Sul carattere essenzialmente occidentale del femminismo intersezionale[1]

Le femministe intersezionali sbagliano con le donne musulmane, sopravvalutando le differenze rispetto alla comune appartenenza all’umanità e trascurando, o giustificando, gli abusi che subiscono all’interno delle loro stesse comunità.

Traduzione divulgativa (non professionale) dell’articolo “The Western-Centric Nature of Intersectional Feminism” di Helen Pluckrose https://conatusnews.com/western-centric-intersectional-feminism/

Molti critici del femminismo intersezionale hanno accusato le sue esponenti di non preoccuparsi del benessere delle donne musulmane. Questo non è del tutto vero, ma è facile capire perché hanno avuto questa impressione. Ad esempio, è stata molto contestata la mancanza di supporto alla campagna #StopEnslavingSaudiWomen nonostante la sua ampia diffusione con tweet in lingua inglese.

Tweet n.1 https://twitter.com/amal_l_o/status/862298965261381636

Tweet n.2 https://twitter.com/WCFSW/status/860794329681592324

In tale occasione, le femministe intersezionali sono state accusate di ignorare in gran parte un sistema di oppressione inequivocabilmente patriarcale, qual è il sistema dei guardiani in Arabia Saudita, mentre sono pronte a rintracciare la presenza del patriarcato in molti aspetti della loro società, dalle molestie per strada alla gestione delle emozioni[2].

Tweet n.3 https://twitter.com/ggeorginattyson/status/835599196736585728

Tweet n.4 https://twitter.com/AnnaLarsianna/status/789826170586103808

D’altra parte, i tentativi delle femministe non intersezionali e degli attivisti dei diritti umani per mettere in discussione le violenze commesse in nome della cultura dell’onore vengono spesso bloccati dalle femministe intersezionali, che cambiano immediatamente argomento per parlare delle violenze domestiche subite dalle donne occidentali.

Qualsiasi conversazione sull’orrore delle mutilazioni genitali femminili rischia di essere dirottata sui pericoli che le ragazze stanno correndo attualmente o su una lezione a proposito delle origini pre-islamiche di tale pratica. Ogni tentativo di considerare il carattere discriminatorio del coprirsi il capo per mostrare modestia finirà quasi certamente col provocare la risposta secondo cui le donne musulmane eserciterebbero la propria libertà di scelta e sarebbero magicamente libere da quelle paralizzanti pressioni sociali che le femministe occidentali sostengono invece di subire. Quando una petizione per la criminalizzazione delle molestie per strada e di altri abusi dovuti all’appartenenza di genere https://goo.gl/G5oKEa raccoglie più di 58.000 firme, mentre un’altra petizione per il rafforzamento delle misure di contrasto delle violenze dovute alla cultura dell’onore https://goo.gl/2CT6D5 ne raccoglie solo 406 (e quindi non può essere proposta al Parlamento), si può finire col mostrare comprensione per chi pensa che le femministe occidentali non musulmane si preoccupano soltanto di se stesse.

Tweet n.5 https://twitter.com/6siders/status/778300153400848385

Tweet n.6 https://twitter.com/Sarah_Zundel/status/778409265002188800

Tuttavia, pensare così sarebbe un errore, almeno in parte.

Il problema non nasce dalla convinzione per cui le femministe occidentali non musulmane sarebbero più importanti delle donne musulmane. È molto più complicato di così. Con l’avvento della Critical Race Theory[3], degli studi post-coloniali e della intersezionalità, tutti ispirati al post-modernismo, l’interesse principale della corrente dominante del femminismo si è spostato dai diritti umani universali e dalla sorellanza[4] al relativismo culturale e alle politiche dell’identità. I princìpi universali dei diritti umani, della libertà e dell’uguaglianza sono stati subordinati al riequilibrio della storica ingiustizia occidentale verso il mondo orientale.

A questo proposito, gli studi postcoloniali e il concetto di Orientalismo sono fondamentali. I primi sono un ramo della teoria critica della società[5] che studia le conseguenze del colonialismo e dell’imperialismo, nonché dei comportamenti e dei discorsi che esse innescano. Il secondo, invece, si riferisce a quell’atteggiamento occidentale per cui l’Oriente viene visto come esotico, misterioso, violento, primitivo, ingannevole, lussurioso e pagano. Aveva ragione Edward Said quando nella sua opera rivoluzionaria (intitolata appunto Orientalismo) scriveva così: “Sostenere semplicemente che l’Orientalismo fosse una razionalizzazione a posteriori del dominio coloniale significa ignorare fino a che punto tale dominio venisse giustificato a priori dallo stesso Orientalismo.” Ogni testimonianza scritta che sia compresa tra il Medioevo e la metà del XX secolo ritrae il mondo orientale in questo modo, sebbene occorrerebbe notare come tra il XIV e XVII secolo l’impero Ottomano fosse una potenza mondiale e avesse a sua volta molti stereotipi sull’Occidente. Sta di fatto che l’idea di una intrinseca superiorità occidentale dal punto di vista morale e razionale costituì una giustificazione per l’imperialismo, il dominio e lo sfruttamento.

Quando il cambiamento culturale a favore dell’uguaglianza e dell’universalità dei diritti umani cominciò ad emergere, provocando la nascita del movimento dei diritti civili, la seconda ondata del femminismo e il Gay Pride, idee simili cessarono di essere moralmente sostenibili. L’universalità del liberalismo rifiutava l’idea collettivista dell’identità culturale, reclamava la parità tra persone in quanto individui e forniva le medesime opportunità di accesso a ciò che il mondo occidentale offriva. Tuttavia, con l’avanzare della teoria critica della società, e in particolare del postmodernismo, tutto questo cominciò a essere messo in questione. Si cominciò a sostenere che l’universalità del liberalismo, fondato su valori laici e libertari, esprimesse in fondo valori occidentali, benché esistessero persone laiche e libertarie ovunque nel mondo. Dato che in altre culture le idee religiose e conservatrici erano dominanti, continuare a promuovere il liberalismo veniva considerato come il proseguimento dell’affermazione di superiorità dei valori occidentali su tutti gli altri.

Di più, secondo questo nuovo punto di vista ci sono alcuni errori da correggere. Per la teoria critica della società, che si richiama ampiamente alle idee costruttiviste del postmodernismo, i discorsi formano le realtà sociali e determinano i comportamenti degli individui, diventando conoscenza che richiede di essere decostruita affinché venga disimparata. Quindi non si tratterebbe soltanto di ammettere che “Finora abbiamo sbagliato sottovalutando e opprimendo le donne, le persone che non hanno la pelle bianca, le persone LGBT, e per questo dobbiamo costruire una società dove ciò non accada mai più”. Ci sarebbe invece un intero sistema di pensiero che deve essere smontato e riscritto, prima che si stabilisca un nuovo equilibrio. Si tratta delle idee di genere, sessualità, razza, cultura. Come afferma E.Said, rielaborando alcuni concetti foucaultiani: ”La mia tesi è che, siccome la storia è fatta da uomini e donne, può essere anche disfatta e riscritta, ogni volta con diverse omissioni, ogni volta con immagini imposte e deformazioni tollerate, al punto che i nostri Orienti tornano in nostro possesso e vengono da noi decisi.”

Perciò in questa forma di attivismo si riscontra una forte pressione ad amplificare e promuovere le idee, l’arte, le credenze e le narrazioni storiche che sono non-occidentali, nonché a svalutare quelle che sono occidentali. Solo così, si spera, uno squilibrio che viene percepito come resistente nella cultura dominante e interiorizzato dagli occidentali potrebbe essere ricomposto.

Tutto questo sembra molto positivo in teoria, ma sfortunatamente in pratica sfocia nella creazione di stereotipi culturali che sono, a dirla tutta, orientalisti, ovvero tali da riprodurre il pregiudizio che cercano di sconfiggere, rinforzando cioè le idee secondo cui la ragione, la scienza e il liberalismo sarebbero esclusivamente per gli occidentali. Non si tratta solo di un esito discriminatorio, ma anche sbagliato. Il Regno Unito, in particolare, soffre di una mancanza di interesse dei suoi abitanti per gli studi scientifici, costringendo il paese ad attirare medici, scienziati e ingegneri dall’India, dal Pakistan e dalla Nigeria: il 10% dei medici del sistema sanitario inglese è costituito da indiani o britannici di origini indiane, benché questo gruppo sociale rappresenti appena il 2.3% della popolazione. C’è da chiedersi cosa farebbero dell’approvazione inglese verso chi sostiene che “La scienza nel suo complesso è un prodotto della modernità occidentale e perciò andrebbe cancellata, riconoscendo piuttosto l’importanza dei paradigmi conoscitivi degli indigeni”, inclusa la stregoneria.

Il problema di questo approccio è che non ammette che i popoli del mondo sono sì diversi, ma condividono molti valori, per cui finisce col prendere in considerazione solo le culture non-occidentali che più differiscono dagli aspetti caratterizzanti il mondo occidentale. Già è offensivo e presuntuoso sostenere che l’idea moderna della conoscenza (la scienza, la ragione, la tecnica) sarebbe unicamente occidentale, diventa anche pericoloso quando si sostiene che lo sono le idee morali (il liberalismo universale, la laicità, la democrazia, l’uguaglianza). Tale atteggiamento costringe i popoli non-occidentali nella soffocante, antiscientifica, irrazionale, illiberale, superstiziosa e oppressiva immagine che si cercava di condannare in quanto orientalista. Lo stesso atteggiamento che è alla base degli attacchi contro i musulmani progressisti e agli ex-musulmani, accusati di essere stati addomesticati.

È fondamentale riconoscere che tutto questo non è solo estremamente razzista, ma è anche un modo per continuare a interpretare ogni cosa dal punto di vista occidentale, imponendo un’identità limitante sugli altri. I teorici postcoloniali e gli attivisti che si ispirano a essi stanno continuando a definire l’Oriente, ad avere il controllo della narrazione, a guardare verso i popoli non-occidentali come complementari a quelli occidentali, che restano la pietra di paragone. Semplicemente sono passati dal considerare l’Occidente come l’unico posto al mondo dove fioriscono la scienza, la razionalità e l’etica liberale, intese come positive ed emancipatrici, al considerarlo come l’unico posto in cui fioriscono i suddetti fenomeni, salvo che ora sono ritenuti negativi e intrinsecamente oppressivi.

Questo atteggiamento è in larga parte dovuto a un tentativo di riequilibrare le discriminazioni che subiscono alcune minoranze all’interno dei paesi occidentali. Tuttavia, esso deriva anche da un cambiamento del concetto che l’Occidente ha di sé e da come le Sinistre preferiscono considerare se stesse, mostrando quindi un ampio grado di narcisismo. Un tempo, lo sguardo imperialista era rassicurante, così gli occidentali potevano raccontare a se stessi che stavano offrendo valori positivi e un qualche ordine a popoli meno illuminati. Ora invece, presso un certo tipo di Sinistra risulta rassicurante il risveglio postcoloniale che prova vergogna per le azioni perpetrate dai progenitori, compiacendosi del senso di colpa e di una nuova consapevolezza degli errori compiuti, per cercare di porre rimedio a essi. Sfortunatamente, ciò richiede l’adeguamento della parte offesa ad agire in modo complementare rispetto all’Occidente, per cui solo coloro i quali condividono questa immagine manicheista e semplicistica della loro stessa cultura e di quella occidentale ricevono sostegno.

Nel tentativo di valorizzare le culture orientali, le attiviste del femminismo intersezionale decidono cosa possa essere autentico e cosa sarebbe imposto dagli occidentali. Così, elementi culturali ritenuti positivi o neutri (l’abbigliamento, l’arte, le esperienze spirituali o il simbolismo) vengono spesso trasformati in feticci e messi fuori discussione, mentre gli aspetti negativi (il fondamentalismo religioso, la violenza settaria, l’instabilità politica) sono considerati come un mero prodotto degli interventi occidentali. Il fatto che i paesi orientali abbiano una storia lunga e complessa, ricca di valori religiosi e culturali consolidati che esistono indipendentemente dai paesi occidentali viene ampiamente trascurato. Questo modo di pensare limita fortemente le persone che desiderano affrontare argomenti simili e spesso finisce col zittire e denigrare i tentativi degli ex-musulmani, dei musulmani riformisti o progressisti di criticare la propria religione e la propria cultura.

Quando si tratta di quei valori che non possono essere considerati positivi, né possono essere plausibilmente attribuiti alle interferenze militari dei paesi occidentali (la disuguaglianza di genere, la violenza del codice d’onore contro le donne, la persecuzione delle persone  LGBT), gli attivisti, che sostengono le teorie postcoloniali, finiscono di solito col tentare di minimizzare il problema, cercando di ricondurre tali valori a prodotti di un patriarcato universale, misogino e omofobico. Ciò appare ai loro critici un tentativo egoistico di sentirsi in colpa alle spese delle donne e delle persone LGBT che soffrono una grave e spesso esiziale oppressione nel mondo islamico, così come in altre culture intensamente religiose. Tuttavia, le attiviste sono così intente nel dare importanza e difendere i diritti di quella che, nei paesi occidentale, costituisce una minoranza, da non supportare, se non addirittura da ostacolare, le minoranze dei difensori dei diritti umani, delle femministe, dei sostenitori dei diritti delle persone LGBT e dei progressisti che vivono nei paesi islamici e nelle comunità musulmane.

Post Fb n.1 https://goo.gl/oyHkJZ

A questo punto è chiaro come le femministe intersezionali non soffrono di una mancanza di attenzione verso le donne musulmane, ma sono fortemente concentrate sulla pur importante causa del contrasto all’odio anti-islamico, specialmente se colpisce le donne, ovvero quello che è uno dei segnali più visibili dell’essere musulmani: l’hijab. Ci sono numerose e preoccupanti denunce di abusi e persino violenze contro le donne che lo indossano. Di conseguenza, molte femministe hanno scritto articoli in difesa dell’hijab, presentandolo come un oggetto compatibile col femminismo e arruolando le donne che lo indossano come attiviste dei diritti delle donne, nonostante il fatto che molte donne musulmane che vivono nei paesi occidentali non lo indossano e molte femministe musulmane, come anche non musulmane e progressiste, criticano l’hijab a causa del carattere discriminatorio del concetto di “modestia” che evoca.

Tweet n.7 https://twitter.com/SarahTheHaider/status/775874403187982336

Tweet n.8 https://twitter.com/aliamjadrizvi/status/873208658783555589

Poiché le femministe protestano ovunque, dall’Iran all’Arabia saudita, contro l’obbligo di portare l’hijab e, in molte altre parti del mondo, denunciano le pressioni per indossarne uno e contestano il concetto di modestia femminile, desta preoccupazione vedere che le femministe occidentali, nella loro fede cieca per l’intersezionalità, rinforzano tali abusi. Si potrebbe dire che stiamo esagerando e che in fondo le loro intenzioni sono buone. Tuttavia, la ristrettezza di vedute con cui le femministe affrontano questioni sulle quali le donne musulmane dissentono chiaramente e la loro tendenza a impegnarsi solo quando vi sono abusi da parte dei bianchi non musulmani rischiano di produrre conseguenze ancora più gravi.

