniera positiva. Riscopre sé stessa, si ritrova a dover affrontare svariati problemi, ma lo fa sempre col sorriso sulle labbra. I rari alti e bassi ormai non le fanno più effetto. Tra le molte novità c’è anche la nascita di un nuovo amore: la lettura. Inizia il suo percorso letterario solamente nel 2010 con la saga di Harry Potter. Successivamente divora libri di molti generi, ma il suo preferito rimane l’urban fantasy.

Il secondo suo amore, quello per la scrittura, nasce meno di un anno fa.

In questo momento, oltre al suo romanzo in fase di stesura, Miriam sta collaborando per svariati progetti leggerari. In più, volendo dare l’opportunità alle autrici e agli autori italiani esordienti e non, ha deciso di creare un blog nel quale parla dei loro libri, facendo recensioni, interviste e molto altro.

Ora sa che è questa la sua strada, e se deve piangere lo fa per un libro.

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