Il buio
Durante la mia adolescenza, quando frequentavo la II media, ho avuto occasione di imparare, in una sola giornata, molte più cose di quante sia dato di acquisire in una intera carriera scolastica. E non parlo di storia o matematica. Parlo di una cosa molto più importante: il rapporto di solidarietà con i compagni, con coloro che ti stanno vicini negli anni della scuola.
Be! quando avevo 13 anni ero un vero bastardo, se posso essere sincero. Ogni occasione sociale era per me la più azzeccata per fare scherzi, tormentare qualcuno, specie se più piccolo di me fisicamente o con qualche difetto fisico o poco vispo, poco pronto a reagire alle offese, alle botte, alle trappole che sapevo preparare così bene.
Nella mia classe quell'anno era arrivato un nuovo compagno: l'aspetto fisico non era granché, piccolo, biondiccio, con le mani sempre sudate; ma aveva una caratteristica che all'inizio nessuno di noi aveva compreso. Si presentò in classe il primo giorno di scuola con un bastone bianco e la prima nostra reazione fu l'esplosione di una fragorosa risata. Avevo vicino il mio gruppo di fidati, Lino, Franco e Carlo, e insieme noi quattro iniziammo a prenderlo in giro per quella mazza da vecchio che non aveva motivo di esistere per noi. Poi, durante l'intervallo, la prof. di Italiano ci disse, in sua assenza, che quel ragazzo, Giovanni, era cieco dalla nascita e che quella mazza, che ci aveva tanto fatto ridere, gli serviva per intercettare gli ostacoli sul suo cammino e poterli così evitare. Naturalmente fui subito punito per aver riso di lui e questo fece immediatamente scattare in me la voglia di vendicarmi. Iniziai a organizzare scherzi di tutti i tipi contro Giovanni e nel giro di una settimana io e la mia banda ne mettemmo a segno un bel po': gli nascondemmo il bastone, gli portammo via la merenda, gli spruzzammo addosso le tempere, gli appiccicammo addosso foglietti pieni di offese e così via. Poi, dopo il furto del suo cellulare (glielo avevo portato via perché tanto, a lui, a cosa gli serviva, che non poteva neppure scattare delle foto alle bimbe?), mi portarono dal preside, mi fecero chiedere scusa a Giovanni davanti ai suoi genitori e mi fecero promettere che lo avrei lasciato in pace, anche perché quello era un tipo davvero strano: non reagiva mai alle mie provocazioni e questo mi faceva venire ancora più voglia di tormentarlo. Uscito dalla presidenza giurai a me stesso che durante la gita organizzata per marzo alle grotte del Vento gliela avrei fatta pagare cara.
Il 15 marzo finalmente partimmo tutti insieme per la gita. Avevamo preparato la nostra vendetta, io e il mio gruppo: gli avremmo nascosto per bene lo zaino con il pranzo al sacco, così sarebbe rimasto tutto il giorno senza mangiare!
Entrammo dentro le grotte verso le 10 di mattina. Prima di entrare ci avevano fatto un sacco di raccomandazioni: non toccate le stalattiti perché il grasso delle dita impedisce la formazione di nuovo calcare, non vi disperdete in piccoli gruppi perché il percorso è un labirinto ed è facile perdersi, non parlate a voce alta perché i suoni rimbombano, non sporcate e non fate questo e non fate quello, insomma le solite noiose regole degli insegnanti. Eravamo intenzionati a fare, nel buio, tutto quello che ci pareva. Io e la mia banda, vicino ad un bivio, restammo indietro per organizzare uno scherzo alle bimbe: volevamo spaventarle a morte buttando dentro i loro vestiti delle lucertole che avevamo raccolto prima di entrare. La nostra classe si diresse verso destra, ma noi non avevamo visto da che parte era diretto il gruppo e, di fronte al bivio, ci dirigemmo a sinistra. Giovanni, che si trovava dietro di noi perché procedeva lentamente, ci venne dietro, orientandosi con il suono delle nostre voci.