In Inghilterra e nel Galles, ci sono state 4.400 denunce di reati d’odio commessi per motivi religiosi nel 2015/2016, per lo più senza danni, ma non perciò meno gravi, ed è ragionevole supporre, dato che si è trattato spesso di picchi seguiti ad attentati terroristici di matrice islamista, che la maggior parte delle vittime fossero musulmane. Questo è un problema grave che non va trascurato, ma non è l’unico rischio che corrono i musulmani britannici, per cui dovrebbero preoccuparsi le femministe. Infatti, la polizia ha registrato 11.000 casi di crimini legati al codice dell’onore tra il 2010 e il 2014: dalle percosse ai rapimenti, fino ai femminicidi. I dati sono considerati parecchio inferiori all’entità del fenomeno. Inoltre, sono stati registrati 5.700 casi di mutilazioni genitali femminili nel periodo 2015/2016, 1.428 casi di matrimoni forzati (minacciati o realizzati) solo nel 2016, dove le vittime erano per lo più femmine. Anche per questi dati si stima che i valori siano molto inferiori alla realtà. Tutti questi comportamenti, che provocano gravi danni fisici, se non la morte, e comunque la perdita della libertà, costituiscono gravi violazioni dei diritti umani. La preoccupazione delle femministe intersezionali per il fatto che denunciare pubblicamente gli abusi commessi contro le donne musulmane da altri musulmani possa generare ulteriore odio nei loro confronti non è infondata, anzi va presa sul serio, tuttavia queste violazioni dei diritti umani devono essere affrontate comunque. Il modo migliore per farlo è offrire il proprio supporto a quanto stanno già facendo le femministe, i progressisti e i riformisti (ex-)musulmani.

Sarebbe un errore pensare che le femministe intersezionali che sottovalutano le violazioni dei diritti umani commesse in nome dell’Islam siano indifferenti al benessere delle donne musulmane e desiderino invocare lo status di vittime solo per se stesse, tuttavia sarebbe un errore comprensibile. In realtà, il femminismo intersezionale finisce con l’essenzializzare e valorizzare, esaltare e romanticizzare gli stereotipi culturali di gruppi minoritari, concentrandosi solo sugli abusi commessi da persone bianche e occidentali, a causa del desiderio di raddrizzare i torti del passato e le loro persistenti conseguenze. Inoltre, tale femminismo desidera costruire, in modo autolesionista, una nuova identità occidentale progressista che risulta narcisista, divisiva e essenzializzante. In questo modo, esso impedisce alle femministe musulmane ed ex-musulmane, progressiste e riformatrici di criticare e di cambiare la loro religione e la loro cultura, domandando loro di non farlo. Inoltre, distoglie l’attenzione dal fatto di appartenere a una sola umanità, dal valore dell’individualità e dai tentativi di costringere le persone all’interno di stereotipi culturali. Tutto sommato, è un femminismo occidentalizzante e orientalistico, incapace di difendere i diritti delle donne e la loro libertà in modo coerente. Per favore, lasciate perdere.


[1] NdT: breve articolo divulgativo sul concetto di intersezionalità https://goo.gl/w4JbKY

[2] NdT: emotional labour indica lo sforzo e il controllo necessari per dare espressione a quei sentimenti che un’organizzazione considera positivi e utili ai propri scopi cit. Mario Perini, L’organizzazione nascosta, Franco Angeli 2007, p.85

[3] NdT: una teoria critica del diritto, che non solo ne sveli i presupposti e i meccanismi di conservazione del potere, ma ne smascheri i pregiudizi razziali cfr. http://www.juragentium.org/forum/race/it/moschel.htm 

[4] NdT: Sisterhood mutuato dalla terza parola del famoso motto della rivoluzione francese: Fraternité

[5] NdT cfr. G.Bedeschi https://goo.gl/9SDHTS