In breve tutte le luci scomparvero, non riuscimmo più a sentire le voci dei nostri compagni e della guida e ci trovammo a imboccare, uno dopo l'altro, corridoi non illuminati e senza corrimano per agguantarsi. I minuti passavano e ci rendemmo conto che intorno a noi c'era un gran silenzio. Buio e silenzio: ci eravamo persi nel labirinto dei cunicoli delle grotte. Lino aveva un accendino: fece un po' di luce per un attimo e così ci potemmo contare: eravamo in cinque, la mia banda e Giovanni. Intorno a noi la galleria diventava sempre più stretta; provammo a tornare indietro, ma in che direzione? Da dove eravamo entrati? Carlo cominciò a piangere, il buio lo terrorizzava e poi avevamo fame e Franco disse che doveva andare al gabinetto. Passò più di un'ora ma la strada d'uscita non si faceva vedere.
Anch'io avevo una gran paura, soprattutto dopo che qualcosa di molto veloce mi passò sui piedi: forse topi, non l'ho mai saputo.
Dopo due ore di giri e pianti e urla per cercare di farci sentire, eravamo veramente disperati. Giovanni, durante tutto questo tempo, era stato silenzioso, ci aveva seguito tranquillo, come se la situazione drammatica che stavamo vivendo non avesse peso per lui.
Poi, ad un tratto, si fermò, ci disse di tacere e di metterci con le spalle alle pareti del cunicolo: aveva sentito un piccolo soffio di vento passargli sulla fronte e quel vento era fresco, segno che l'aria entrava da qualche parte e forse, dirigendoci verso la direzione del soffio, avremmo trovato l'uscita.
Seguimmo così le sue indicazioni: ci mettemmo dietro di lui e ci lasciammo guidare da l'unico tra noi che sapeva sempre come muoversi al buio. Seguendo il soffio di vento, Giovanni imboccò diversi cunicoli, girando prima a destra, poi a sinistra e così via, finché, dopo circa un'ora di lento cammino e silenzio assoluto, arrivammo al bivio iniziale. Da lì fu facile giungere all'uscita della grotta.
I proff. e la guida erano fuori ad attenderci preoccupatissimi, avevano addirittura mobilitato la protezione civile e degli speleologi per venirci a cercare; ci dissero che avevamo imboccato la via che portava verso una zona della grotta non ancora esplorata e piena di pericoli: non era solo un labirinto, c'erano anche fosse e strapiombi, la cui profondità non era mai stata misurata. Avevamo rischiato grosso, forse anche la vita!
Giovanni ci aveva salvati, portandoci fuori dalle grotte ed evitando anche di farci cadere negli strapiombi.
Dopo i rimproveri di rito, quando tutti si furono calmati, mi avvicinai a Giovanni e, così, tanto per parlare e dimenticare l'accaduto, dissi:
- Ma come fai, dato che non vedi niente, a conoscere la forma degli oggetti, o a distinguere i colori, a riconoscere le persone?
- Durante il viaggio di ritorno, se vuoi, puoi sederti vicino a me, così ti spiego ......
Classe II
1) Che tipo di testo hai di fronte?
2) Chi è il protagonista del racconto?
3) Come si definisce il narratore?
4) Quale nuovo elemento arriva a cambiare la situazione di vita scolastica del narratore?
5) “Avevo vicino il mio gruppo di fidati..” (riga 15) significa:
6) Perché il protagonista prende di mira il nuovo arrivato?
7) Come si comporta il protagonista di fronte alle raccomandazioni degli insegnanti, prima di entrare nelle grotte?
8) “gliela avrei fatta pagare” (riga 29): gliela potrebbe essere sostituito con:
9) “e non fate questo e non fate quello..” (righe 37-38): questo e quello sono:
10) Il protagonista e i suoi amici si perdono nelle grotte perché:
11) L’espressione “labirinto di cunicoli” (riga 48) significa in questo contesto:
12) Nelle gallerie non c’era corrimano. La conseguenza era che:
13) Mentre tutti i ragazzi si disperano, Giovanni è l’unico che trova la via d’uscita:
14) “la cui profondità non era stata misurata..” (riga 70). Cui si riferisce a:
15) Alla fine della storia il protagonista prova, nei confronti del nuovo compagno: